E’ la storia di un’adolescente, Maria, e dei suoi continui sbalzi d’umore, del suo bisogno di raccontarsi, del suo tuffarsi completamente in avventure che non hanno limiti. Di particolare rilevanza è infatti il rifiuto della ragazza nei confronti della famiglia d’origine, che la portano in qualcosa di estraneo a sé stessa. E’ la storia di una ragazza che non sa controllarsi ma lo insegna al lettore che, immedesimato nella trama, cerca di allungare la mano e salvarla. Non è un romanzo fatto solo di parole; è fatto di istinti, impulsi, sensazioni, il dolore che va per poi ritornare, pensieri quasi “avvelenati” e la ricerca di legami che non sono mai veri. Tutti momenti, questi, contenuti in un linguaggio diverso, originale, “musicale”, orchestrato.
Una scrittura visionaria, quella di Yasmin, in cui coesistono gergo e lirismo, con un ritmo stenografico. Un genere stilistico, il suo, non corrispondente all’età dei protagonisti, fatto di affanni e respiri, della necessità di buttare giù quasi tutta l’anima, come per liberarsi e liberare il lettore di quel macigno sul cuore che è costretto a incontrare per tutta la storia. Una scrittura che si allontana dalla realtà per ricostruirne una nuova. Una realtà in cui le parole danno spazio al bisogno carnefice d’amore, alla necessità di legarsi con il corpo a qualcuno, come ricerca di tenerezza, elemento che si intravede nella storia quasi come una sfumatura tra le pagine.
Dall’altra parte c’è dunque Chus che, approfittando della fragilità di Maria, quasi la obbliga a seguire i suoi istinti, trascinandola in qualcosa di estremo e carnivoro. Chus è la personificazione del male, elemento che si tramuta nel bisogno di fuggire, di scappare da una realtà che per Maria è diventata insopportabile. L’unico modo per andare via è distruggersi, distruggere tutto ciò che rimane della sua anima ma soprattutto del suo corpo: lo fa a pezzi, lo disintegra, lo rende oggetto. E’ proprio l’autolesionismo uno dei temi più frequenti nel romanzo, un tema che Maria conosce più di sé stessa, un tema che diventa un vero e proprio mondo in cui la ragazza si rifugia con tutto ciò che le rimane.
Un romanzo da leggere e capire. Un romanzo “fuori dal normale” che impregna il lettore del bisogno di rifugiarsi in porti sicuri che trasformano l’animo umano in salvezza.
Ora lasciamo la parola a Yasmin Incretolli, con l’augurio di continuare in questo percorso fatto di parole ed emozioni.
D: Come nasce l’idea per questo romanzo?
R: Quando ho deciso di raccontare la storia narrata in Mescolo Tutto, il tempo che deponevo alla lettura era esclusivamente riservato a romanzi young adult e a testi sperimentali. Da qui l’intenzione di mescolare questi due generi letterari, realizzando un romanzo che ne rispecchiasse le caratteristiche, magari estremizzandole, creando un paradosso: le creature irrazionali e fragili tipiche dell’adolescenza e il processo di decostruzione del linguaggio, hanno dato luce a Maria, diciannovenne con una lingua tutta sua.
D: Pensi che la visione del disagio adolescenziale da te adottata rispecchi perfettamente la realtà attuale?
R: Il disagio di Maria, come ho detto, è portato al paradosso. Ma questo è normale, è una storia romanzata. Dunque, sebbene tocchi corde tipicamente ascrivibili al mondo adolescenziale, come il conflitto col genitore, l’inadeguatezza verso il proprio corpo, lo smaliziarsi, o la sperimentazione e una conseguente malagestione del sesso, non so se rispecchi nel dettaglio tutte le adolescenze.
D: Spiegaci il perché del titolo “Mescolo tutto”.
R: Quando l’ho presentato al Premio Italo Calvino, che lo ha insignito di una menzione speciale, il romanzo si chiamava Ultrantropo(rno)morfismo. Bensì, durante la corrispondenza con Vanni Santoni, entrambi abbiamo capito che non poteva essere un titolo plausibile, perché troppo astruso. Dunque, dopo varie scremature, e indecisioni, a farla franca è stato, appunto, Mescolo Tutto; stesso nome di un’azione della body performer Gina Pane, l’artista francese che feriva il proprio corpo per aprire un dialogo col pubblico, un po’ come fa Maria; difatti, lei, a differenza di molte altre
ragazze autolesioniste, non occulta i suoi tagli.
