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Book: Il giudizio
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«I mattoni sono caduti,
ricostruiremo in pietra;
i sicomori sono stati abbattuti,
li sostituiremo con cedri». Isaia 9,9
La sfida più grande nella vita è trovare sé stessi e rimanere fedeli alla vera immagine della propria identità personale. Una battaglia che comincia sin dalla fanciullezza per poi trovare solide basi nell’età adulta. A volte, però, capita che il nostro percorso sia irto di ostacoli e che per ritrovare noi stessi si debba inevitabilmente, perdere sé stessi. Come la bellissima immagine del chicco di grano che, se caduto in terra e muore produce molto frutto, per comprendere la storia di questo articolo, dobbiamo rivedere i nostri preconcetti riguardo alle cadute della vita e ai rovesci della fortuna, ossia scorgere in questi momenti di prova non una condanna alla nostra felicità, bensì un’occasione per ricostruire da soli il modo in cui si desidera vivere, anche se per farlo dobbiamo ripartire dai pezzi infranti dei nostri progetti o desideri.
Questa è la storia di Frederick Allen, un ragazzo di 21 anni che ha accettato di raccontarci la sua visione della realtà a partire dai banchi di scuola; un giovane che non si è lasciato abbattere da una condizione di disagio sociale definito come ‘isolamento volontario giovanile’ ma che ha saputo lottare con fermezza per le sue idee, rivendicando il diritto alla propria unicità, partendo da una passione nata durante il terzo anno di scuola superiore: la filosofia. Proprio qui comincia il nostro viaggio per conoscere le reali motivazioni che hanno spinto questo ragazzo a lasciare la scuola a 18 anni. Ascoltiamo, dunque, le sue osservazioni.
D: Caro Frederick, ci puoi raccontare come la tua passione per la filosofia ti è stata d’aiuto per ritrovare te stesso quando eri uno studente del liceo scientifico?
R: Credo sia stata più la passione per la filosofia che la filosofia stessa ad avermi aiutato al tempo e principalmente perché in un periodo di apatia assoluta è stata l’unica cosa che sembrava potermi fornire un briciolo di gioia ed interesse che col tempo mi ha rassicurato che non ero andato oltre il punto di non ritorno.
Quando ci venne introdotta la materia nel terzo anno di liceo non ero in grado di capirne né il senso, né l’utilità. Per quanto provassi marginalmente più interesse nei concetti spiegati in classe che per altro c’era sempre qualcosa che mancava perché potessi coglierli a pieno o renderli miei in alcun modo.
Ricordo che eravamo arrivati all’introduzione del “mondo delle idee” di Platone, un concetto che al tempo era particolarmente fastidioso da processare e proprio non riuscivo in nessun modo ad interpretare le parole della professoressa. La stessa sera, mentre stavo cercando di dormire, mi è capitato per caso di cominciare a pensare al modo in cui io e la professoressa interpretavamo gli stessi concetti in modi profondamente diversi e dal quel punto ho cominciato ad avere una serie di vere e proprie epifanie che mi hanno portato, inizialmente, a comprendere a pieno il “mondo delle idee”, poi tutte le altre idee di Platone e Socrate che avevamo studiato e infine a sviluppare una vera e propria passione per questa disciplina di cui qualche ora prima non riuscivo a capire l’utilità.
D:Hai definito la scuola “una scatola”: perché hai scelto questa similitudine?
R: Perché sono dell’opinione che la scuola, a questo punto, sia poco più di un contenitore di persone e quindi abbia più in comune con una scatola che con il concetto di scuola che ci è rimasto da tempi andati.
