Abbiamo incontrato Susanne Schwenzer, mineralogista, planetologa e Senior Lecturer presso la Open University di Milton Keynes (Regno Unito). Lei è specializzata nelle interazioni fluido-roccia, e attualmente si sta concentrando sull’esplorazione di Marte come membro del team scientifico del rover Curiosity della NASA, in attività su Marte dal 2012. Schwenzer è anche uno dei sei scienziati europei del team scientifico della missione Mars Sample Return della NASA e dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea).
La Mars Sample Return è la missione robotica più importante e più difficile della storia dell’esplorazione spaziale: l’obiettivo è andare a prendere i campioni marziani che attualmente il rover Perseverance della NASA sta raccogliendo e depositando sulla superficie di Marte, e portarli sulla Terra entro il 2033. Il rover Perseverance, atterrato su Marte nel 2021, si trova nel cratere Jezero, precisamente nell’antico delta fluviale marziano, dove 3 miliardi di anni fa sfociava un fiume. Gli scienziati devono quindi capire se in passato ci fosse la vita su Marte, o se tuttora ci sia una vita microbica.
Come è nata la tua passione per lo studio dell’acqua attraverso le rocce terrestri e marziane?
Sono una mineralogista di formazione, e ho studiato le interazioni acqua-roccia qui sulla Terra per il mio master presso la University of Mainz in Germania. Poi ho fatto un dottorato di ricerca sui gas nobili presenti nei meteoriti marziani: è probabile che alcune di quelle “impronte” di gas nobili documentino anche delle reazioni acqua-roccia. Perciò, combinando i miei due studi, cioè la mineralogia delle reazioni acqua-roccia e Marte, ho trovato la mia nuova passione: studiare quelle reazioni su un altro pianeta, su Marte. Ovviamente la Terra ha ancora un ruolo fondamentale, poiché molti processi possiamo studiarli qui sulla Terra su rocce simili a quelle di Marte, e poi tutto questo ci permette di conoscere i processi che avvengono su entrambi i pianeti.
Quando studiate le rocce terrestri e marziane, come fate a capire se in passato c’era l’acqua?
La mineralogia è la chiave per capire cosa è successo a una roccia. Se vai sull’Etna e raccogli un pezzo di roccia, proveniente dalla lava che si è appena raffreddata, vedrai che è nera e lucida, e ha delle vescicole – piccole bolle aperte e vuote che si sono “congelate” sul posto, quando la lava si è raffreddata e ha formato questa roccia. Originariamente erano piene di gas del magma, ora invece sono piene di aria. Se vai sullo stesso vulcano e guardi le rocce su cui la vegetazione ha già iniziato a crescere, ti accorgerai che la roccia sembra opaca e, successivamente, potresti persino trovare alcune vescicole piene di materiale bianco. Si tratta di cristalli di recente formazione, formatisi dalla reazione della roccia con l’acqua della pioggia, ma anche con altre sostanze chimiche, come ad esempio la CO2 disciolta al suo interno dall’atmosfera o dagli acidi organici che provengono dalle piante e dai microbi dell’ambiente.
Questo è solo un esempio di ciò che accade quando l’acqua e la roccia reagiscono. E’ anche uno degli esempi che tutti possono constatare e studiare durante le escursioni sull’Etna (ovviamente quando è sicuro andarci!). Quando guardo una roccia, spesso non ho il lusso di poter confrontare la roccia nuova con quella alterata dall’acqua. Mi viene semplicemente presentata la versione alterata della roccia, e da lì devo cercare di capire cosa è successo.
È un po’ come una scena del crimine: ci viene presentato il risultato dell’azione dell’acqua, ma quell’acqua se n’è andata da tempo, il più delle volte da milioni di anni, o a volte anche da miliardi di anni! La chiave è cercare di comportarsi come si comporterebbe un detective: osservare e raccogliere tutte le prove. Gli strumenti di un mineralogista sono prima di tutto i suoi occhi, che guardano la roccia: è lucida? Quanti colori e quante forme vedo? Successivamente guardiamo con una lente di ingrandimento e poi con un microscopio.
