Stefano Lentini parla delle sue esperienze musicali: come nasce la sua Arte

Compositore


Quando ho ascoltato per la prima volta le composizioni di Stefano Lentini, ho creduto di essere altrove. E’ un posto diverso, “altrove”. E’ un posto magico, fatto di miracoli o illusioni, e spesso sogni. Ci sono piccole particelle che attraversano il corpo quando la sua musica entra prima nell’anima, e poi nel cuore. Ma ci sono soprattutto viaggi, che la mente compie per rifugiarsi in quel luogo magico che altrimenti non avrebbe mai conosciuto.

Stefano Lentini è dunque, non solo compositore, ma costruttore di immagini visionarie che compaiono dinnanzi agli sguardi di chi lo ascolta. La sua musica non solo si sente, ma si tasta, si tocca come fosse un oggetto; musica sensoriale, la sua. Ma sensoriale davvero: ogni senso è dipeso dalle sue note e dalla sua capacità di rendere magia anche il silenzio.

Stefano Lentini è un compositore italiano. Ha studiato liuto rinascimentale al Conservatorio di Santa Cecilia a Aroma, insieme allo studio del piano, flauto, basso e batteria. Ha anche un diploma di alta onorificenza in Antropologia Culturale e ha studiato Etnomusicologia a Londra. Ha appena sostenuto lo Stabat Master, ed è stato nominato per due Academy Awards. Ha composto le colonna sonora per i film: Maresia (premiato al Festival des Films du Monde Montreal nel 2015), The Nest of the Turtledove, The Ballerina, Shooting Silvio, Grazing The Wall, selezionato al sessantanovesimo Festival Internazionale di Film di Venezia. I lavori di Stefano sono arrivati sia in Italia che per il mondo, includendo serie TV e film come La porta Rossa, Braccialetti Rossi 1/2/3 nominato agli Emmy Awards, El Maestro, Bakhita, Drawn for Jury Duty, e i documentari Skin Deep, Death at Dawn, Einer von Uns. Stefano è stato maestro al “Roberto Rossellini” Istituito Nazionale di Film e Televisione di Roma, Fondazione ITS Rossellini per l’istruzione superiore e al “Soundtrack Master” per l’accademia Lizard (Fiesole, Firenza”). Il suo album “Stabat Mater” (Milan Records, distribuito dalla Warner Classics/ Universal) è stato tra i 10 più scaricati di iTunes in Belgio, Italia, Francia, Hong Kong, Singapore e Taiwan. E’ stato numero uno ad Hong Kong. Stefano è rappresentato in America dall’Agenzia Gorfaine/Schwartz.

Lascio la parola a Stefano Lentini, con l’augurio più grande di proseguire in questo meraviglioso percorso.


D: Quanto ha influito la tua passione per la musica nella tua vita?
R: Parlerei di monopolio piuttosto; da un certo momento in poi – intorno ai dodici anni – è arrivata questa necessità: scoprire, ascoltare, inventare. Oggi che la musica è anche un lavoro, in modo diverso continua ad influire giorno dopo giorno e in ogni momento. Oggi questa musica è più ramificata di ieri, più complessa e stratificata. Però resta sempre un mistero e se mi fermo a pensare a cosa sia ancora non capisco come sia possibile “fare” una cosa che non si tocca.

D: C’è un messaggio particolare che vorresti trasmettere a chi ascolta le tue composizioni?
R: Penso al messaggio della musica come ad una sorta di “falso storico” così come lo teorizzava lo storico Marc Bloch: un’invenzione più o meno consapevole che tuttavia racconta qualcosa di un’epoca. Non so cosa trasmetta la mia musica perché credo che ognuno possa proiettarci qualcosa di personale. Posso dirti però cosa faccio quando la produco; il mio valore è la libertà espressiva, l’indipendenza, l’autenticità. Credo che questi siano i valori necessari per l’arte dell’espressione, in ogni campo. L’indipendenza è anche differenza, peculiarità, a volte stranezza. E’ un’arma a doppio taglio perché non prevede il consenso a priori. Quindi ciò comporta dei rischi. E questo è un messaggio.

D: Durante la produzione delle tue colonne sonore, come riesci ad immedesimarti pienamente nella storia e a trasformare quest’ultima in note musicali?
R: Cerco una musica che abbia un colore, un suono compatibile. E’ come una sorta di costume che deve poter essere portato dai protagonisti. Mi chiedo: è il loro vestito? Li rappresenta? Riesce a raccontare le loro sotto-tracce? Ma non c’è solo questo: la mia immedesimazione passa anche attraverso il regista la cui percezione non è detto che sia la mia stessa. Se ti riferisci poi al meccanismo che mi permette di farlo, credo che non sia definibile; ogni volta è nuovo, una scoperta. Fa anche paura perché non so mai se tornerà.

