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Gocce di veleno
Valeria Benatti
Ci sono creature che superano barriere e universi per ritornare sé stesse, ci sono creature nate su una stella e cresciute nell’azzurro del cielo. Sono le creature che incontriamo ogni giorno alla fermata dell’autobus, mentre tutto il mondo quasi non le vede, quasi non le guarda; sono le creature che cullano i nostri corpi ancora fragili, le nostre anime ancora alla ricerca di qualcosa.
Sono le donne, siamo noi donne.
Oggi vorrei raccontarvi una storia, è la storia di una donna che, tra le pagine di un libro, ha saputo parlarci in un modo sincero e trasparente, rivelandosi per come è, e per come noi tutte dovremmo essere.
Tra quelle pagine, il suo nome è Claudia. Ma potrebbe chiamarsi in altri mille modi, perché quella giovane donna è dentro ognuna di noi.
Un passato talmente difficile da essere rimosso dalla sua memoria, e un presente che non ha futuro. Almeno per il momento, almeno per quel cuore che batte senza amare davvero, almeno per quei polmoni che respirano vento ma non aria. Almeno.
…Almeno la vita di Claudia è fatta di emozioni forti, di passioni che lacerano il cuore, di vite che la toccano senza sfiorarla, di uomini. E per lei inizialmente va bene così; “l’amore non esiste”, pensa spesso.
L’amore non esiste….tanto vale sopravvivere con quello che le capita. Sopravvivere, senza vivere.
Sopravvive per tanti anni, Claudia, inconsapevole. Sopravvive soprattutto quando nel suo percorso di corpi e non di anime incontra BarbaBlù, apparentemente un uomo, ma in realtà un mostro.
E lei ancora non lo sa.. lei ancora non sa che quel mostro avrebbe rapito il suo passato, il suo presente, il suo futuro; lei ancora non sa che le avrebbe strappato via il tempo: il tempo per amare, per sognare, per sperare, il tempo per essere donna.
Perché lei, intanto, donna si sentiva solo in alcuni momenti. Per la restante parte degli attimi, lei era solo un corpo.
Un corpo che sopravviveva. Niente di più.
Così queste pagine dal titolo “Gocce di Veleno” di Valeria Benatti (Giunti Editore), ci sussurrano e ci parlano, e c’è Claudia, proprio lì che ci fissa negli occhi e ci ricorda dolcemente che siamo Donne, ma Donne come nessuno ha mai pensato che fossimo. Donne vere, e abbiamo un corpo che copre un’anima che quel BarbaBlù le ha strappato via.
Così, mediante pagine di diari, mediante una scrittura del tutto sincera, Claudia si confessa a tutte noi, ma si confessa come non ha mai fatto a nessuno. Rivela al lettore ogni emozione, ogni paura, ogni lacrima, tutto quello che non ha ancora rivelato ai suoi amici o alla sua famiglia. Il lettore resta spettatore di un dolore che, pian piano, diventa anche un po’ suo e piange… piange con Claudia, il lettore.
E vorrebbe carezzarla, ma si ritrova a carezzare delle
pagine che raccontano di una donna che ha iniziato a vivere solo quando qualcuno le ha teso la mano e le ha dimostrato che il mondo esisteva ancora attorno a lei, e non era più quel mostro a costruirne l’essenza.
Non era più.
Quel mostro non era più. Ma Claudia era, invece. Claudia è, le donne sono.
Questo romanzo ci ricorda – a volte in modo delicato, a volte esplicitamente, a volte trasformandosi in piuma – che noi Donne siamo, siamo qui.
E ci saranno, certo che ci saranno mostri che vorranno portarci via la libertà di essere ancora vive, e la consapevolezza di potercela fare, e l’universo che ci siamo create, e quel modo speciale che abbiamo di sorridere.
Dunque io Claudia l’avverto ancora, ogni giorno, dentro di me.
Cammina a passi lenti nell’anima di ognuna, ma corre, corre veloce nell’anima di chi non ci ha mai capite, in uomini che voltano spalle o che distruggono mondi, deludono sguardi, rapiscono spiriti. Nelle loro anime, Claudia corre. E loro hanno paura, e fuggono via. Fuggono.
Bisogna correre, bisogna lottare, bisogna sconfiggere queste violenze che lacerano il tempo. Prenderci per mano è l’inizio della corsa che ci porterà a salvarci, a salvare gli sguardi e i sorrisi che ci trasformano in piccole dosi di eternità.
Lascio volentieri la parola a Valeria Benatti, ringraziandola per averci deliziato di questo splendido, riflessivo, rigenerante romanzo, per averci portato a conoscere
Claudia e la sua storia, per averci ricordato che siamo Donne nell’anima e non solo nel corpo. Buona lettura!