Ciò ci consente di comprendere i minerali presenti nella roccia e di cominciare ad attingere dalla nostra conoscenza, la quale ci dice quali minerali primari si formano dalla lava o da altri processi geologici, o quali minerali si formano dalle reazioni acqua-roccia (i minerali secondari). Questo ci offre una buona visione d’insieme. Dopodiché possiamo affinare il tutto utilizzando strumenti analitici, e questo ci darà una comprensione molto approfondita sulla chimica di ciascun minerale. Potremmo anche trovare alcuni minerali non visibili neanche alla risoluzione di un microscopio ottico, poiché estremamente piccoli.
Una volta che comprendiamo la chimica di tutti i minerali e possiamo dividerli nei due gruppi, quelli primari e quelli secondari, siamo in grado di capire le reazioni che si sono verificate. Ma c’è un agente che non possiamo osservare: l’acqua! Quest’ultima è scomparsa da tempo (proprio come il criminale sulla scena del crimine). Usiamo quindi uno strumento chiamato modellazione termochimica, per scoprire come l’acqua abbia formato i minerali secondari che osserviamo oggi, e hanno sostituito quelli primari che erano una volta presenti. Questo ci permette di conoscere la temperatura alla quale i processi sono avvenuti, ma anche com’era l’acqua: era salata o no?
Quando c’è l’interazione fluido-roccia, cosa succede alla roccia?
Quando un fluido reagisce con una roccia, dissolve i minerali all’interno di quella roccia. I fluidi sono solitamente acqua con alcune sostanze chimiche disciolte: CO2 dall’atmosfera, forse anche dell’acido solforico (se sotto c’è un vulcano). Se si pensa ai Campi Flegrei e all’odore che li circonda, si ha una buona immagine dei gas che possono provenire da un vulcano e possono dissolversi nell’acqua, sia sotterranea che piovana. A seconda della composizione chimica e della temperatura, il fluido dissolverà solo una piccola parte o una gran parte dei minerali della roccia. Più è grande la porzione disciolta più elementi entreranno nel fluido. Ad un certo punto la concentrazione di alcuni di questi elementi e composti chimici nel fluido, sarà così alta che inizieranno a formarsi nuovi minerali.
I primi due elementi che formano i nuovi minerali sono generalmente ferro e alluminio. Potresti aver trovato rocce con macchie superficiali rossastre o giallo-rossastre: si tratta di ossidi di ferro e idrossidi di ferro, che sono uno dei primi minerali a formarsi quando la roccia si dissolve in acqua. I cristalli bianchi che si formano nelle vescicole e che ho menzionato prima sono spesso zeoliti, e si formano a partire dalla silice e dall’alluminio presenti nella roccia, ma contengono anche altri elementi come il sodio e il potassio.
La formazione di nuovi minerali dipende fortemente da due cose: la composizione della roccia (per esempio se fosse un basalto di Stromboli o un granito della Sardegna), e la natura dell’acqua (per esempio, quanto fosse acida o basica e quale era la sua temperatura). Se fosse un basalto, elementi come ferro e magnesio sarebbero più concentrati nella soluzione, e probabilmente si formerebbero ossidi di ferro a seguito delle reazioni acqua-roccia. Un granito ha pochissimo ferro ma molto più calcio di un basalto, il che rende più probabile la formazione di carbonato di calcio come minerale secondario. Quindi, la risposta a ciò che realmente accade è molto complessa e spesso ci vogliono settimane per capirlo!
Gli scienziati fanno un qualcosa di speciale: riescono a capire se 3 miliardi di anni fa c’era l’acqua su Marte studiando solo una piccola roccia!
La mineralogia, similmente alla biologia, è una scienza basata su osservazioni molto accurate. Se abbiamo una roccia davanti a noi, possiamo scoprire molti dettagli solo osservando. Spesso con l’aiuto di microscopi possiamo scoprire i minerali che sono presenti, ma anche le loro relazioni: quale c’era prima, cosa è successo… Si può vedere quando un minerale si è dissolto ai bordi, quali nuovi minerali potrebbero essersi formati e in quale ordine.
Ora sei anche un membro del team scientifico del rover Curiosity della NASA. Quali sono le scoperte più importanti che hai fatto durante la missione Curiosity?