Ho cominciato ad essere particolarmente cosciente di questa inconsistenza dopo aver sviluppato questo interesse, per me anomalo, per la filosofia dal momento in cui ogni volta che provavo ad intervenire in classe con delle critiche o correzioni verificabili che non appartenevano al curriculum scolastico venivo ripreso per aver distratto e deviato la lezione quando la mia intenzione era solamente di capire perché mi venivano presentate delle informazioni antiquate, o in alcuni casi proprio errate, da persone rappresentanti di un’istituzione il cui intero scopo è di formare le nuove generazioni correttamente. Tutta la mia vita ho sentito e mi sono sentito dire da chiunque che l’educazione scolastica è fondamentale per la formazione di un individuo corretto, ben equilibrato e, soprattutto, capace di integrarsi senza troppe difficoltà nella società. Anche se fosse vero che seguire il percorso educativo scolastico correttamente serve a formare le persone per essere membri integranti della società, credo personalmente che sono veramente poche le scuole in cui questo processo si avvicina a funzionare correttamente.
Potrei continuare veramente all’infinito a dettagliare tutti i modi in cui credo che le scuole come sono ora causano più male che bene ma questi sono i motivi principali che influenzano la mia opinione della scuola.
D: Dopo aver abbandonato il liceo, ti sei dedicato allo studio privato delle discipline scientifiche che più ti appassionavano. Perché non hai proseguito tale percorso all’interno dell’ambiente scolastico?
R: Ho deciso di dedicare il mio tempo allo studio di qualsiasi disciplina mi capitasse sott’occhio, anche oltre quelle scientifiche, principalmente perché nell’ambiente scolastico mi sentivo molto costretto e limitato nelle informazioni da cui avevo il permesso di imparare quindi non credo che tornando in quel contesto riuscirei ad avere le stesse libertà che ho ora.
D: Il tuo disagio, tuttavia, è nato da un tradimento vissuto poco dopo la fine del rapporto con la tua prima ragazza: vorresti parlarcene?
R:E’ difficile spiegare tutta la storia in maniera concisa e comprensibile, in breve direi che questo “tradimento” è avvenuto poco dopo la fine della relazione che avevo con la mia ragazza al tempo, quando ho scoperto che quasi ogni singola persona che consideravo mio migliore amico aveva provato ad avvicinarsi sentimentalmente a questa ragazza mentre ai miei occhi sembrava che stessero cercando di aiutarmi a recuperare dalla situazione.
Il momento in cui mi è crollato il mondo addosso è quando ho visto personalmente il chitarrista di un gruppo in cui suonavo tenersi per mano con la mia ex-ragazza dopo la scuola e da allora ho sempre avuto enorme difficoltà a mantenere la fiducia nel mio prossimo, anche perché il colpo è stato così forte che mi ci sono voluti molti anni prima che potessi cominciare a riflettere su cosa mi fosse successo.
D: Credi che i tuoi genitori abbiano compreso le tue perplessità circa la vita e la scuola?
R: In breve, non credo proprio. Mio padre non sembra mai aver avuto interesse a sufficienza per capire quali fossero i miei problemi e mia madre, per quanto si sia sempre sforzata notevolmente, non ne è mai stata in grado fino ad oggi.
D:Credi che gli adulti siano, in parte, responsabili per il crescente numero di giovani che si allontanano dal tessuto sociale?
R: Solo in quanto sospetto che molti degli adulti di oggi hanno sofferto al loro tempo molte delle stesse situazioni che portano i giovani ad isolarsi e a sviluppare depressioni e altre patologie annesse e non avendo il modo o la possibilità di studiare questi fenomeni non hanno potuto far altro che lasciare che questi problemi proseguissero nelle nuove generazioni ma non credo sia una responsabilità conscia o diretta in alcun modo.
D: Quali sono i maggiori ostacoli che incontrano i giovani che si isolano socialmente?
R: I due ostacoli principali sono la convinzione da parte del soggetto di essere assolutamente soli al mondo anche di fronte a dimostrazioni del contrario ed il fatto che l’abilità di socializzare si perde molto facilmente, che a sua volta, rende socializzare con le altre persone progressivamente più difficile.
D:“Hikikomori” è il termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale: hai riscontrato anche alcuni benefici personali durante questi anni di lontananza?
R: Io ho sempre mantenuto che mi sono ritirato specificamente perché sentivo il bisogno di migliorare e mi sono accorto che per farlo nel modo necessario dovevo dedicare tutto il mio tempo e tutta la mia attenzione al farlo.
