Abbiamo incontrato Sanjay Vijendran, ingegnere, team leader della Mars Exploration Strategy e coordinatore della Future Mars Studies (MarsX Team) dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea).Vijendran è anche a capo della proposta dell’ESA chiamata SOLARIS. Quest’ultima ha il compito di studiare e testare la fattibilità del progetto Space-Based Solar Power (SBSP), cioè l’idea innovativa di produrre energia elettrica nello Spazio, attraverso dei pannelli solari installati su una squadra di satelliti giganti e, successivamente, convertire l’energia in microonde e inviarla sulla Terra, in direzione delle centrali riceventi terrestri.
Qual è la missione o il programma che ti ha dato più emozioni nella tua carriera, e che ti ha insegnato qualcosa di importante nella vita?
Prima di entrare nell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), ho avuto il privilegio di lavorare, come membro del team scientifico, nella missione Phoenix della NASA tra il 2006 e il 2008, nella quale ero responsabile dello sviluppo e dei test di una serie di microscopi. La missione Phoenix è stata lanciata nell’agosto 2007, ed è atterrata su Marte nel maggio 2008. A bordo del lander c’erano anche alcuni piccoli pezzi di hardware, che avevo costruito con le mie mani e consegnato alla NASA mentre lavoravo come Research Fellow all’Imperial College di Londra. Sapere che un qualcosa realizzato da me si trova sulla superficie del Pianeta Rosso, è una sensazione straordinaria!
Ho anche avuto l’opportunità di utilizzare questi microscopi a distanza per cinque mesi, mentre erano sulla superficie di Marte. E’ stata un’esperienza emozionante lavorare con un grande team di scienziati e ingegneri della NASA e di tutto il mondo, presso il nostro centro operativo scientifico di Tucson, in Arizona. E non solo: abbiamo eseguito esperimenti su Marte mai eseguiti da nessuno prima di noi, e scattato immagini della polvere marziana con la più alta risoluzione mai ottenuta prima. E’ proprio questa esperienza che mi ha fornito le competenze e il background, necessari per ottenere una posizione presso l’ESA nel 2010, e contribuire alla progettazione e alle tecnologie delle nuove missioni per il futuro programma dell’ESA su Marte. Un’area in cui sto ancora lavorando oggi.
Quello che ho imparato dall’esperienza della missione Phoenix su Marte, è che con la motivazione, il duro lavoro e un obiettivo condiviso con altre persone, possiamo realizzare cose straordinarie, che possono aiutare il mondo e renderci orgogliosi. L’esplorazione dello Spazio è una grande sfida ma, al contempo, è estremamente gratificante per chi è coinvolto direttamente in essa, e anche per chi la segue da lontano, come amici, familiari e il pubblico in generale.
Qual è la sfida più grande da superare per realizzare il sogno del programma SOLARIS?
SOLARIS è l’ultima iniziativa proposta dall’ESA per valutare più approfonditamente la fattibilità dell’energia solare basata nello Spazio (Space-based Solar Power, SBSP), come fonte di energia pulita per la Terra per contribuire alla decarbonizzazione delle nostre società e alla mitigazione del riscaldamento globale.
Le sfide più grandi che dobbiamo affrontare sono: eseguire rapidamente gli studi tecnici e le attività di sviluppo tecnologico, per dimostrare se siamo in grado di ottenere prestazioni molto impegnative per la generazione di energia solare; eseguire la conversione dell’elettricità in microonde, valutare la trasmissione wireless di energia dallo Spazio alla Terra e, infine, testare la capacità di assemblare, roboticamente, strutture molto grandi in orbita. Tutte queste aree, dell’iniziativa SOLARIS, devono avanzare in modo sostanziale durante i prossimi tre anni, se vogliamo confermare che l’SBSP sia tecnicamente ed economicamente fattibile per essere attuato su vasta scala entro il 2035-2040. Oltre a ciò, dobbiamo comprendere meglio i problemi di sicurezza relativi all’uso di microonde a bassa intensità, per trasmettere potenza ai ricevitori a terra, nonché i problemi normativi che dovrebbero essere superati per consentire l’utilizzo dell’SBSP a livello internazionale. La decisione di procedere o di fermare la SBSP, dovrebbe essere presa solo nel 2025, quando le attività di studio e ricerca del programma SOLARIS saranno completate.
Quanti satelliti ci vorrebbero per raccogliere l’energia solare e convertirla in microonde? E quali dovrebbero essere le dimensioni di questi satelliti?
