Cuoco
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Youtube: Heroes
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Abbiamo visto per la prima volta Simone Finetti, nella quarta edizione del talent culinario “Masterchef”, un ragazzo che dimostra sin dalle prime battute il suo immenso amore per la cucina. Nel corso degli anni quel ragazzo appassionato, ne ha compiuta di strada, ha fatto esperienze che lo hanno aiutato a crescere dal punto di vista professionale, che gli hanno permesso di affinare le sue tecniche, ma allo stesso tempo lo hanno fatto restare con i piedi per terra, attaccati ai valori e a suoi grandi sogni. Con questo nuovo bagaglio ha affrontato la nuova esperienza di “Masterchef all stars”, che lo vedeva in gara con i migliori sedici di tutte le edizioni svolte finora. Un’avventura che Simone ha affrontato con la grinta e il sorriso che lo contraddistinguono, e che lo hanno portato al raggiungimento di un bellissimo traguardo, il secondo posto alla finale del programma. Chiusa questa parentesi televisiva, tanti altri progetti aspettano Simone, ed è pronto a raccontarci tutte le sue novità in questa intervista!
Lasciamo la parola a Simone Finetti con l’augurio di proseguire in questo meraviglioso percorso.
D:Ciao Simone, ci siamo già sentiti per una precedente intervista. Cosa è cambiato da allora?
R:Ciao a tutti! Il salto di qualità c’è stato con Alma, ho avuto la possibilità di frequentare la scuola di alta cucina del maestro Gualtiero Marchesi, una delle più importanti realtà al mondo. Successivamente con Giacinto Rossetti sono riuscito a collaborare con 7/8 chef della guida Michelin nazionale e internazionale. Ho fatto delle esperienze in Francia, apprendendone la cucina e mi sono sentito un piccolo giovane chef. Sono stati anni impegnativi tra lezioni e il lavoro duro del cuoco, che come tutti i lavori non bisogna mai smettere di studiare e fare gavetta per imparare.
D:Ti abbiamo visto di recente in televisione a “Masterchef all stars”. Com’è stato per te essere scelto per questa esperienza?
R:E’ stato bello confrontarmi soprattutto con me stesso, che partivo da dilettante allo sbaraglio, ora mi confronto con gli altri in maniera più professionale. Mi son potuto mettere di fronte ai miei limiti cercando di superarli, e ciò è stimolante, e stare tre mesi in un ambiente chiuso con persone che parlano molto di cucina ti permette di assorbire come una spugna e imparare sempre di più.
D: Cosa è cambiato in te nell’affrontare questo ritorno a Masterchef, dalla prima volta che ci sei stato?
R:Sicuramente avevo delle basi tecniche diverse, ora ragionavo di più in base a quello che ho imparato nel mio percorso, ma nonostante ciò non bisogna mai essere sicuri di nulla perché il pericolo può essere dietro l’angolo, rischiando un passo falso.
D: Qual è il ricordo più bello che porterai con te dopo questa esperienza?
R:I complimenti di Iginio Massari e Bruno Barbieri, sia sui casoncelli che sugli gnocchi alla lavanda. Quando senti dire da Iginio Massari che gli hai ricordato sua nonna o che Bruno Barbieri ti richiede la ricetta, ti vengono davvero i brividi. E’ una soddisfazione che aspettavo da anni.
D:Qual è stato invece il momento più difficile da affrontare?
R:Ti direi il dolce, perché c’è differenza tra fare il cuoco e fare il pasticcere. E’ logico che chi lavora in cucina deve conoscere la base della pasticceria, ma è sbagliato confonderla. Un grande ristorante deve avere sempre un grande panificatore, un grande pasticcere e un grande cuoco.
D: Sei giunto in finale, classificandoti al secondo posto. Quando hai accettato avresti mai creduto di arrivare in finale? Quali erano le tue aspettative iniziali?
