Roberto Formignani è un noto chitarrista ferrarese che ha dedicato la sua vita al Blues: sono state tante le sue collaborazioni a livello nazionale e internazionale. Il giornalista Samuele Govoni ha quindi raccolto i suoi ricordi e le sue storie nel libro ‘Tutto questo è blues‘, edito da Arkana Editore. Formignani ha così accettato di incontrarci e ci ha raccontato qualche aneddoto della sua lunghissima carriera.
Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?
L’approccio è stato semplice; mio padre ascoltava musica, soprattutto jazz. Non c’era inoltre molta televisione: il sabato c’era Studio 1, si vedeva la tv in bianco e nero e c’era poche attrattive. Lui ascoltava il jazz e tirava fuori bellissimi dischi sul swing; suonava così insieme ai suoi amici che hanno formato il primo gruppo del jazz: loro facevano delle serate di jazz il venerdì sera. Mio fratello ascoltava invece musica rock. Insomma, la musica era un tempo parte della vita, era una specie di bandiera e di modo di essere. Era molto semplice avvicinarsi alla musica. Volevo così suonare anche io qualcosa, e mi sono avvicinato alla chitarra (e questo mi ha portato ad approcciarmi poi al blues).
La tua vita e la tua carriera è stata descritta nel libro Tutto questo è blues di Samuele Govoni. Com’è nato il tuo incontro con lui e come ci si sente a vedere la propria storia sulle pagine di un libro?
È una cosa molto bella, dal libro traspare questa passione e questo modo di vivere la musica in modo molto umile. Riuscire a fare della musica la propria vita: è questo il messaggio che questo libro trasmette. Non è indispensabile che ti dia il successo. Avevo iniziato a scrivere questo libro nel 2005, quando D’adamo è venuto a mancare. L’avevo sempre visto come un punto di riferimento, e ho iniziato a scrivere queste mie memorie. Le ho lasciate lì, e le ho poi finite l’anno scorso. Samuele aveva scritto un libro di un mio compagno di musica, e gli così ho proposto di editare questo libro. Lui ha accettato, l’ha proposto ad Arkana Editore ed è stato sin da subito un motivo d’orgoglio per me.
Sei stato uno dei fondatori della Mannish Blues Band e, tra le vostre prime esperienze, c’è stata anche la partecipazione a un celebre programma di Renzo Albore. Cosa ricordi di quel periodo e come descriveresti il tuo esordio nel mondo musicale?
E’ stato un momento veramente molto bello. Era tutto più semplice, siamo andati a fare una trasmissione a Roma. Siamo poi andati a disturbare personaggi noti come Renzo Albore, e lui ci ha accolti in casa. Abbiamo suonato davanti a lui, gli abbiamo lasciato questa nastro e il nostro portfolio. Dopo una settimana mi ha chiamato e mi ha proposto di suonare nel suo programma. Abbiamo fatto la prima settimana di collaudo prove a porte chiuse, e abbiamo fatto le prime tre serate. Ci hanno aperto una notorietà a livello nazionale, e abbiamo da lì iniziato a suonare.
Hai suonato per anni con Dirk Hamilton e Andy J. Forest. Cosa ti hanno insegnato loro professionalmente parlando?
Siamo diventati amici, e siamo riusciti ad affrontare molti discorsi personali. Con Dirk abbiamo fatto 12 anni di collaborazione con circa 240 serate, che sono state delle vere e proprie prove psicofisiche. Tutto questo mi ha insegnato a stare sul pezzo, e a trattare la musica con molta disciplina.
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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Per il momento stiamo presentando questo libro: c’è stata una presentazione con l’Assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, e dovremmo farne delle altre. Lo presenteremo al Park Urban, e sto organizzando un evento importante – sempre a Ferrara – per il 9/10/11 settembre. Siamo stati anche invitati dal Comune di Imola per presentarlo. Stiamo inoltre promuovendo il mio disco uscito nel 2019, dato che la pandemia aveva un po’ bloccato la promozione. Avrei inoltre già 11/12 canzoni registrate in bozza, e non vedo l’ora di registrare un nuovo album.
Intervista a cura di Stefania Meneghella