Valeria Petruzzelli – Tra sonno e realtà

“Il passato è un campo di addestramento, Storia di lei”


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Restare chiuse in un passato che non ha futuro, con la speranza che qualcuno ci prenda per mano e ci conduca in una strada di illusioni sincere, promesse mantenute, dolori che ritornano per svanire, e sorrisi.
A volte, i sorrisi sono solo miraggi lontani, come un Sole che tramonta nascosto dal mondo, come un Sole che non ha la forza di risorgere.
Spesso, l’animo umano è attanagliato da questi momenti: momenti in cui si preferirebbe essere un’altra persona, e diventare chi non si è mai stati, e dimenticare gli attimi perduti, le persone incontrate che ci hanno fatto male, gli sguardi. Così, si finisce per entrare in un baratro di solo andata, in cui è la mente la vera protagonista e non possiamo, non riusciamo ad essere noi stessi, ad essere nuovamente noi.

Parla di questo il libro che oggi conosceremo meglio, “Il passato è un campo di addestramento, Storia di lei” della giovane autrice Valeria Petruzzelli. Un libro che pone al centro di tutto il bisogno, psichico e spesso carnale, di uscire da quel tunnel in cui la mente umana si rifugia. La protagonista è Eve, giovane donna che, ossessionata da James, il suo amore finito, incarna perfettamente, nelle pagine di Valeria, la fragilità umana e la necessità di sentirsi viva, ancora. La donna si rifugia costantemente in altre persone con cui non riesce a stringere veri legami, se non fisici, solo per fuggire dal legame conflittuale che lei ha con sé stessa. La storia denota innumerevoli significati, ma ciò che fa da sfondo all’intera trama sono le sfaccettature dell’inconscio che, quasi in equilibrio tra mente e cuore, sembra addirittura fuoriuscire dal corpo di Eve e guardarla da lontano. Ha luogo così un disturbo psichico, quasi alterazione della personalità, che la porta a non conoscersi più, a non riuscire a distinguere i momenti tra veglia e sonno che contraddistinguono la vita di qualsiasi essere umano. L’unico elemento a rendere ancora viva la sua esistenza è la musica, sempre presente nella vita di Eve, come una colonna sonora dei suoi attimi. E’ proprio la musica a tramutarsi infatti in quel filo invisibile che lega la persona che è a quella che vorrebbe diventare. Il tutto orchestrato da una struttura originale del romanzo, composto da una serie di pagine di diari attraverso cui la protagonista racconta al lettore la sua storia, le sensazioni e i sentimenti, influenzandolo in ogni suo vissuto. Ciò che resta del romanzo è una scia delicata di quello che Eve ha trascorso e di ciò che rimane della sua mente fragile ma apparentemente forte. Un libro che lascia molto, quello di Valeria Petruzzelli; un libro che è quasi un inno alla vita e agli attimi da vivere sia nella realtà che nel sonno, due luoghi che si differenziano tra di loro ma che riescono spesso a conciliarsi all’interno dello stesso animo umano.

Lasciamo la parola a Valeria, con l’augurio più grande di continuare a trasformare ogni suo pensiero in scrittura.


D: Come nasce l’idea per questo romanzo?
R: Da tante brutte giornate. Per me scrivere è sempre stato uno sfogo e cominciare a scrivere questa storia è stato un modo per sfuggire da una realtà che mi stava facendo soffrire. È stato un rifugio ed un modo di razionalizzare ciò che mi sembrava del tutto fuori controllo.

D: Nelle tue pagine, si evince particolarmente una continua lotta interna nella protagonista, ossessionata da James. Secondo te, qual è l’unico modo per fronteggiare un conflitto psichico che ha luogo nella mente e non riesce a trovare rifugio nell’anima?
R: L’unico modo è il modo più semplice: smettere di pensarci. Il conflitto interiore è un pensiero che torna su sé stesso senza soluzione e finisce per creare un disagio con sé stessi e nel rapporto con gli altri. La distrazione, per quanto momentanea, è il solo sollievo che ha il nostro cervello in una situazione che altrimenti non si risolverebbe. Eve incarna perfettamente questo atteggiamento ricercando il proprio equilibrio nell’altro, nell’eccesso, nel bisogno di autoaffermarsi.

D: Si percepisce, leggendo il tuo libro, anche una particolare confusione rispetto al legame, spesso conflittuale, tra sonno e realtà. Come hai gestito questo difficile rapporto tra di essi durante la stesura del romanzo?
R: Scrivendo a notte fonda, la stanchezza ha aiutato molto. La dimensione onirica è venuta da sé, quella reale è stata un po’ più difficile da rintracciare proprio per il bisogno della mente di “staccare la spina”. Direi che se avessi scritto di giorno avrei incontrato molte più difficoltà.

