Ugo Dighero – Le maschere possono diventare volti

Le maschere possono davvero diventare volti. In tutti i momenti che vogliamo.
Anche i volti possono spesso diventare maschere. In ogni istante.
C’è forse un’empatia tra questi due elementi che li rende eterni, come se fossero destinati ad incontrarsi, prima o poi. Ad incontrarsi e diventare un’unica entità.
C’è un filo invisibile che lega le maschere dai volti, e viceversa. Questo filo prende il nome di anima.
Solo nell’anima, due mondi apparentemente distanti possono vedersi e svelarsi. Svelarsi per quello che sono sempre stati. Svelarsi per quello che hanno sempre sognato di diventare.

Protagonista di oggi è Ugo Dighero, un attore capace di compiere questa magia: unire maschere e volti in un’unica anima, nella sua. C’è qualcosa di speciale nel suo modo di recitare: c’è quella capacità di fondere ciò che è da ciò che vuole diventare. C’è il desiderio di fondere la maschera che intende perseguire dal volto che non intende abbandonare. Il volto resta sempre nascosto nella parte più recondita dell’anima, mentre la maschera viene scoperta improvvisamente diventando la sola protagonista della scena.
La sua recitazione è dunque una continua scoperta del volto nascosto e un’ammirazione della maschera che, in quell’istante, lo rappresenta. Spaziando tra vari generi, dalla comicità al drammatico, le sensazioni che si provano nel guardare Ugo Dighero sono contrastanti ma tutte della stessa intensità.
Sono le sensazioni di chi cerca la verità contenuta in una finzione e la trova proprio quando comprende che in qualsiasi maschera c’è un volto reale, sincero, vero. Il volto di chi crede.

Ugo Dighero si diploma nel 1982 presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova. Tra gli insegnanti ricordiamo Gian Maria Volontè e Marcello Bartoli. Col regista Mario Jorio fonda la compagnia “Oltre l’immagine” presente alla Biennale di Venezia nel 1985 con lo spettacolo “Che ci sta a fare qui una porta”. Nel 1985 comincia la lunga collaborazione col Teatro dell’archivolto e con il regista Giorgio Gallione. Nel 1992 inizia la sua avventura televisiva in “Avanzi” e “Tunnel” insieme al gruppo dei Broncoviz, coi quali realizzerà “Holliwood party” per RAI 3 sempre come attore-autore. Nel 1998 comincia la sua collaborazione con la Gialappa’s Band con “Mai dire gol” e nello stesso anno apparirà nel serial “Medico in famiglia“. Tra le altre serie realizzate ricordiamo “RIS, delitti imperfetti“. Nelle miniserie “Brancaccio” e “A voce alta” per RAI 1 indosserà i panni di personaggi realmente vissuti , Don Pino Puglisi ed Emanuele Cirinnà. Dopo la lunga tournèe con P. Favino in “Servo per due“, è attualmente in tournée con due monologhi: “Mistero buffo” di Dario Fo e “L’inquilina del piano di sopra” di Pierre Chesnot.

Lasciamo la parola a Ugo Dighero, con l’augurio più grande di continuare a svelarsi mediante la sua anima.


D: Come nasce la passione per la recitazione?
R: Mio padre ha recitato tutta la vita da dilettante; a Genova era un divo del “dialettale”, molto diffuso all’interno della mia zona. Posso dire che grazie a lui ho avuto modo di interfacciarmi con questo mondo.

D: Cosa ricordi delle tue prime esperienze teatrali?
R: La grandissima emozione di provare a entrare nei panni e nella testa di un personaggio durante tutto lo spettacolo; è anche un modo per conoscere meglio sé stessi e questo è molto interessante.

