La World Press Photo è sbarcata a Bari, e lo ha fatto con una mostra che va al di là di ogni aspettativa. Le fotografie sono diventate vita.
Si tratta della mostra di fotogiornalismo più famosa al mondo e si può visitare – nel Teatro Margherita di Bari – dall’11 ottobre all’8 dicembre 2024. L’esposizione presenta i vincitori del 67esimo concorso annuale con 24 progetti che sono stati selezionati da una giuria internazionale tra 61.062 fotografie di 3.851 autori provenienti da 130 paesi. Questi scatti sono stati pubblicati sulle migliori testate internazionali come il Reuters, il New York Times, il Washington Post, National Geographic, BBC, CNN, Times, Le Monde, El Pais.
Visitarla significa rivivere storie di anime fragili e perdute, che si sono cristallizzate nel tempo e che ora vivono nei cuori di chi le guarda.
L’arte ha un potere straordinario, ed è quello di rappresentare su carta il pensiero più inconscio degli esseri umani. La fotografia ne ha un altro che va al di là di ogni immaginazione, ed è quello di svelare – senza nessun giro di parole – i momenti, le gioie e le sofferenze di chi ha sempre amato la vita ma anche odiata. Questo è ciò che ho potuto velare assistendo all’esibizione organizzata a Bari dalla World Presso Photo. Ci sono mondi che viaggiano all’unisono con i nostri pensieri e altri che, invece, si disperdono nell’aria e noi non riusciamo più a coglierne l’essenza.
Sono quei luoghi in cui la gente soffre senza sapere il perché, e in cui le persone continuano a sognare il suono di una risata, pur sentendo solo il sapore delle lacrime sulla loro pelle. Soprattutto però, ci sono occhi che gridano aiuto e che non sanno come fare a fuggire via. Ci sono famiglie che stanno per crollare e altre che sono già crollate, perché troppo deboli erano i loro cuori e troppo forte è stato l’urlo della morte. Ci sono uomini che tornano dalla guerra e comunque sorridono, perché sanno di essere vivi, pur conservando nel cuore gli orrori di un’umanità che viene spesso schiacciata.
Ci sono posti vuoti, dove gli esseri umani non hanno il coraggio di camminare, e anche luoghi troppo pieni, in cui si viene schiacciati dal peso di una vita in frantumi e da quelle paure che non hanno mai abbandonato le case. In questi mondi, i bambini hanno gli occhi che si illuminano, e verrebbe solo da stringergli la mano e sussurrare parole. Invece no, solo il silenzio abita in questi luoghi: le frasi si disperdono nell’aria e non si conoscono più modi per dire quello che si prova. La luce del Sole filtra tra gli alberi secchi e illumina i loro sguardi, pur sapendo di non poter più cancellare il buio nella loro vita.
Quando il cielo si fa limpido, le farfalle volano e si poggiano sui cuori diventati fragili troppo presto: tutti vorrebbero trasformarsi in loro, volando tra le incertezze dell’esistenze e continuare comunque ad essere felici. In quei luoghi persi nel nulla, la felicità non è però contemplata, e spesso il male spazza via tutte quelle briciole di bene che sono rimaste. Per fortuna, quando arriva la notte, tutto il caos trova la pace, e quelle anime fragili si distendono su tutto quel verde e guardano le stelle. Sono luci che non possono filtrare tra alberi secchi, ma che restano in quel cielo a guardare e a sperare che tutti questi timori possano un giorno trovare una casa.
E che quella casa possa riportare le parole che mettano fine al silenzio, e che si possa finalmente parlare. E ridere. Giocare. Diventare. Sognare. Sperare. Che tutti possano farlo con la stessa intensità che c’è in quei luoghi pieni di tutto, fatti di frasi dette e di urla che uccidono il silenzio. Forse non per sempre, ma almeno per quel pochissimo tempo necessario per capire che la vita stessa è un luogo e che, come tale, va vissuta da tutti nello stesso identico modo.