D: I due protagonisti si chiamano Maria e Jesus (detto comunemente Chus). E’ stata una scelta voluta quella dei nomi, come forma di contrasto rispetto ai valori biblici?
R: Non credo che le dimensioni simboliche debbano emergere, o imporsi, nella storia. Il nome Maria è comune in Italia, Jesus altrettanto in America Latina, e sebbene verso la fine del romanzo Maria si paragoni alla Maddalena, sono nomi emersi in modo naturale, senza l’intenzione di qualsivoglia chiave interpretativa.
D: Hai inserito nelle tue pagine parecchie nozioni psicologiche, tra cui la condizione di “degrado dell’io” e l’autolesionismo dovuto al contesto familiare e sociale della protagonista. Da cosa hai tratto queste informazioni così dettagliate?
R: Sono stata alla presentazione dell’acclamato Le ragazze, e all’autrice, Emma Cline, è stata posta una domanda simile, e siccome nella sua risposta ritrovo, bene o male, il mio pensiero, la riciclo: semplice intuizione.
D: Come sei arrivata a raggiungere questo stile così diverso, che potrei definire come una sorta di “musica in prosa”?
R: Come ho già detto, lo stile in Mescolo Tutto è funzionale alla storia, e al personaggio di Maria. Il miscuglio di neologismi e arcaismi, trivialità e lirismi, infatti sono espressione d’una ragazza che spezza la realtà in cui vive perché la percepisce troppo distante dalla sua sensibilità. Dunque ho strutturato la forma stilistica seguendo questa direttiva; ad esempio, la sovente caduta degli articoli è giustificata dall’abbandono del superfluo, dell’ostacolo, per una comunicazione fatta di percezioni immediate. Da qui anche ciò che concerne la musicalità: la rinuncia delle congiunzioni, ricordiamo, ha radici nell’hip hop.
D: Se dovessi essere un personaggio del tuo libro e conoscere casualmente Maria, cosa faresti per aiutarla a superare i suoi disagi?
R: Da femminista come sono, potrei suggerirle solamente di fare autocoscienza, e meditazione. Fare un’esperienza di consapevolezza con se stessa attraverso i rapporti con le altre donne. Soprattutto cercherei di farle scoprire la comunione con sua madre, le chiederei di non mettere distanze tra loro perché convinta d’allontanare il rischio di diventare come la società si aspetta che lei diventi. Maria deve capire che è necessario acquistare un senso di sorellanza per salvarsi, perché vergognarsi della donna che l’ha concepita non porta soluzioni ma, anzi, questo tipo d’acredine se interiorizzato diventa un conflitto verso se stesse.
D: Come definiresti il legame tra Maria e Chus?
R: Asimmetrico; soprattutto nella prima parte del romanzo. Chus riesce ad avvicinarsi a Maria perché lei è in una condizione d’emarginazione molto pericolosa. La costringe a pratiche kinky denigratorie per la sua persona, eppure gli è riconoscente perché oltre a renderla partecipe di una relazione, le permette d’annullarsi e diventare altro. Infatti il ragazzo ha tendenze zoofile e le chiede ripetutamente, durante l’estasi, di fingersi animale (da qui il segmento del titolo originale declamante l’antropomorfismo).
D: Che ruolo hanno nel romanzo le parole?
R: Danno il ritmo alla storia. In Mescolo Tutto c’è una forte ricerca intorno al significante e alla musicalità del linguaggio. Inoltre, la varietà dei registri, serve a modellare il caotico universo di Maria.
D: Cosa vorresti che il lettore riuscisse a cogliere da queste pagine?
R: Due cose: il gorgo in cui si sprofonda a causa di conflitti interiori irrisolti e dell’inconsapevolezza con la quale vengono affrontati. E di non dare per implicita la totale deliberazione, quando una ragazza acconsente situazioni pericolose, distruttive, e per definizione degradanti. Vorrei che il lettore provasse empatia verso il personaggio, vorrei persuaderlo a considerare le varianti che possono portare una giovane donna in una relazione estrema.
Ringraziamo Yasmin Incretolli per la sua collaborazione e per il tempo che ci ha donato, augurandogli di continuare a sorprenderci e a sorprendersi.
Recensione e intervista a cura di Stefania Meneghella