Una missione è un lavoro di squadra, niente viene fatto da una singola persona. Mi sento incredibilmente privilegiata di far parte di un grande team di scienziati e ingegneri, che insieme esplorano il cratere Gale su Marte. Il rover Curiosity ha fatto scoperte incredibili nel corso degli anni e continua a farlo! (Qui puoi vedere un riassunto delle sue scoperte, scritte sul sito della NASA quando il rover ha compiuto 10 anni su Marte, clicca QUI).
Se dovessi scegliere le mie due scoperte personali preferite, allora sceglierei quelle correlate alle interazioni della roccia con l’acqua, ovviamente. La prima è la pubblicazione su come le vene di solfato di calcio, che Curiosity ha scoperto all’inizio della missione, si sono formate a causa dell’interazione acqua-roccia, alla quale è seguita la precipitazione, il ri-scioglimento e la precipitazione nelle vene. (Vedi questo articolo: Fluidi durante la diagenesi e la formazione di vene solfate nei sedimenti del cratere Gale, Marte – Schwenzer – 2016 – Meteoritics & amp; Scienze planetarie – Libreria online Wiley, clicca QUI).
La seconda scoperta è legata all’applicazione dei gas nobili, più specificamente per la datazione K-Ar delle rocce su Marte e le reazioni acqua-roccia che sono avvenute a queste rocce: abbiamo scoperto che i principali minerali nel sedimento si sono formati circa 4 miliardi di anni fa, ma la jarosite – un minerale di alterazione secondaria – potrebbe essersi formato fino a 2,6 miliardi di anni fa. Lo studio è stato condotto dal mio collega Peter Martin, che ha eseguito tutti i calcoli per combinare le misurazioni APXS del potassio con le misurazioni Ar dallo strumento SAM. (Vedi questo articolo: Un esperimento K-Ar in due fasi su Marte: datazione della formazione diagenetica della giarosite dalle acque sotterranee amazzoniche – Martin – 2017 – Journal of Geophysical Research: Planets – Wiley Online Library, clicca QUI).
Ma ci sono anche molte scoperte fatte dal team, in cui non sono coinvolta per la parte scientifica, ma di cui sono davvero entusiasta per ciò che stanno trovando. Hai visto le nuvole su Marte? (per vedere le nuvole di Marte clicca QUI). Sono così felice ed entusiasta di far parte del team, e due o tre volte al mese aiuto a mettere insieme i piani che verranno inviati al rover per eseguire tutte le misurazioni su Marte: è ciò che colloquialmente chiamiamo “guidare un rover su Marte”, che viene svolto da un team di ingegneri e scienziati ogni giorno.
Quali emozioni provi quando studi personalmente il pianeta Terra (come ad esempio il deserto dello Utah o il deserto di Atacama), con l’obiettivo di capire un altro pianeta come Marte? Qual è il segreto per lavorare con passione tutta la vita?
Quando lavoro per studiare le rocce terrestri o di Marte, sul campo e in laboratorio, sono spinta dalla curiosità. Voglio solo scoprire di più su ciò che ho davanti. Anche i paesaggi desertici sono affascinanti di per sé, il vuoto, l’ostilità alla vita – eppure, in ogni deserto troverai la vita che ha fatto di quei luoghi ostili la loro casa. Quando ero nel deserto di Atacama, ad altissima quota, senza acqua intorno a me e camminando per studiarne la geologia, mi sono imbattuta in un ingresso di una piccola tana. Certo, non ho scavato per vedere chi ci abitava, ma ho visto i segni freschi all’ingresso, probabilmente di un piccolo roditore. Non è fantastico?
Sei uno dei sei europei del gruppo scientifico della missione Mars Sample Return. Qual è la differenza tra i meteoriti marziani caduti sulla Terra e i campioni di Marte, che sta raccogliendo il rover Perseverance della NASA? Perché è così importante portare i campioni di Marte sulla Terra?
Questa è un’ottima domanda, perché abbiamo una collezione di meteoriti qui sulla Terra, che sappiamo provenire da Marte. Li studiamo quotidianamente e abbiamo già scoperto molto su Marte studiandoli. E continueremo a studiarli, anche dopo che i campioni raccolti dal rover saranno arrivati qui sulla Terra! I meteoriti marziani sono messaggeri molto preziosi, che ci vengono inviati da Marte gratuitamente! Ma questo è anche il loro problema! Per allontanarsi da Marte, occorre che un meteorite precipiti su Marte.