D: Stiamo ascoltando in questo periodo le tue splendide musiche nella serie televisiva “La porta rossa”, in onda ogni mercoledì in prima serata su rai 2. Da dove hai attinto l’ispirazione per questo tuo ultimo lavoro e qual è il ricordo più bello legato a questa esperienza?
R: Carmine (il regista, n.d.A.) mi ha lasciato libertà totale e si è creata fin da subito una relazione di grande fiducia tanto che parte delle musiche sono state per lui una sorpresa che gli ho portato a registrazione ultimata. Sono stato fortunato perché era la musica che avevo dentro in quel preciso momento. Ciò di cui avevo bisogno era una folle voglia di creare: cupa, drammatica, interiore. Un momento eccezionale è stata la collaborazione con Charlie Winston per le canzoni dei titoli di testa e di coda “It’s Not Impossible”. Sono un fan di Charlie innanzitutto e credo che sia un dei più bravi cantautori in circolazione. Lavorare insieme è stata un’esperienza indimenticabile.

D: Un altro passo importante per la tua carriera è stata la tua composizione delle colonne sonore di “Braccialetti rossi”. È stato difficile rappresentare musicalmente delle tematiche così delicate come quelle trattate in questa fiction?
R: No, perché c’era una direzione chiara: il coraggio. Il tema della malattia e della morte non era fine a se stesso, non è mai stato un escamotage per far piangere. Braccialetti Rossi nasce dalla storia vera di Albert Espinosa, un ragazzo spagnolo che ha trascorso più di 10 anni in ospedale per via di un tumore. Albert ha vinto la sua battaglia e l’ha raccontata in un libro. Da qui nasce la Serie Tv, prima in Spagna, poi in Italia, in Usa, in Germania. E’ una storia spirituale, di saggezza, di coraggio, di amore. Non che questo sia facile ma la sua autenticità, e quella del suo regista, Giacomo Campiotti, mi ha aiutato nel trovare la via giusta.

D: A quale tuo lavoro sei particolarmente legato? Perché?
R: Ad uno che non ho mai fatto, al disco che avevo in cantiere con il grande John Renbourn, scomparso due anni fa. John è stato un chitarrista unico che mi ha ispirato musicalmente per anni. Avevamo questo progetto nato davanti ad una bottiglia di bordeaux dopo uno dei suoi concerti. Magari non si sarebbe mai realizzato, chi lo sa, però mi piace immaginare cosa sarebbe potuto accadere…

D: Hai composto melodie anche per la trasmissione televisiva “Ballarò”. Quali sono le differenze che hai riscontrato tra questa esperienza e quella nel mondo del cinema e della fiction?
R: Quella è stata una scrittura da archivio, non propriamente per le immagini. La Rai mi chiese alcune musiche e successivamente a loro scelta e discrezione vennero usate durante le trasmissioni. La differenza quando lavoro per cinema o Tv la fa il regista con il quale mi confronto e la complessità della narrazione. Nelle Serie Tv si tratta spesso di storie lunghe, molti episodi, orchestrazioni complessi e produzioni lunghissime.

D: Quali erano le tue aspettative, quando hai iniziato questo percorso?
R: Non avevo nessuna aspettativa se non quella di riuscire a vivere facendolo, il sogno più semplice, ma anche il più difficile. A volte si perde il timone e bisogna sempre ricordarsi chi eri e da dove vieni. Non vengo da una famiglia di artisti e non sapevo cosa fosse vivere di musica, non ne avevo alcuna idea. Per questo è sempre stato un desiderio molto confuso, primitivo, semplice.

D: Quali sono i tuoi futuri progetti?
R: Un disco da solista che è quasi pronto e spero di pubblicare nel giro di due-tre mesi, un disco in duo (ma non posso dire altro, è una sorpresa), la seconda stagione de “La Porta Rossa” e forse la quarta di “Braccialetti Rossi”. In realtà vedremo, tutto può accadere.


Ringraziamo Stefano Lentini per la sua collaborazione e per il tempo che ci ha donato, augurandogli di continuare a sorprenderci e a sorprendersi.

Recensione ed intervista a cura di Stefania Meneghella
Pubblicazione a cura di Roberta Giancaspro

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Stefania Meneghella