SCIENZA

Omer Gokcumen, esperto in antropologia evolutiva, parla dei suoi studi sul Neanderthal e Homo Sapiens


Abbiamo incontrato Omer Gokcumen, un esperto in antropologia evolutiva (la disciplina che studia come gli esseri umani si siano evoluti, e di come si differenzino dai primati non umani come i gorilla e gli scimpanzé). Gokcumen è Professore Associato del Dipartimento di Scienze Biologiche, presso il Buffalo College of Arts and Sciences (Università di Buffalo, Stato di New York, USA).


Cosa ti affascina di più dell’antropologia evolutiva? Quali emozioni provi nello studiare te stesso (la nostra specie Homo sapiens)?

Siamo unici come specie nell’apprezzare il nostro posto nell’Universo e nell’essere in grado di comunicarcelo l’un l’altro. Mi affascina il fatto che 100.000 anni fa, da qualche parte in Africa, i nostri antenati avessero pensieri altrettanto complessi sulla vita, il mondo e l’Universo. Guardavano le stelle, si chiedevano chi fossero e cercavano di dare un senso alle meraviglie della natura. La base biologica di un pensiero così complesso è affascinante e, al contempo, ancora sconosciuta.

È anche notevole il fatto che ci auto-addomestichiamo senza rendercene veramente conto. Abbiamo apportato innovazioni culturali, che hanno portato a diete diverse, ad esempio, che a loro volta hanno cambiato i nostri genomi in un breve lasso di tempo.

Ci sono parti del nostro genoma che non si sono evolute nel tempo? Se confrontassimo il genoma del primo Homo Sapiens con il nostro genoma attuale, quali differenze noteremmo?

Sì. In effetti, tutti gli esseri viventi sono imparentati. Quindi, ci sono parti del genoma che, presumibilmente, controllano i processi fondamentali di tutti gli esseri viventi (la divisione cellulare, per esempio, o il ripiegamento del DNA), che sembrano essere perfettamente conservati nel tempo. In altre parole, parti del nostro genoma non sono cambiati nel tempo, come ad esempio la divisione cellulare e il ripiegamento del DNA (ciascuna delle nostre cellule contiene un filamento di DNA lungo ben 2 metri, racchiuso in un nucleo di 0,001 mm di diametro. L’unico modo, con cui la natura può realizzare tale impresa, è il ripiegamento del DNA).

Condividiamo i geni che ci rendono mammiferi (latte, placenta, nascita) con altri mammiferi: leoni, elefanti e scoiattoli. Condividiamo ancora di più con i primati. Quasi tutti i geni umani hanno infatti una controparte nel genoma dello scimpanzé. Solo piccole modifiche nella regolazione di questi geni ci separano dai nostri cugini più stretti. Quindi, le differenze sono sorprendentemente piccole quando confrontiamo i nostri genomi con i genomi antichi (diciamo, Neanderthal): ci sono solo dei piccoli cambiamenti nella sequenza regolatrice o nella sequenza proteica.

Ci sono prove che il primo Homo Sapiens si sia incrociato con i Neanderthal (vissuti tra i 200.000 e i 40.000 anni fa)? E se questo è successo, c’è qualche gene ereditato dai Neanderthal nel nostro patrimonio genetico?

Sì e sì. Ci sono alcune variazioni genetiche che abbiamo ereditato dai Neanderthal. La maggior parte di queste variazioni genetiche non sono funzionalmente rilevanti. Tuttavia, ce ne sono alcuni che sono significative. Un esempio scioccante è una variante di Neanderthal che apparentemente aumenta la suscettibilità al COVID grave. Spesso influenzano il metabolismo o i geni correlati all’immunità. Un’ipotesi sarebbe che i Neanderthal potrebbero aver adottato una dieta diversa, un clima freddo e diversi gruppi di agenti patogeni. Quando i nostri antenati si sono incontrati con i Neanderthal, potrebbero aver preso in prestito alcune di queste varianti genetiche, che potrebbero averci aiutato a sopravvivere in territori più freddi.

Scultura di uomo di Neanderthal, in mostra al Neanderthal Museum di Mettmann, in Germania.
Credit: Erich Ferdinand/Flickr

Ho letto che conosciamo solo l’1,5% del nostro genoma, cioè i geni che influenzano il colore degli occhi, o quale malattia potremmo avere ecc… L’altra parte del nostro genoma è costituita da “DNA non codificante”. Cos’è il “DNA non codificante” (“Non-Coding DNA”)?

La “funzione” primaria del genoma è quella di codificare le proteine, che costituiscono la nostra pelle, trasportano il sangue, determinano la nostra pigmentazione, costituiscono i nostri enzimi epatici, ecc. Le parti del genoma che codificano direttamente per le proteine sono davvero piccole ( 1-3%). Quello che è importante sapere, però, è quando, dove e in che quantità vengono prodotte queste proteine. Sappiamo che le parti non codificanti del genoma controllano la regolazione della produzione di proteine. È un processo fantastico, soprattutto se pensiamo che tutti i nostri trilioni di cellule hanno lo stesso genoma. Tuttavia, solo i geni dell’occhio sono attivi nell’occhio e solo i geni del fegato sono attivi nel fegato. Questo stretto controllo della produzione proteica è ottenuto dalle sequenze regolatrici nel DNA non codificante. La posizione e il meccanismo di queste sequenze regolatrici sono un enorme campo di studio.

Devo anche menzionare che è probabile che una buona parte del genoma sia proprio lì e non funzioni affatto. Si discute molto su come definire la funzione genomica.

Scultura di una donna Homo Sapiens del Paleolitico.
Credit: Élisabeth Daynès

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Studiando l’evoluzione umana, pensi che la nostra specie (Homo Sapiens) continuerà ad evolversi o rimarrà come oggi? Secondo te, i futuri viaggi nello Spazio influenzeranno la nascita di una nuova specie umana?

L’evoluzione non si ferma mai. Anche senza cambiamenti ecologici (come i viaggi nello Spazio), ogni generazione accumula nuove mutazioni; alcune sono utili, altre dannose e la maggior parte non sono funzionali. Di conseguenza, cambiamo come specie, inevitabilmente e continuamente. È chiaro che se cambiamo il nostro ambiente, cambieranno anche gli effetti sugli esseri umani. Non dobbiamo aspettare i viaggi nello Spazio per modificare questi effetti, poiché li stiamo già modificando. Pensa alle differenze nei patogeni che hanno colpito i nostri antenati cacciatori: probabilmente i vermi e gli altri parassiti erano il fardello delle infezioni batteriche. E poi, andando velocemente in avanti con la storia, arriviamo nella Londra medievale, in cui metà della popolazione morì per infezioni batteriche. E ancora avanti veloce fino ad oggi, in cui i virus sono i più grandi assassini nel nostro mondo iperconnesso e sovrappopolato.

Published by
Fabio Meneghella