SCIENZA

Paola Santini, ricercatrice INAF, parla delle galassie più antiche scovate dal James Webb

Abbiamo incontrato Paola Santini, astrofisica presso l’Osservatorio Astronomico INAF di Roma. La sua ricerca si concentra principalmente sulla crescita e l’evoluzione delle galassie. Santini è anche coinvolta in tre programmi del prestigioso telescopio spaziale James Webb: GLASS, CEERS e PRIMER. Il telescopio spaziale James Webb di NASA, ESA (Agenzia Spaziale Europea) e CSA (Agenzia Spaziale Canadese), entrato in attività nell’estate 2022, è il telescopio spaziale più grande e più potente della storia: possiede uno specchio primario di 6,5 metri di diametro, ed è situato nel punto di Lagrange L2 a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Inoltre, il James Webb è un telescopio agli infrarossi, e questa caratteristica lo rende capace di scovare sorgenti molto lontane. Infatti, la luce di queste sorgenti lontanissime, inizialmente emesse nell’ottico, giungono fino a noi “spostate verso il rosso”, cioè a lunghezze d’onda infrarosse a causa dell’espansione dell’Universo (l’Universo si espande mentre il segnale luminoso viaggia). Per questo motivo le sorgenti luminose molto distanti, non possono essere osservate con i telescopi ottici.

Recentemente, il James Webb ha individuato alcune galassie antichissime, le quali potrebbero essere le primissime galassie mai osservate nella nostra storia. Si pensa che possano risalire all’epoca di 350/450 milioni di anni dopo il Big Bang (l’età dell’Universo conosciuto è di 13,8 miliardi di anni). L’articolo ufficiale della scoperta è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters (per leggerlo clicca QUI).


Come è nata la tua passione per le galassie? Cosa ti emoziona di più quando studi la vita delle galassie e il tempo cosmico?

Sono sempre stata attratta dal cielo e ho sempre subito il suo fascino. Mi ricordo quando da bambina osservavo il cielo, e imparavo a riconoscere le costellazioni. Ricordo anche l’emozione che ho provato quando ho visto, per la prima volta, la Luna con un telescopio. Mi emozionava il fatto che qualcuno ci avesse camminato sopra, sopra quel suolo lunare così lontano. Oggi, la Luna mi sembra vicinissima, perché la mia ricerca è incentrata sulle galassie, le quali si trovano a distanze ben maggiori. Penso che l’aspetto più bello del nostro lavoro, sia quello di poter vedere il passato dell’Universo con i nostri occhi. Questo è possibile perché la luce, nonostante viaggi molto velocemente (300.000 km al secondo), si propaga ad una velocità che è finita. Quindi, impiega un certo tempo a percorrere la distanza dalla sorgente che l’ha emessa fino a noi. In altre parole, la luce che noi riceviamo ci fornisce un’immagine di come era la sorgente miliardi di anni fa (nel caso delle galassie più distanti), nell’istante in cui il suo segnale è partito. Poter scrutare l’Universo e osservare tutte le sue varie epoche, è un qualcosa di unico. E’ il privilegio che abbiamo noi astronomi.

Video ufficiale della NASA sulla presentazione mondiale, avvenuta il 12 luglio 2022, delle prime immagini a colori del telescopio spaziale James Webb.
Credit: NASA

Sei coinvolta in alcune collaborazioni, come ad esempio nei programmi GLASS, CEERS e PRIMER del prestigioso Telescopio Spaziale James Webb. Potresti dirci qualcosa su questi programmi, qual è il loro obiettivo e qual è il tuo ruolo?

Io sono coinvolta in tutte e tre i programmi che hai citato. I primi due (GLASS e CEERS) sono progetti di Early Release Science. Si tratta di programmi osservativi, che vengono condotti all’inizio della vita del telescopio (non appena diventa operativo). L’obiettivo di questi programmi, proposti alcuni anni prima, è quello di familiarizzare con il telescopio e con i suoi strumenti. Infatti, le osservazioni di Early Release Science vengono immediatamente rese pubbliche, in modo tale che la comunità scientifica possa imparare ad utilizzare il telescopio. Per quanto riguarda PRIMER, è un programma di ciclo 1, cioè del primo ciclo di osservazioni del James Webb. Con i telescopi funziona così: ogni anno viene emesso un bando, a cui gli scienziati partecipano per proporre dei progetti e delle osservazioni, affinché si possa dare una risposta alle loro domande scientifiche. In questi bandi c’è sempre molta competizione, poiché le ore di osservazione disponibili sono molte meno della richiesta. PRIMER è uno dei programmi che ha passato questa selezione. I tre programmi GLASS, CEERS e PRIMER sono collaborazioni internazionali, nati per studiare l’evoluzione delle galassie, e il modo in cui nascono e crescono nel tempo.