R:Non avrei creduto né di perdere né di vincere, l’importante è dare sempre il massimo e questo è avvenuto. Arrivando in finale e come se si è vinto, si premia un cuoco per la costanza e il percorso, anche per questo la stella Michelin viene rinnovata ogni anno. Arrivato in finale, posso dire che tutti e tre i nostri menù erano molto interessanti, che raccontavano di noi stessi. L’amaro c’è, ma fino ad un certo punto, sono riuscito a raccontare quello che per me rappresenta la cucina, e ho avuto un bellissimo riscontro da parte del pubblico, e questo è molto importante perché questo mestiere si fa prima per gli altri che per noi stessi. Vedo le persone in migliaia sui social che continuano a scrivermi e a supportarmi, ed è difficile rispondere a tutti, e questa è la soddisfazione più grande. Noi cuciniamo un piatto di spaghetti per vedere stampato sul volto di una persona un sorriso, che è una nostra gratificazione personale.
D:Qual è il piatto che hai preferito preparare in questa esperienza e perché?
R:La musica è cambiata per diversi motivi, ai precedenti album ero poco matura per certe cose. Ho parlato con gli autori per far capire le mie esigenze, ho studiato questi pezzi, è un lavoro che ho voluto fare senza perdermi un momento, è un lavoro molto più sartoriale quello di quest’ultimo album. Ho anche una conoscenza diversa della mia personalità e della mia vocalità, con una maggiore consapevolezza, e mi sento molto più forte in certe cose, ma anche debole su altri punti di vista, e ciò mi aiuta nell’interpretazione stessa dei brani.
D: Qual è il piatto che hai preferito preparare in questa esperienza e perché?
R: Non c’è un piatto che preferisco, mi piace cucinare in generale. I piatti a cui sono più legato come dicevo prima sono lo gnocco e il casoncello, ma anche il cappelletto della finale, che il maestro Barbieri ha definito come “Il miglior cappelletto nella storia di Masterchef”.
D:Qual è la tua idea di cucina, ora che la cucina è diventata il tuo mestiere?
R: Ho capito grazie a Gualtiero Marchesi e Giacinto Rossetti che dietro un piatto non c’è solo un cuoco, ma che c’è una catena infinita di artigiani, di ricerca, di studio, di applicazione e il cuoco ha il dovere di non rovinare la materia prima nobile. Bisogna insegnare al prossimo le stagionalità, gli allevamenti certificati che non fanno uso di steroidi e anabolizzanti, questo è il messaggio da raccontare al prossimo. Il compito del cuoco è di difendere il territorio, siamo italiani, abbiamo insegnato al mondo a mangiare, e noi dovremmo insegnare questo al prossimo, senza nasconderci dietro al guadagno.
D: Cosa vorresti consigliare a chi come te insegue il sogno della cucina?
R: Consiglierei di imparare due regole fondamentali. La prima è quella di non scendere mai a patti con la mediocrità, se si mette in un piatto una materia prima, deve essere la migliore sul mercato, non una mezza via mediocre perché bisogna essere bassi con i prezzi. Se si vuole spendere meno, si comprano alimenti che costano meno, ma non meno pregiati. Bisogna imparare a fare la spesa, che è la parte fondamentale.
D: Quali sono i tuoi futuri progetti?
R: A marzo uscirà il libro intitolato “Heroes” che non è un libro di ricette e nemmeno un romanzo, ma sono racconti di vita legati a piatti e ricette, con flashback e narrazioni, da raccontare al lettore in maniera viscerale. Vado quindi alla ricerca degli artigiani della cucina in un format televisivo che stiamo montando, sarò il cacciatore di eroi, in stile comics e fumetti, che riscopre le avventure e i costumi di questi artigiani che combattono contro il mare per procurarci una cozza. Sto girando inoltre un altro programma che andrà in onda a maggio, del quale però non posso svelarvi nulla. Collaboro con le aziende e continuo a cucinare per diverse realtà e stiamo formando una specie di ristorante, ma sarà un luogo dove le persone verranno a mangiare senza un menù, ma si cucina ciò che i pescatori hanno trovato o ciò che la natura offre al momento, per far avvicinare le persone alla materia prima nobile. Non sopravvalutiamo la parte estetica, ma scendiamo in profondità a quello che il cibo ci racconta. Sono diventato, inoltre da poco docente della scuola alberghiera in un progetto chiamato “Insta School”, dove sarà obbligatorio usare instagram durante le lezioni per raccontare la bellezza del nostro mestiere, fatto di ricerca, tecnica, passione e gioco di squadra.
Ringraziamo Simone Finetti per la sua collaborazione e per il tempo che ci ha donato, augurandogli di continuare a sorprenderci e sorprendersi.
Intervista realizzata da Manuela Ratti