I Santateresa escono sulla scena musicale italiana con il loro nuovo singolo Del Piero: un brano, questo, che parte dalla bellezza di un goal in rete che può diventare un jolly per coloro che lo provano sulla propria pelle. Come una vera e propria metafora della vita, la nuova canzone della band è impregnata di grandi significati e concetti profondi. Il gruppo ce ne ha parlato in questa intervista.
Com’è nato il vostro incontro e quando avete capito che avreste potuto lavorare insieme?
Il nostro primo incontro non c’è mai stato, perché siamo entrati nella band uno dopo l’altro. Ci siamo ritrovati, ed è stato un modo carino di creare una band. La formazione attuale è in 5, e diverse casualità ci hanno portato ad incontrarci.
Perché avete scelto di chiamarvi con questo nome?
Santateresa è il nome della chiesa e anche della piazza di Cosenza. Non ha una grande storia perché esiste da 6-7 anni ma è stata una creazione geniale nel centro città. È il posto dove noi stiamo ogni giorno, la mia idea è nata perché sono un fan del brano di Brave Polaroid 2.0 e, nel mio piccolo, ho pensato che mi sarebbe piaciuto portare un po’ di Cosenza in giro per l’Italia. Abbiamo utilizzato un nome abbastanza indie che, in un paese super cattolico, è anche una provocazione.
Parliamo del vostro nuovo singolo Del Piero: dove nasce l’idea per questo brano?
L’idea nasce dalla figura del calciatore, vista come super eroe. Del Piero è il super calciatore della mia generazione, e quindi di coloro che sono nati a fine anni ’90. C’è dietro una fede calcistica: noi preferiamo dare una visione del calciatore globale come icona del calcio italiano. Ci piaceva immaginare il goal alla Del Piero come ad una cosa bella e improvvisa, come ad un jolly. Il pezzo racconta di una storia che non è andata bene.
Il brano è anche rivolto ai millenials. Qual è il consiglio che vi sentite dire alle nuove generazioni per riuscire a vedere con nitidezza i ricordi?
Il consiglio è quello di guardarsi anche alle spalle; ci troviamo a metà strada tra la vecchia e la futura generazione. La nostra è abituata a guardare al passato, al romanticismo anni ’80 e ’90. La nuova generazione è forse un po’ più cruda e aspra: noi abbiamo una cultura cinematografica e musicale a cui guardiamo di più, mentre loro sono proiettati più avanti. Il consiglio è proprio quello di guardare avanti ma anche di ascoltare la figura adulta.
Cosa c’è dietro il vostro stile musicale? Chi sono stati i vostri maestri musicali?
Dietro il nostro genere c’è qualsiasi cosa: siamo cinque persone con gusti musicali molto diversi. Partiamo da una radice hip hop italiana, ma ci siamo intersecati anche con altre situazioni. Abbiamo chiaramente dei mostri sacri come riferimento e abbiamo contaminato una cultura musicale antica con un sound indie rock. Il nostro è però un mix di tanti generi.
Quali sono i vostri futuri progetti? Potete anticiparci qualcosa?
Vogliamo rilasciare il nostro primo disco che è già pronto, lo abbiamo preparato questa estate. Vogliamo inizialmente muoverci piano piano: facciamo uscire singoli e poi potremmo regalare questo disco a chi ci segue. L’obiettivo primario è fare un tour in Italia, in posti di nicchia da cui iniziare e diffondere la nostra musica. La band ha bisogno di suonare; il contatto del pubblico è il punto di forza della nostra band perché siamo sempre stati molto coinvolgenti e abbiamo sempre rotto la quarta parete. Abbiamo sempre cercato un dialogo e un feedback e questo ci ha portati ad avere una buona fanbase dalla quale partire. Ci piace che la gente possa rivedersi nel gruppo e sentirsi rappresentati.