Io finora ho lavorato principalmente con i dati di GLASS (l’unico dei tre programmi che ha completato le osservazioni). GLASS è una collaborazione italo-americana-australiana, e il Principal Investigator è Tommaso Treu (University of California di Los Angeles). GLASS ha osservato l’area di cielo in cui si trova l’ammasso di galassie Abell 2744. Abbiamo scelto questa regione di cielo per sfruttare l’effetto di lente gravitazionale. Combiniamo la potenza del telescopio James Webb (con il suo specchio primario di 6,5 metri di diametro), con una sorta di “telescopio naturale“: questa grossa concentrazione di massa (nel nostro caso l’ammasso Abell 2744) amplifica il segnale delle sorgenti sullo sfondo. Questo ci permette di osservare sorgenti più deboli, impossibili da osservare senza l’aiuto dell’ammasso che fa da lente.

Un esempio per capire l’effetto lente gravitazionale.
Credit: Media INAF TV

All’interno del progetto GLASS, io mi sono occupata di stimare i parametri fisici che caratterizzano le galassie: la loro massa (da quante stelle sono composte), qual è l’età delle loro stelle, quante nuove stelle si stanno formando ecc… Ho guidato un progetto che come obiettivo aveva lo studio delle masse delle galassie, e in particolare del rapporto tra la loro massa e la luce emessa. Per la prima volta James Webb ci permette di misurare, con enorme accuratezza, le masse delle galassie più distanti. In passato non era possibile fare queste misurazioni, con questa precisione.

Il James Webb è riuscito ad osservare le primissime galassie dell’Universo primordiale, tra i 350 e i 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Secondo te, dove cominciano le galassie? Ad esempio, ci possono essere galassie anche prima dei 350 milioni di anni?

Il telescopio James Webb è andato ben oltre le aspettative: in soli 5 mesi di attività, è riuscito già ad individuare un numero elevatissimo di galassie primordiali. A soli 5 giorni dal rilascio dei dati, il nostro gruppo di ricerca all’Osservatorio Astronomico di Roma è stato il primo, contemporaneamente ad un gruppo a guida americana, ad individuare due di queste galassie attraverso osservazioni fotometriche con la camera NIRCam. Si tratta di sorgenti che risalgono ad un’epoca di 350/450 milioni di anni dopo il Big Bang.

Per il momento si parla di “candidati” (galassie candidate alla conferma ufficiale della loro distanza), perché la conferma definitiva può arrivare solamente da osservazioni spettroscopiche. Attualmente, il James Webb, con lo strumento NIRSpec, è l’unico telescopio in grado di confermare le distanze di queste galassie, come ci ha mostrato solo pochi giorni fa (per visualizzare gli spettri che confermano la loro distanza clicca QUI; per i preprint clicca QUI e QUI). Ma non siamo ancora riusciti ad individuare le prime stelle e le prime galassie che si sono formate, la cui nascita pensiamo possa risalire a 100/200 milioni di anni dopo il Big Bang. Questo è uno degli obiettivi primari del James Webb. Io sono fiduciosa, e penso che riusciremo a vederle. Dobbiamo ricordarci che sono passati solo 5 mesi dall’inizio delle attività scientifiche del telescopio James Webb, stiamo raffinando le tecniche di analisi e dobbiamo ancora accumulare una gran mole di dati.

Due delle galassie più lontane mai osservate, catturate dal telescopio spaziale James Webb nelle regioni esterne del gigantesco ammasso di galassie Abell 2744. Le galassie, evidenziate da due piccoli quadrati indicati con i numeri 1 e 2, non fanno parte dell’ammasso, ma si trovano a molti miliardi di anni luce al di là di esso. Oggi osserviamo queste galassie come apparivano rispettivamente 450 (nel riquadro 1) e 350 milioni di anni (nel riquadro 2) dopo il Big Bang.
Credits: Science: NASA, ESA, CSA, Tommaso Treu (UCLA); Image Processing: Zolt G. Levay (STScI)

Cosa ci stanno insegnando queste due primissime galassie dell’alba cosmica, scoperte dal James Webb? Ad esempio, ci possono dire qualcosa anche sull’espansione dell’Universo? Poiché la luce è partita 13,5 miliardi di anni fa, e durante il viaggio l’Universo si è espanso, la distanza attuale, tra noi e le primissime galassie, non è più di 13,5 miliardi di anni, ma è molto di più, giusto?