Infatti, se guardi le immagini del pianeta rosso, ti accorgi che è costellato da molti grandi crateri. I più grandi impatti avranno lanciato una maggiore quantità di materiale dalla superficie marziana allo Spazio. E questo processo è quasi un “filtro” per le rocce, poiché solo una piccola parte può arrivare sulla Terra, il resto viene distrutto dai processi violenti causati dall’impatto del meteorite.
Infatti, non abbiamo nessun materiale sedimentario nella collezione di meteoriti! Ma – come sappiamo dai rover – ci sono molti tipi diversi di sedimenti su Marte! Pertanto, mancano alcune parti importanti nella nostra collezione, e questa lacuna sarà colmata dalla missione Mars Sample Return. E non è tutto! Quando pensi a quella roccia che è stata lanciata da Marte, grazie al meteorite precipitato sulla superficie marziana, devi pensare al suo viaggio: non prende una traiettoria diretta, ma invece viaggia intorno al Sole per un pò di tempo, finché non incontra per caso la Terra sulla sua orbita, cadendo poi su di essa.
Rimanere nello Spazio per molto tempo senza protezioni, a causa del lungo viaggio, significa essere costantemente bombardati dalle radiazioni. Questo distrugge i materiali organici, o perlomeno li altera. Altera anche alcune delle firme geologiche presenti nella roccia, oscurando ciò che potremmo imparare da Marte. E non solo: dopo che il meteorite è caduto sulla Terra, solo pochissimi vengono trovati entro poche ore o giorni dalla caduta. La maggior parte di loro trascorre decenni o più nei deserti caldi e freddi della Terra e sono soggetti ad alterazioni (reazioni acqua-roccia), che oscurano anche alcune delle firme geologiche che ci permetterebbero di conoscere Marte. Ma i problemi non sono finiti qui!
Probabilmente, il problema più grande – a parte la mancanza di sedimenti – è che non sappiamo da dove provengano i meteoriti che cadono sulla Terra! Per un geologo è molto importante sapere questa informazione, per poter mettere insieme tutti i tasselli e imparare qualcosa da quella roccia! Quindi, abbiamo già dei campioni molto preziosi in mano (i meteoriti caduti per caso sulla Terra), e continueremo a farne tesoro e a studiarli. Ma le informazioni in più che otterremo dai campioni marziani raccolti dal rover e, successivamente portati sulla Terra in sicurezza con la missione Mars Sample Return, mostreranno l’esatto contesto in cui sono stati raccolti (sapremo con certezza da dove provengono e dove sono stati raccolti), e poi potremo studiare molti materiali assenti nei meteoriti.
Se guardi la mappa che mostra dove Perseverance ha depositato i campioni nel cratere Jezero, in particolare presso il deposito Three Forks (per vederlo clicca QUI, mentre per le foto clicca QUI), ti accorgi che il campione “Rubion” è un campione atmosferico (il tubo contiene l’aria di Marte); il campione “Crosswind Lake” contiene materiale sciolto chiamato regolite; i campioni “Malay”, “Coulettes”, “Montdenier” e “Atsá” sono campioni ignei; mentre i campioni “Mageik”, “Bearwallow” e “Skyland” sono sedimentari. Ciascuno di questi campioni è stato prelevato dopo aver mappato accuratamente l’area dall’orbita e dopo averla investigata con tutti gli strumenti a disposizione del rover.
Perseverance ha a bordo un doppio set di campioni raccolti su Marte: una parte li sta depositando sulla superficie, un’altra parte rimarrà al suo interno per sicurezza. La prossima missione, chiamata Mars Sample Return, avrà l’obiettivo di prelevare quei campioni depositati dal rover e portarli sulla Terra. Quando quei campioni arriveranno sulla Terra, avremo una collezione di campioni accuratamente documentata, contenente un’ampia varietà di rocce, altri materiali e anche un campione dell’atmosfera marziana.
Questo prezioso materiale sarà studiato sulla Terra con la migliore strumentazione a nostra disposizione. I campioni marziani prelevati dal rover, a differenza dei meteoriti caduti sulla Terra per caso, avranno trascorso solo pochi mesi nello Spazio, e non milioni di anni come invece accade per i meteoriti!
- Cover image: Susanne P. Schwenzer (central photo: lpi.usra.edu); side photo: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS (first image) / NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS (second image)