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Le parole di ogni tipo, di ogni luogo, di ogni persona. Sono le parole che portano Walter a viaggiare, a sedersi sulle strade di tutta Italia e scrivere. Scrivere attorniato di sguardi, curiosità, sogni e soprattutto altre storie. Forse sono anche le storie che lo conducono in luoghi sconosciuti, mentre gente mai vista in precedenza si avvicina e lo ammira in modo inaspettato. Scrive tautogrammi (versi formati da parole che iniziano tutti con la stessa lettera) con la sua Olivetti, mentre il suono della tastiera fà da sfondo a un panorama diventato magico grazie alle parole. Accanto a lui, alcune copie del suo libro “Il drago non si droga”, edito da Red Fox.
Una storia diversa, questa, quindi. Ma anche una storia fatta di storie. E le storie sono sempre un modo per partire e per ripartire, proprio dal punto esatto in cui ci eravamo fermati.
Lascio la parola a Walter Lazzarin, con l’augurio più grande di proseguire in questo meraviglioso percorso.
D: Raccontaci la tua storia in poche righe. Chi è Walter Lazzarin?
R: Uno che odiava studiare, e poi ha finito per laurearsi due volte. Uno che odiava scrivere i temi per casa (spesso li sbolognavo a mia mamma, che si divertiva un sacco a farli al posto mio) e poi ha finito per vivere di scrittura. Mi piacciono i paradossi e non amo la coerenza.
D: Come nasce questa originale e bellissima idea di autopromozione del tuo romanzo? C’è qualcuno o qualcosa in particolare che ti ha ispirato?
R: È nata come idea per un romanzo: avevo iniziato a scrivere una storia in cui il protagonista decideva di promuovere il suo ultimo libro andando in giro per l’Italia, porta a porta, campanello per campanello; poi ho deciso di sbarazzarmi del personaggio e di prendere il suo posto. Ho commesso un omicidio e non me ne pento per niente, Vostro Onore.
D: Qual è la tua opinione circa il mondo dell’editoria di oggi e le poche possibilità che vengono offerte agli scrittori emergenti?
R: L’editoria è in difficoltà come molti altri settori artistici e culturali. Il problema è che internet rifornisce gratuitamente chiunque di un enorme quantitativo di romanzi, film, album. Che fare? Puntare sulla qualità. Pubblicare libri fatti bene sotto tutti i punti di vista, enfatizzare il valore aggiunto della carta. Detto questo, non mi pare che vengano offerte poche possibilità agli aspiranti e/o emergenti scrittori; semmai c’è parecchia competizione e farsi notare è difficile. La maggioranza delle persone non ha granché di originale da comunicare al mondo.
D: Che ruolo hanno le parole nella tua vita, e quanto pensi che queste possano salvarci?
R: Nella mia vita, purtroppo, significano perlopiù “professione”; tendo a considerarle in modo pedante e rabbrividisco quando sento (o leggo) cose espresse con carenza di logica. Le parole sono incantesimi: le pronunci o le metti per iscritto e puoi suscitare vari tipi di emozioni. Possono salvare ma pure punire. Per strada, grazie ai tautogrammi che regalo, faccio ridere parecchi passanti. E mi sento bene infilando gli occhi tra le loro labbra a U.
D: C’è un episodio o un aneddoto particolare che ricordi maggiormente tra le tue avventure per le strade?
R: Eh, ne ricordo almeno un milione. Un ubriaco a Milano che mi ha promesso una sberla, un sedicente poeta a Catania che ogni giorno tornava a chiedermi se la mia casa editrice poteva pubblicarlo; una ragazza a Torino che mi è passata davanti col sorriso e poi è tornata indietro con due caffè. Eh, ne ho vedute tante da raccontar. Giammai un elefante volar.
D: Quale fascia di età riesci ad attirare con le tue storie?
R: Per strada chi si ferma di più sono le donne, tra i trenta e i cinquant’anni. Ma non credo che dipenda dalle storie che propongo, bensì dalla mia magrezza che stimola istinti materni.
D: Raccontaci brevemente la trama del tuo libro “Il drago non si droga”. Come nasce l’idea per la sua stesura?
R: Da piccolo più volte avrei voluto scappare di casa col mio pupazzo preferito, cioè un drago di peluche; non ho mai avuto il coraggio di farlo, ma mi sono rifatto almeno un po’ scrivendoci una storia: “Il drago non si droga”. Giacomo ha quasi otto anni e di notte abbandona il proprio palazzo per intrufolarsi nei giardini pubblici; lì, nella penombra, vede un gruppo di tossicodipendenti. Uno di loro lo vede e lo chiama per nome. Come fa a conoscere Giacomino? Per scoprirlo, cercatemi per strada.
D: Come vedi il tuo futuro e qual è il tuo sogno più grande?
R: Il futuro non lo voglio vedere, perché ho paura. In quanto al sogno: voglio vincere i Mondiali di calcio col numero 33 sulle spalle. Finale? Italia contro Brasile. Segno il 3 a 2 su rigore, dopo avere detto a Totti: – Mo’ glie faccio er cucchiaio.
Ringrazio Walter Lazzarin per la sua collaborazione e per il tempo che mi ha donato, augurandogli di continuare a sorprenderci e a sorprendersi.
Presentazione e intervista a cura di Stefania Meneghella