D: Quale è stato il momento in cui hai compreso che il genere per te più adatto fosse quello comico?
R: Dal punto di vista attoriale, la comicità è una scuola di teatro fantastica; se si riesce a far ridere la gente attraverso la comicità sarà facile trasmettere altre emozioni al pubblico, tra cui il pianto. Lo studio per ottenere ciò permette di conoscere bene il personaggio, i meccanismi della recitazione, i tempi. Un attore comico è sicuramente un bravo attore drammatico, mentre non è affatto vero il contrario.

D: A quale dei personaggi da te interpretato durante la tua carriera sei più affezionato? Perché?
R: Oltre al personaggio di don Pino Puglisi, sono legato ad un personaggio chiamato Emanuele Cirinnà che ha denunciato alcune truffe perpetuate nei cantieri navali di Palermo, un personaggio attualmente esistente che ho considerato un’ avventura.

D: Ti abbiamo visto anche nella Gialappa’s band. Cosa ci racconti di quell’esperienza?
R: La Gialappa’s è una straordinaria palestra di improvvisazione, creatività e libertà espressiva; quando si registra ci sono i commenti come la radio in televisione. Si lavora sull’improvvisazione e sui paradossi. E’ stato davvero fantastico.

D: Un personaggio che ti ha dato molta notorietà è stato Giulio Pittaluga, personaggio di alcune serie di Un medico in famiglia. Ti è piaciuta l’evoluzione del personaggio nel corso delle varie stagioni? In cosa ti rivedi in lui?
R: Giulio è sicuramente un cialtrone; ognuno di noi ha un aspetto cialtronesco ma lui esagera. E’ inoltre in grado di sostenere una menzogna con una spregiudicatezza che io non ho. Lo definirei, sotto questo punto di vista, uno dei personaggi più “trasgressivi” di Un medico in famiglia.

D: Come è stato interpretare il celebre personaggio di Don Pino Puglisi nella fiction “Mille giorni a Brancaccio” insieme a Beppe Fiorello vedendosi in un ruolo drammatico?
R: Don Pino Puglisi è in assoluto il personaggio che ho avuto più piacere di interpretare, essendo anche lui un personaggio realmente esistito. Come dicevo prima, per chi ha le basi comiche non è difficile cimentarsi in un ruolo drammatico. Ho avuto modo di conoscere le persone che continuano il lavoro di Don Pino Puglisi: tutti coloro che aiutano i ragazzi a non perdere la luce del loro percorso di vita. Sono persone fantastiche che non mollano mai.

D: Come ti piace descrivere la tua carriera fino ad ora?
R: Sono stato fortunato per diversi versi anche per degli incontri meravigliosi lavorativi e studio; ho avuto anche parti importanti in fiction. Ma ho avuto anche una sorta di “superficialità” credendo per molto tempo che il talento sarebbe stato la parte risolutiva della mia carriera, venendo poi a scoprire che in questo paese non è l’elemento principale.

D: Raccontaci del tuo ultimo spettacolo teatrale.
R: E’ una commedia francese di Pierre Chesnot, che tratta un rapporto tra due solitudini. Una donna di 40 anni single cerca di concupire il primo uomo che incontra: l’inquilino del piano di sotto che incontrerà perché lei gli allaga l’appartamento. Lo spettacolo si chiama “L’inquilina del piano di sopra” e sarà al teatro Brancaccio di Roma fino al 23 ottobre; l’interprete femminile è Gaia De Laurentis.

D: Quali sono i tuoi futuri progetti?
R: Ho dei progetti teatrali, un lavoro che stiamo preparando con Francesco Piccolo, un progetto con il gruppo di attrici “Miti pretese” composto da Manuela Mandracchia, Mariangeles Torres, Sandra Toffolatti, tre attrici straordinarie. Sempre tanto teatro!


Ringraziamo Ugo Dighero, con l’augurio più grande di continuare a svelarsi mediante la sua anima.

Recensione a cura di Stefania Meneghella
Intervista realizzata da Manuela Ratti
Pubblicazione a cura di Roberta Giancaspro

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Stefania Meneghella