L’approccio più comune che è stato studiato di recente si basa sull’utilizzo di un numero di singoli satelliti molto grandi, posti in orbita geostazionaria a circa 36.000 km sopra l’equatore, per fornire circa 1-2 GW di potenza continua nella rete (simile alla potenza di una centrale nucleare). Anche se la luce solare è molto più intensa nello Spazio che a terra, è comunque limitata a circa 1,4 kW per metro quadrato. Pertanto, per raccogliere molti GW di potenza su un satellite, sono ancora necessarie aree di raccolta molto grandi; qualcosa dell’ordine di pochi km2. Tali centrali solari in orbita, su scala GW, avrebbero ciascuna una massa di molte migliaia di tonnellate e una dimensione forse di 2 km. Per fornire una frazione significativa (~10%) del fabbisogno di elettricità dell’Europa nel 2050, dovrebbero essere schierati 25-50 satelliti di tali dimensioni nello Spazio. Sono stati anche suggeriti approcci alternativi, in cui un numero maggiore di satelliti più piccoli, operanti in orbite inferiori, potrebbe essere utilizzato per fornire un servizio simile di energia pulita 24 ore su 24, 7 giorni su 7 dallo Spazio. Tuttavia, anche in questo caso, tali satelliti sarebbero comunque estremamente grandi rispetto a qualsiasi cosa in orbita oggi.
Quanta elettricità pensi si possa produrre con questo metodo?
Se riuscissimo a realizzare il primo satellite su scala GW entro il 2035-2040 e, successivamente, ad ampliare il sistema rapidamente, forse riusciremmo a coprire il 10% del fabbisogno di elettricità dell’Europa tramite la SBSP entro il 2050. A lungo termine, c’è il potenziale per un ulteriore aumento attraverso la costruzione di molti più satelliti. Non è ancora chiaro quale potrebbe essere il limite di produzione di energia tramite la SBSP; certamente c’è molta energia disponibile nello Spazio, e abbastanza spazio per mettere migliaia di satelliti in orbita geostazionaria attorno alla Terra.
Per avere un mondo senza inquinamento entro il 2050, sono sufficienti la fusione nucleare, l’energia prodotta dai pannelli solari sulla Terra e il programma SOLARIS tramite la SBSP?
La fusione nucleare e l’SBSP potrebbero in linea di principio fornire tutto il fabbisogno energetico mondiale in un lontano futuro, ma è molto improbabile che ciò venga raggiunto entro il 2050. C’è ancora molto lavoro da fare per rispondere a questa domanda con certezza.
Per quanto riguarda la missione “Mars Sample Return”, che porterà i primi campioni marziani sulla Terra. Quale sarà il ruolo dell’Agenzia spaziale europea in questa missione? E perché è così importante portare sulla Terra i campioni marziani che il rover Perseverance sta raccogliendo in questo momento su Marte?
L’ESA è il partner della NASA nella missione “Mars Samples Return“, nonché la missione che porterà sulla Terra i campioni di Marte per la prima volta nella storia, entro l’inizio degni anni ’30. Il ruolo principale dell’ESA nella missione è quello di contribuire con la sonda “Earth Return Orbiter“, il veicolo spaziale che afferrerà i campioni marziani dall’orbita di Marte (dopo essere stati lanciati dalla superficie marziana con un razzo della NASA, chiamato “Mars Ascent System”). La sonda “Earth Return Orbiter“, dopo averli afferrati in orbita, li porterà in sicurezza sulla Terra. L’ESA contribuirà anche con il Sample Transfer Arm, un braccio robotico lungo 2 metri, che farà parte della missione NASA Sample Retrieval Lander, e servirà per trasferire i tubi pieni di frammenti di rocce marziane dal rover Perseverance, che attualmente li sta raccogliendo, al Mars Ascent System.
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Le numerose missioni passate su Marte hanno enormemente migliorato la nostra comprensione della storia e dell’evoluzione del pianeta, nonché della sua potenzialità di ospitare segni di vita passata o presente. Tuttavia, a causa della sfida e del costo dell’invio di veicoli spaziali robotici per operare intorno e sulla superficie di Marte, siamo ancora piuttosto limitati dal tipo e dalla qualità della strumentazione scientifica, che possiamo inviare su Marte per eseguire ulteriori studi sulle condizioni del pianeta. Portare i campioni sulla Terra ci consentirebbe di studiare i frammenti di rocce marziane con dettagli senza precedenti, e con la migliore strumentazione disponibile sulla Terra in questo momento. I frammenti potranno anche essere studiati nel futuro, quando avremo a disposizione nuove tecniche di analisi. Questa missione potrà aumentare la nostra conoscenza sulla formazione di Marte: come si è evoluto, in che modo ha contribuito a fare emergere la vita e a farla evolvere. Studiare sulla Terra le rocce marziane ci aiuterà anche a preparare le future missioni su Marte con esseri umani, e ad inviarli in modo sicuro.