D: Un personaggio importante è la musica, che rappresenta quasi la cornice della storia. Qual è il tuo legame con essa?
R: Con la musica ci sono cresciuta e ci vivo. Il mio fidanzato è un musicista, io prendo lezioni di canto; diciamo che la musica riempie le mie giornate. Sono molto affezionata a dei brani che ho inserito nel libro, per altri ho dovuto fare delle ricerche (sul jazz per esempio), altri ancora mi sono venuti in mente scrivendo determinati passaggi. Direi che la vita va affrontata con un’adeguata colonna sonora, anche se non è facile trovare quella adatta. Siamo bombardati continuamente da musichette e jingle che ci stancano le orecchie e la mente, direi che sarebbe consigliabile per ognuno di noi dedicare del tempo ad un ascolto consapevole, o quantomeno scelto da noi e non da tutto ciò che ci circonda (tv, radio, internet). Bisogna avere il coraggio di chiudere la porta, mettere le cuffie ed ascoltare quel cd impolverato, se è quello che ci fa stare bene. Se ne esce rigenerati, ve lo assicuro.

D: Sono davvero tante le persone che Eve incontra nel suo percorso, con cui stringe legami quasi per fuggire dalla sua ossessione per James. Secondo te, questo legarsi a uomini o donne in modo impulsivo l’ha aiutata a superare le sue crisi interiori?
R: No, affatto. L’ha riempita di esperienze, ma non ha imparato a reagire. Forse comincia a farlo solo quando smette di provarci, prendendo coscienza della propria dipendenza e provando a gettarsi tutto alle spalle.

D: Come definiresti il legame tra Eve e James?
R: Eve è senza dubbio dipendente. Lei pensa che lui sia l’unica strada attraverso cui essere felice e ritrovare la serenità. James sa che Eve gli è devota e gioca molto con il suo ruolo di “burattinaio”, quindi è senz’altro un rapporto impari. E da questa disparità non può nascere niente di buono.

D: Il libro è narrato in prima persona, composto da una serie di pagine di diario scritte dalla protagonista. Che ruolo hanno le parole nella tua vita e in quella di Eve?
R: Eve lavora con le parole, fa la giornalista, quindi descrivere, narrare fa parte delle sue giornate. Nella mia vita sono meno presenti dal punto di vista professionale, ma nel tempo libero la scrittura e la lettura sono le mie “fidate compagne”. Nonostante il libro sia finito, ogni tanto ho l’esigenza di farle mettere il casco e farla montare in sella alla sua moto per farle vivere qualche avventura che non c’è nel libro. Poi ho un mio blog (in realtà ne ho almeno tre) sul quale scrivo delle mie giornate, di ciò che penso in merito a fatti di cronaca, di costume o semplicemente di ciò che mi capita nella vita di tutti i giorni. Avevo anche un blog culturale, Il Nuovo Caffè, ma è caduto un po’ in disuso per carenza di collaboratori, quindi se qualcuno è interessato… Fatevi avanti!

D: Il tuo romanzo sembra appartenere a vari generi: dal noir all’erotico, fino a raggiungere anche sfumature introspettive e psicologiche. Come sei arrivata alla decisione di mescolare più generi apparentemente differenti tra di loro ma che si combaciano perfettamente in queste pagine?
R: Il romanzo nasce come noir. Le mie letture (Valérie Tasso, Belle De Jour, Valentina Maran) mi hanno fatto scoprire la passione per un genere che porta l’eros alla portata di tutti senza risultare volgare e fuori luogo. I miei studi mi hanno condotta a dare vita ad una riflessione sull’introspezione, l’inconscio e l’interpretazione dei sogni. È un mix di tutto quello che sono, che ho letto, che ho studiato e che vorrei trasmettere al lettore sulla mia visione del mondo.

D: Senza rivelare nulla sul finale, cosa vorresti che fosse trasmesso al lettore dopo aver terminato l’ultima pagina?
R: Vorrei che il lettore capisse l’importanza delle piccole cose, senza andarle a ricercare molto lontano da casa propria. Mi piacerebbe che, chiuso il libro, si sorridesse e si pensasse: “Se voglio essere felice, devo assolutamente farlo subito.”. È inutile sperare che qualcuno ci salvi, la nostra vita dipende da noi e va goduta in ogni momento, perché non sappiamo cosa ci aspetta domani.


Ringraziamo Valeria Petruzzelli, con l’augurio più grande di continuare a trasformare ogni suo pensiero in scrittura.

Recensione e intervista a cura di Stefania Meneghella

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Stefania Meneghella