E’ difficile esprimere con parole comprensibili cosa mi passava per la testa ma essenzialmente ero giunto alla conclusione che la persona che ero, che stavo diventando, non era in nessun modo il tipo di persona che volevo essere: timido, incosciente, incapace di esprimermi, eccessivamente fragile e per niente pronto ad affrontare il mondo, tanto meno farne parte.
Il passo successivo, quindi, era progressivamente smantellare tutte le idee, previsioni, abitudini, ecc. che avevo avuto fino a quel momento per poi ricostruirle nella maniera che mi sembrava fosse più in linea con il tipo di vita che volevo vivere (diversa da quella che avevo vissuto), quindi, eliminando elementi che sembravano nocivi e cercando di svilupparne altri che sembravano positivi per me. Sfortunatamente non ero in grado di sottopormi a questo processo onnicomprensivo se allo stesso momento dovevo tener conto di tutte le infinite minuterie che compongono il mondo delle relazioni interpersonale di conseguenza la soluzione che mi sembrava più efficace era quella di limitare le interazioni sociali tanto quanto serviva per potermi dedicare interamente a questo processo di ricostruzione.
In breve, questo è il processo che mi ha portato all’isolamento e che, col tempo mi ha aiutato ad uscirne.
D: Alla luce della tua esperienza, ti sei sentito capito e supportato dall’équipe di esperti incaricati di fornire un servizio di consulenza ed assistenza?
R:In genere le mie esperienze sono state più negative che positive in questo ambito ma ci sono state di sicuro almeno un paio di persone che hanno voluto aiutarmi al meglio delle loro capacità e che, in parte, mi hanno aiutato a migliorare.
In particolare ricordo l’impatto che hanno avuto gli incontri tenuti con una psicologa privata ed in seguito con una psicologa ed una psichiatra della ASL.
La prima è stata l’unica persona in un contesto professionale di questo tipo a dirmi in breve che dimostravo segni di depressione cronica e non c’era molto di pratico che si poteva fare per aiutarmi, che alla base di tutto era una questione di come avrei deciso io di affrontare questa condizione che avrebbe determinato quanto effettivamente ne avrei sofferto.
L’esperienza che ho avuto con la psicologa e la psichiatra è stata quasi completamente opposta.
Dall’inizio ho avuto l’impressione che non stessero cercando né di aiutarmi a risolvere i miei problemi, né di farmi stare meglio ma semplicemente di assegnarmi le patologie che loro ritenevano corrette e farmi assumere la quantità di farmaci necessaria per potersi occupare del prossimo paziente.
Ricordo che al tempo, ciascuna di queste esperienze mi aveva lasciato triste e confuso in ugual misura ma col senno di poi posso dire di essere riuscito ad imparare dai miei sbagli (e quelli che a me sembravano essere gli sbagli di altri) per poter meglio navigare, ora ed in futuro, le acque tortuose della vita.
D:Quanto sono importanti le amicizie per l’inserimento sociale di un giovane?
R:Penso che le amicizie siano più importanti per la formazione personale e credo, invece, che sia quasi fondamentale per l’inserimento sociale saper stringere nuove amicizie in maniera affidabile.
D: Che messaggio vorresti trasmettere ai giovani di oggi?
R: Mi farebbe piacere se più persone in generale, giovani o meno, cominciassero ad essere più attivamente coscienti delle loro azioni.
Credo che avere la possibilità di mettere a confronto chi si è con chi si vorrebbe essere sia una cosa universalmente utile e uno degli unici modi per farlo bene è prestare un’adeguata attenzione alle proprie azioni.
D: Che messaggio, viceversa, vorresti dare agli adulti che leggono le tue parole?
R: Che non è mai troppo tardi per rimediare a peccati passati e che una vita in silenzio è una vita sprecata.
Ringrazio di cuore Frederick Allen per essersi intrattenuto con noi in questo dialogo in cui un giovane esprime la sua riflessione sulla scuola, la vita ed il mondo che lo circonda.
Intervista realizzata da Martina Castellarin