Su mari portatori di emozioni, mentre anime danno il benvenuto a nuovi giorni ancora in bilico tra Sole e Luna, mentre mondi mutano le loro essenze per divenire migliori, una donna è posata su una roccia. Una donna è posata mentre il silenzio di mondi ricercatori di sentimenti le ruota attorno, mentre la vita diviene tappeto su cui distendersi e pensare. Una donna è posata sulla riva di un mare antico, in attesa. Profumi di natura inebriano la sua anima, penetrando in ciò che resta del suo cuore; è un cuore in frantumi, il suo, un cuore che non ha la capacità di battere per nessun altro. Per nessun altro, tranne che per una vela che viaggia lontano. Una donna è posata su una roccia, mentre uno sguardo rivelatore osserva quella vela che raggiunge man mano l’orizzonte che da sempre aveva cercato, che da sempre aveva atteso. E l’attesa diviene solo una piccola parte di mondo che resta cristallizzata nel tempo; lei è nel tempo. Lei è cristallo.
Aveva sempre amato la vela, la donna; aveva sempre amato il mare. Ma, su mari portatori di emozioni, un’ombra la seguiva: era l’ombra di una vela perduta, di un mare che aveva perso le sue onde; era un’ombra di chi aveva amato e aveva fallito. La donna restava, l’ombra viaggiava. La donna restava seduta su una roccia, mentre attendeva quella vela ormai lontana che aveva raggiunto l’orizzonte; l’ombra viaggiava nel mondo, convinta che niente avrebbe potuto trasformare il dolore in amore. Viveva senza la sua ombra, quella donna; viveva senza la capacità di soffrire, senza la capacità di amare, vuota. Vuota era la sua vita, senza la vela che aveva il potere di condurla verso mari sempre più lontani, verso orizzonti sempre più profondi. Vuota era la sua vita, senza la sua ombra. Ed era ormai impossibile, ritrovarla; era ormai impossibile scorgerla mentre le essenze del mondo le ruotavano attorno.
Una vela viaggiava lontano, ed era ormai andata perduta. L’amore era perduto. Così come i sogni e le speranze di una donna che, sulla riva di un antico mare, era cristallizzata nell’attesa, mentre illusioni passate erano ormai impregnate nel cuore e non riuscivano a trasformarsi in crude realtà. La sua vita era sempre stata un sogno, da cui non riusciva a svegliarsi. Non poteva. Non poteva vivere con il corpo; la sua era un’anima troppo profonda. Lei era mare.
Lei era Maria Callas, soprano greco, donna bellissima e di grande fama, e restare in attesa di una vela ormai lontana significava fragilità. Non poteva esser fragile; lei era mare, lo sapevano tutti. Lo sapeva persino il grande scrittore Pier Paolo Pasolini, che la scelse per il film “Medea”, di cui lui era regista. La scelse per il suo viso, che rimandava a una realtà contadina primigenia, un viso addolcito dai trascorsi borghesi, ma molto intenso e vero. Era il 1968 e, nell’esatto momento in cui i due si incontrarono, in lei scattò qualcosa, qualcosa che non scattò in lui, e questo portò a una continua ed eterna rincorsa verso qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Lei era mare; lui era vela. Lei era reduce da nove anni d’amore con il miliardario Aristotele Onassis, che l’aveva lasciata per sposare Jackie, la vedova di John Fitzgerald Kennedy. Lui, omosessuale, aveva una sola ossessione: Ninetto Davoli, di cui era innamorato. Erano due uguali: forti all’esterno, ma in realtà immensamente fragili. E fu proprio la loro fragilità a costruire quello che sarebbe diventato un saldo rapporto di amicizia e di amore, ma un amore struggente e platonico, un amore che muore sul nascere, che non può mutare sentimenti ma solo pensieri. Maria iniziò dunque a seguirlo ovunque, convinta di poterlo convertire all’eterosessualità; lo accompagnò persino in Africa per i sopralluoghi di un’Orestiade che non sarà mai girata. Si amavano, ma di un amore diverso. Pier Paolo la considerava “splendida” e, quel giorno in cui si incendiò un capanno sulla spiaggia, arrivò correndo e urlando il suo nome, preoccupato che lei potesse essere tra le vittime. A lui interessava solo Maria. E questo lei lo sapeva, e si innamorava ogni giorno di più quando lo sapeva, convinta che sarebbe stata lei la donna che avrebbe sposato. Lei credeva. Ci aveva creduto persino quel giorno in cui Pier Paolo le regalò un anello: un’antica corniola di Aquileia incastonata nell’argento con fregi romanici. Maria scambiò il dono per una dichiarazione, per il preludio a una richiesta di matrimonio che non sarebbe mai arrivata. Lei viveva nell’attesa. Lei era mare; lui era vela. E la vela aveva sempre viaggiato, mentre il mare era lì ad aspettarla. Loro erano così. Lui viaggiava, lei restava. Lui era la sua ombra.
