
Una sala a luci rosse, oggi chiusa, rappresenta un microcosmo di umanità variegata, in cerca di esperienze, desideri e nuove frustrazioni. In questo contesto, emerge la figura di Nostra Signora dei Fiori, una presenza sfuggente e caleidoscopica, che si muove tra parole e sedili. Il progetto, fondamentale nel percorso artistico di Danio Manfredini, segna il ritorno di “Cinema Cielo” dopo vent’anni. Questo evento si configura come un’importante occasione di ricerca, rigore e bellezza, grazie all’impegno del Teatro Menotti, che ha organizzato una rassegna di eventi. Martedì si svolgerà “Divine”, un reading ispirato al romanzo di Jean Genet, arricchito da illustrazioni di Manfredini. Mercoledì alle 19 ci sarà un incontro con il pubblico, mentre da giovedì 13 a domenica 16 marzo andrà in scena lo spettacolo, che ha ricevuto il premio Ubu per la regia nel 2004.
Riflessioni sul ritorno al cinema cielo
Danio Manfredini, intervistato riguardo al suo ritorno al Cinema Cielo, ha dichiarato: “È una partitura viva. Si confronta con ciò che è accaduto in questi vent’anni. Tuttavia, i veri appassionati continuano a frequentarlo. L’anima del lavoro è rimasta intatta, mentre ciò che cambia è la percezione”.
Ricerca di esperienze autentiche
L’artista ha descritto quest’anima come un tentativo di sopravvivere in un contesto sempre più standardizzato, dove si cerca di seguire un’esistenza guidata da una dimensione soggettiva. “Questo implica rifiutare percorsi prestabiliti e luoghi convenzionali, privilegiando spazi marginali, dove non è escluso il trascendente”, ha aggiunto. La sua ricerca si concentra su esperienze che vanno oltre il semplice erotismo, abbracciando una visione più ampia dell’immaginazione.
Indagine sul margine sociale
Manfredini ha sempre indagato il margine, affermando: “Ogni volta mi ritrovo a guardare verso quelle aree. Un po’ perché provengo da lì, un po’ perché mi interessa il contesto legato alla classe sociale proletaria. Si tratta di vite non registrate, che sembrano impossibilitate a lasciare tracce, ma che portano con sé inquietudini, domande e dolori”.
Cambiamenti nel panorama teatrale
Riguardo al suo cambiamento personale negli ultimi vent’anni, Manfredini ha detto: “La mia vita continua nel teatro, un’onda che va e viene. Anche se ora calco meno le scene, i teatri sono cambiati. Oggi operano come aziende, cercando di rispondere alle esigenze ministeriali. Ma come può nascere l’arte sotto vincoli esterni e di mercato? Questo aspetto mi crea delle contraddizioni”.
Produzione e sfide artistiche
Quando gli è stato chiesto se desidererebbe lavorare stabilmente in una grande struttura, ha risposto: “Significherebbe strangolamento. La stessa struttura è in difficoltà: brevi periodi di studio, obblighi amministrativi e sacrifici artistici. Ora sono in procinto di avviare una nuova produzione con Sardegna Teatro, con 40 giorni di prove. È accettabile, ma solo perché è l’ultima fase di un lungo percorso, che ha richiesto mesi di lavoro sul testo e altrettante giornate a spese nostre”.
Frustrazioni e vitalità del teatro
A livello artistico, Manfredini ha espresso la sua frustrazione: “Spesso mi annoio a teatro. Sento che manca vitalità. Non si tratta di cercare di impressionare il pubblico con effetti speciali o provocazioni. Sarebbe sufficiente che il teatro mantenesse la sua funzione di attivatore delle coscienze, per stimolare riflessioni su ciò che si osserva, a partire da Cinema Cielo“.
Condizioni attuali del settore
Le condizioni attuali non favoriscono il settore: “Viviamo un’epoca di sacrificio. Spesso c’è anche la volontà di compiacere il pubblico, inseguendo mode. Non possiamo lavorare sul consenso; il nostro orizzonte è quello del rischio”.
Visione personale del teatro
Infine, Manfredini ha condiviso la sua visione del teatro: “Per me è un compagno di vita che mi consente di esplorare le esistenze altrui. È un privilegio. Si traduce in scena nel tentativo di restituire un momento presente, filtrato dalla mia esperienza passata, un’emanazione di luce schermata”.