Sono arrivati i primi risultati degli esperimenti scientifici condotti durante la missione Polaris Dawn di SpaceX. Ecco cosa dicono.
Il 10 settembre 2024 è partita una delle missioni più importanti degli ultimi decenni: la Polaris Dawn mission di SpaceX, l’azienda spaziale privata di Elon Musk. L’equipaggio – composto da Jared Isaacman (imprenditore e astronauta), Scott Poteet (tenente e colonnello in pensione), Sarah Gillis (ingegnere di SpaceX) e Anna Menon (ingegnere di SpaceX) – ha trascorso 5 giorni tra i 700 e i 1400 km dalla Terra. Per la precisione, la loro navicella spaziale Crew Dragon si è spinta fino a 1.408 chilometri dal nostro pianeta (la Stazione Spaziale Internazionale orbita invece a circa 400 km dalla superficie terrestre).
Nessun essere umano aveva mai raggiunto questa altitudine negli ultimi 50 anni: prima di loro ci riuscirono gli astronauti delle missioni Apollo. Cerchiamo ora di capire quali esperimenti scientifici ha condotto la Polaris Dawn mission.
I danni provocati dalle radiazioni
Questa missione non sarà ricordata solamente per aver riportato gli esseri umani a circa 1.700 km dalla Terra dopo oltre 50 anni, ma anche per aver effettuato la prima passeggiata spaziale commerciale, cioè fatta da astronauti privati. Dobbiamo inoltre specificare che l’equipaggio, a bordo della Crew Dragon, ha anche attraversato una porzione delle pericolose fasce di Van Allen. Si tratta di una zona toroidale, che circonda la Terra come se fosse una gigantesca ciambella col buco. Al suo interno c’è un’altissima concentrazione di radiazioni, costituita solitamente da particelle cariche portate dal vento solare. Ebbene, uno degli obiettivi principali della missione era quello di effettuare esperimenti scientifici sulla salute umana e di testare le prime tute spaziali realizzate da SpaceX.
Per quanto riguarda le ricerche scientifiche, l’equipaggio ha ad esempio utilizzato gli ultrasuoni per monitorare e quantificare l’embolia gassosa arteriosa (la cosiddetta malattia da decompressione). E non solo: ha persino raccolto dati sull’ambiente radioattivo e sugli effetti che hanno le missioni spaziali sulla vista degli astronauti. Quali sono allora i risultati di queste ricerche scientifiche? Scott Poteet (un membro dell’equipaggio) – durante una recente intervista alla CNN – ha rivelato che la sua vista ha iniziato a peggiorare nei primi giorni di missione. L’ingegnere di SpaceX, Anna Menon, ha invece detto di essere stata colpita dalla sindrome di adattamento allo Spazio: si tratta di un fenomeno che colpisce circa il 60-80% degli astronauti. I sintomi sono solitamente nausea, vertigine e vomito.
Tuttavia, uno degli esperimenti più importanti della Polaris Dawn mission è indubbiamente il “cyborg experiment”. Quest’ultimo, il cui obiettivo era quello di studiare gli effetti delle radiazioni e della microgravità sulla vista, consisteva nel posizionare una speciale lente a contatto sugli occhi degli astronauti. Ad ogni modo, i primi risultati non hanno rivelato degli effetti specifici nuovi sulla salute degli astronauti, anche se Jared Isaacman ha affermato di aver visto “scintille e luci” quando chiudeva gli occhi. Secondo la NASA, si tratta di un effetto non ancora compreso, che si verifica negli ambienti ad alta radiazione: in passato lo hanno infatti riscontrato gli equipaggi che attraversavano le fasce di Van Allen.
Ciò che ha però sorpreso maggiormente gli scienziati sono gli esperimenti sul cervello umano, in particolar modo le risonanze magnetiche eseguite prima e dopo la missione. Queste ultime hanno mostrato uno spostamento del cervello verso l’alto all’interno dei crani degli astronauti e un’alterazione della loro anatomia. I voli spaziali – come afferma la dottoressa Donna Roberts dell’ISS National Laboratory – possono infatti ampliare le cavità piene di liquido che si trovano al centro del cervello. Tuttavia, i primi risultati giunti dalla missione Polaris Dawn non hanno mostrato alcun fenomeno preoccupante, anche se alcuni effetti sono ancora poco compresi.