Solo una volta lui decise di restare. Era l’estate del 1970 e la trascorsero insieme a Tragonisi, un’isola dell’Egeo di proprietà di Perry Emiricos, un melomane e miliardario greco, amico della Callas. Furono lunghe giornate di chiacchiere e confidenze, in cui si raccontarono le loro vite. Di giorno, in spiaggia, lui la ritraeva su foglietti ripiegati in quattro, intingendo un pennino in infusi di petali di fiori e acqua di mare. Di notte, lui componeva poesie a lei ispirate, rinchiuso nella sua stanza. Per la prima volta, Maria guardava Pier Paolo e lo immaginava mare. Erano mare, in quei momenti. Erano mare che non attendeva, mare che amava. Per Maria, lo erano soprattutto quando Ninetto Davoli s’innamorò di una ragazza e decise di sposarsi, lasciandole libero il campo. Maria divenne sempre più convinta che anche Pier Paolo avesse potuto scegliere l’eterosessualità, che lui avesse potuto scegliere lei. Ma,improvvisamente, il mare nell’anima di lui si tramutò nuovamente in vela. Vela che partiva, che lasciava, che distruggeva. Pier Paolo si rinchiuse in un forte dolore, ancora innamorato di Ninetto; aveva perso il senso della vita, aveva perso tutto, e Maria non poteva fare nulla. Poteva solo essere mare che attende. Sarebbe sempre stata mare, e lo sapeva. Forse l’aveva sempre saputo. E il filo che legava Maria e Pier Paolo terminò per sempre con queste parole scritte da lei:
«Sono infelice per te, ma contenta che ti sei confidato in me. Caro amico, sono infelice che non posso essere vicina in questi momenti difficili per te come lo sei stato tu spesso con me. Tu sai bene, in fondo, che sarebbe andata così. Ti ricordi a Grado, in macchina, si parlava con Ninetto di amore e che so io e dentro in me le mie antenne, tu dici, me lo dicevano quando Ninetto diceva che non si innamorerebbe mai. Sapevo che diceva delle cose che era troppo giovane per capire. E tu, in fondo, uomo tanto intelligente lo dovevi sapere. Invece ti attaccavi anche tu a un sogno fatto da te solo perché è così, anche se ti addoloro con questa predicuccia piccola…».
Fine.
L’incontro tra due anime, l’amore impossibile, terminò per sempre e quel filo si sfilacciò con gli impegni dell’uno e dell’altra. Maria a Parigi. Pier Paolo a Roma.
Maria, mare. Pier Paolo, vela.
Lo sarebbero stati sempre. Lei mare, lui vela. Lei l’avrebbe sempre aspettato, lui sarebbe sempre partito. E avrebbero continuato così, per molto altro tempo ancora, fino alla notte tra il 1 e il 2 dicembre 1975, notte in cui Pasolini fu ucciso brutalmente sulla spiaggia di Ostia, località del comune di Roma, da un ragazzo omosessuale, già noto alla polizia come ladro. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa, e fu proprio Ninetto Davoli a riconoscerlo.
Tutto questo accadde mentre su mari portatori di emozioni, mentre anime davano il benvenuto a nuovi giorni ancora in bilico tra Sole e Luna, mentre mondi mutavano le loro essenze per divenire migliori, una donna era posata su una roccia. Una donna era posata mentre il silenzio di mondi ricercatori di sentimenti le ruotava attorno, mentre la vita diveniva tappeto su cui distendersi e pensare. Una donna era posata sulla riva di un mare antico, in attesa. Profumi di natura inebriavano la sua anima, penetrando in ciò che restava del suo cuore; era un cuore in frantumi, il suo, un cuore che non aveva la capacità di battere per nessun altro. Per nessun altro, tranne che per una vela che viaggiava lontano. Una donna era posata su una roccia, mentre
uno sguardo rivelatore osservava quella vela che raggiungeva man mano l’orizzonte che da sempre aveva cercato, che da sempre aveva atteso. E l’attesa diveniva solo una piccola parte di mondo che restava cristallizzata nel tempo.
Lui era nel tempo.
Lei restava seduta su una roccia, mentre attendeva quella vela ormai lontana che aveva raggiunto l’orizzonte; e, mentre partiva quella vela, l’ombra ritornava e pian piano le entrava nell’anima, impregnata nel cuore, cristallizzata in quella parte di mondo che credeva. Era l’ombra di chi aveva amato, era l’ombra di una vela che viaggiava lontano. Così, posata sulla riva di un antico mare, Maria iniziò ad amare.
Era mare, ma avrebbe smesso di attendere. Pier Paolo era la sua ombra, era la sua illusione. E lei, nelle illusioni, ci aveva sempre creduto.
Articolo realizzato da Stefania Meneghella