Si, certamente. Noi diciamo che queste galassie distano 13,5 miliardi di anni luce da noi, perché questo è il tempo che la loro luce ha impiegato per raggiungerci. Ma, naturalmente, durante questo tempo l’Universo si è espanso. Quindi queste galassie oggi si trovano molto più distanti da noi. Si stima che in questo momento l’Universo abbia una dimensione (un raggio) di circa 46 miliardi di anni luce. Tuttavia, non possiamo sapere come sono oggi queste galassie, perché la loro luce attuale non ci ha ancora raggiunti. Noi vediamo le galassie così com’erano nel passato. E proprio grazie a loro possiamo studiare le prime epoche dell’Universo.

Spiegazione dell’espansione dell’Universo.
Credit: Media INAF TV

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Cosa ci stanno insegnando queste galassie? Ci stanno insegnando molte cose: sembra che la formazione delle galassie sia avvenuta più rapidamente di quanto non pensassimo. Le galassie primordiali sembrano essere molto efficienti nel convertire il gas in stelle, e la formazione di nuove stelle porta alla crescita della galassia. Inoltre, la crescita delle galassie è legata anche alla cosmologia, cioè al modo in cui l’Universo cambia e si espande nel tempo. Quindi questa elevata abbondanza di galassie primordiali (se confermata) e, soprattutto, l’elevato numero di stelle contenute in esse, che rendono le galassie primordiali molto massicce, può dirci qualcosa in più sull’espansione dell’Universo.

Studiando le galassie dall’esterno, possiamo capire come sono le stelle al loro interno, e magari come potrebbero essere i pianeti?

Si. La luce delle galassie, che noi misuriamo, è la somma della luce di tutte le stelle presenti al loro interno. In realtà, le galassie non contengono solo stelle, ma anche gas, polvere e materia oscura (la materia oscura non emette luce). Per polvere cosmica si intende qualunque elemento più pesante dell’elio che si trova in forma solida, grani microscopici essenzialmente di carbonati e silicati. Questa polvere, nonostante costituisca una piccola frazione della massa totale delle galassie, ha un ruolo molto importante, perché modifica la luce delle galassie: la polvere assorbe la luce nell’ultravioletto e la riemette nell’infrarosso. Quando misuriamo la luce delle galassie – anche se non riusciamo a vedere le singole stelle – possiamo riuscire ad interpretare la sua luce totale e, di conseguenza, ad intuire quante stelle giovani si trovano all’interno, quante stelle vecchie, quanta polvere e quanto gas sono presenti. In conclusione, dalla luce totale della galassia possiamo capire com’è il suo interno. Non si può dire invece la stessa cosa riguardo i pianeti che si trovano nelle galassie. Gli unici che riusciamo a studiare infatti sono quelli che orbitano intorno a stelle all’interno della nostra galassia (i famosi esopianeti), e solo nelle vicinanze del Sole. Un altro obiettivo del telescopio James Webb è studiare le atmosfere degli esopianeti, per cercare segni chimici di una possibile presenza di vita (quantomeno una vita simile a quella che conosciamo sulla Terra).

Immagine catturata dal telescopio spaziale James Webb. Possiamo osservare la Galassia Ruota di Carro e le sue galassie compagne, grazie alla telecamera a infrarossi NirCam e allo strumento a infrarossi Miri del James Webb.
Credits: NASA, ESA, CSA, STScI

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Una curiosità: non possiamo individuare pianeti in altre galassie, perché siamo accecati dalla luce della galassia stessa. Infatti, uno dei modi principali che utilizziamo per scovare gli esopianeti è quello di misurare come cambia la luce di una stella quando un pianeta gli passa davanti. Tutto questo per farti capire che, per individuare un esopianeta, bisogna riconoscere le variazioni piccolissime di luce di una stella; quindi, l’individuazione di un pianeta in un’altra galassia è impossibile, perché la luce della galassia è troppo forte, e non ci permette di individuare le singole stelle né tantomeno piccole variazioni della loro luce.

Come è cambiata la tua percezione della vita, dopo aver studiato l’Universo, soprattutto le galassie? Confrontare la durata della nostra vita, con i milioni di anni delle galassie e delle stelle e il tempo cosmico, sicuramente influisce sulla percezione e sul senso della vita. Come ti ha cambiata l’Universo?

L’esistenza del genere umano è un’inezia rispetto alla storia dell’Universo. Se pensassimo alla storia dell’Universo come un film, noi compariremmo nell’ultimo fotogramma. Noi umani siamo l’ultimissimo step di questa storia lunga miliardi di anni. Non direi che questa cosa mi abbia cambiata. Quando pensiamo alla vita umana, ragioniamo in anni, secoli o migliaia di anni; quando pensiamo all’Universo ragioniamo in milioni o miliardi di anni. Quello che è impressionante è contestualizzare la nostra storia rispetto a quella dell’Universo. Penso che questo sia parte del fascino e della meraviglia del nostro lavoro.

  • Per osservare le immagini del telescopio spaziale James Webb in alta definizione clicca QUI.
Published by
Fabio Meneghella