Marino Magliani è ritornato in libreria con il suo nuovo romanzo Il cannocchiale del tenente Dumont (L’Orma editore): una storia apparentemente storica, ma che ha in realtà in sé un significato molto più profondo. Magliani utilizza una tecnica narrativa speciale che, nella sua preziosità, riesce a catturare il lettore e a farlo innamorare delle parole. Ambientata nell’Ottocento, la storia da lui raccontata permette di fare un salto indietro ma anche di conoscere tematiche che, nella loro attualità, riescono sempre a diventare frequenti (e spesso prepotenti).
La libertà, la lotta per il potere, l’abuso: tutti eventi che possono accadere e che accadono anche nella società odierna. Magliani li ha fatti così diventare suoi e li ha trasformati in narrazione. Candidato al Premio Strega 2022, l’autore ha accettato di incontrarci e ci ha parlato del valore che, per lui, la scrittura ha sempre avuto e di quanto sia importante parlare di libertà.
Come nasce il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?
In seconda elementare un tempo si faceva un esamino; io ero nel banco con un bambino che non conoscevo, c’erano le seconde di mezza valle. Per la prova scritta di italiano si trattava di elencare nomi di frutta. Il vicino di banco ne scriveva a raffica, mela, uva, pera, mi guardava e scriveva cinque o sei. E io quelle cose lì non le volevo scrivere perché le aveva già scritte lui. Volevo le mie parole, private, la mia frutta. Consegnai il foglio quasi in bianco e mai più avrei saputo che, quel giorno, in qualche modo sarebbe nato lo scrittore.
Parliamo del libro Il cannocchiale del tenente Dumont, una storia ambientata nell’estate 1800. Dove nasce l’idea di tuffarti nel passato e di parlare di un periodo storico molto distante dal nostro?
Dal bisogno di raccontare una Liguria così diversa da quella attuale, che crolla in mare ed è una rovina di sterpi e uliveti abbandonati. La Liguria di inizio Ottocento è, direbbe Sbarbaro, un catalogo di oggetti semplici, pii, una terra ordinata, i muri intatti, popolata di braccianti e bambini, animali, e purtroppo anche di eserciti sempre pronti a depredare la popolazione affamata.
Nel tuo libro, è molto presente la natura (in particolare, i paesaggi liguri). Cosa rappresenta per te la Liguria e cos’ha rappresentato nel romanzo?
Per me è il mio mondo, sono figlio di contadini ed è la compensazione a tante cose, così come sosteneva Biamonti. Nel romanzo, la descrizione del paesaggio, effettuata in un certo modo, è qualcosa in grado di creare un ritmo. Il ritmo della trama attraverso il paesaggio, una sfida impossibile, ma da tentare.
Si parla di guerra, ma anche del sogno di una libertà. Qual è la tua concezione di libertà?
La libertà dovrebbe essere un culto, dice Haroldo Conti, desaparecido durante la dittatura argentina, e che ho tradotto con Riccardo Ferrazzi. In questo caso ci gioca anche l’hascisc, che non è un mito, o un sogno, o un accumulo di libertà, al contrario, è una costrizione, e abbandonarlo significa riprendere la rotta della libertà.
Il tuo libro è candidato all’edizione 2022 del Premio Strega. Quali sono le tue aspettative in merito a questo importante riconoscimento?
Aspetto e vivo il premio con grande curiosità, non avevo mai partecipato, il libro sarà giudicato dopo essere stato letto, e poi se fosse ritenuto meglio o no di altri è una questione di accettazione, dal momento in cui uno si mette in gioco deve accettarne le regole. Sono contento di esserci con L’Orma, una casa dove sto bene, dove vengo seguito, rispettato, non dico che altrove non sia successo, ma con L’Orma è certamente scattato qualcosa.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Certo! Traduco, dicevo, con Riccardo Ferrazzi e Alessandro Gianetti, usciranno nostre traduzioni da Juan Montalvo, Felix Grande, Carlos Castán. E per Betti, per la collana Libri di Mompracem, curata da Paolo Ciampi, uscirà un mio racconto illustrato da Chiara Fabbri Colabich, molto brava. A breve, a fine agosto i miei racconti per La Biblioteca di Letteratura Inutile, di Italo Svevo Editorali, curati da Dario De Cristofaro e per la parte cartografica da Roberto Moriani.
Intervista a cura di Stefania Meneghella