D: In “Gocce di Veleno”, il tuo ultimo romanzo, racconti la storia di Claudia, quasi obbligata a cadere nel tunnel oscuro costruito dall’uomo che chiami BarbaBlù. Quali sono i segnali che una donna dovrebbe cogliere per capire di essere caduta anche lei in quel “baratro”?
R: Quando una donna vive un amore malato, è profondamente infelice. La relazione, invece di essere fonte di gioia, le procura ansia, insicurezza, paura. Ciononostante non riesce a troncarla, anche se razionalmente capisce che è del tutto insensato stare con chi le fa solo male. L’infelicità e la dipendenza sono due segnali da prendere in seria considerazione.
D: Che ruolo ha avuto la scrittura in questo tuo percorso non molto semplice? E’ stato difficile raccontare la storia di una donna molto simile a te?
R: La scrittura è terapeutica perché ti costringe a fare chiarezza, e a chiamare le cose col loro nome. Il percorso di guarigione non è affatto facile, e anzi molto doloroso, ma una volta iniziato il cammino e deciso di mettersi al centro, tutte le prospettive vissute fin lì cambiano. Claudia assomiglia a me come a tutte le donne del mondo . Ognuna di noi ha incontrato nella vita, sul lavoro, in famiglia, un suo Barbablù.
D: Nel corso della storia, Claudia scopre di essere stata vittima, per tutta la vita, di un’ossessione a causa di un passato altrettanto burrascoso. Secondo te, se lei avesse scoperto in tempo quella sofferenza avuta nell’infanzia, sarebbe riuscita a non cedere alle tentazioni del “Mostro”?
R: Penso proprio di si. Le donne con scarsa autostima, che non si vogliono bene e non sanno proteggersi sono state spesso bimbe abusate. Una ferita inflitta durante l’infanzia può condizionarti l’intera vita, finché non riuscirai a guardarla in faccia e a curarla. Solo una volta guarita potrai vivere un amore sano.
D: Fondamentale per Claudia è stato il centro antiviolenza. Come l’ha aiutata a salvarsi?
R: Il centro antiviolenza è centrale nel mio romanzo, perché è il luogo deputato a curare e risolvere le problematiche legate alla violenza, sia psicologica che fisica. Nel momento in cui una donna varca quella soglia, è già salva a metà, nel senso che decidere di farsi aiutare e quindi ammettere di avere un problema è metà del percorsodi guarigione. L’altra metà la si fa affiancate da persone competenti, ripercorrendo la propria vita e curando le proprie ferite. Lo so bene perché ci sono passata anch’io.
D: Qual è stato il momento in cui hai capito che ce l’avevi fatta, che quel periodo sarebbe stato da quell’attimo in poi solo un ricordo?
R: Dopo il primo incontro a “Cerchi d’acqua”, quando le volontarie dell’assistenza mi hanno fatto aprire gli occhi sulla realtà. Quello che chiamavo amore era invece pura violenza. Sentirmelo dire chiaro e forte da due estranee mi è servito per uscire dalla trance. A quel punto ero smascherata, non potevo più fingere nemmeno con me stessa che tutto andava bene.
D: Qual è il consiglio che vorresti dare alle tantissime bambine, ragazze, donne che annualmente subiscono violenze?
R: Di non isolarsi, e di chiedere aiuto subito, senza aspettare un secondo di più. Le donne che subiscono sottovalutano il pericolo, non credono possibile che l’uomo che amano possa davvero far loro del male. Purtroppo sappiamo che non è così.
D: Secondo te, quale potrebbe essere il mezzo più potente utilizzato da noi donne per combattere e finalmente sconfiggere queste situazioni?
R: L’informazione e la prevenzione, fin da piccole. Se ci insegnassero a volerci bene, a stimarci, a rispettarci e a farci rispettare, se ci dessero la possibilità di parlare di quel che ci accade senza tabù e vergogna, potremmo crescere libere e felici.
D: Credi nel vero amore e come pensi si possa riconoscere?
R: L’amore vero è quello che ti fa stare bene, che ti riempie il cuore di gioia e di allegria, che ti fa sentire protetta e preziosa. Esiste, ma bisogna saperlo riconoscere.
D: Oggi è la Giornata mondiale contro la Violenza sulle donne. Mi piacerebbe terminare questa intervista con una tua riflessione, rivolta stavolta agli uomini. Immagina che tutte le donne del mondo ti nominassero loro portavoce: cosa vorresti dire agli uomini che usano la violenza, e anche a coloro che agiscono con indifferenza dinnanzi a queste problematiche?
R: Noi donne siamo le vostre madri, le vostre sorelle, le vostre amiche, le vostre amanti, le vostre figlie. Pensateci quando state per alzare una mano contro una donna, ricordatevelo quando state per insultare una ragazza, indignatevi quando un uomo come voi maltratta una creatura indifesa come una bambina.
Recensione e intervista a cura di Stefania Meneghella