Abbiamo incontrato Marco Romoli, Professore associato di Astrofisica, presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Firenze. Romoli è anche il Principale Investigatore del coronografo METIS, installato nella sonda Solar Orbiter dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e della NASA. Solar Orbiter è una sonda interplanetaria lanciata il 10 febbraio 2020, con l’obiettivo di studiare il Sole ad una distanza ravvicinata mai tentata prima: fino a 42 milioni di chilometri di distanza. Un altro obiettivo della sonda è osservare, per la prima volta, le regioni polari del Sole. Il coronografo METIS, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), è stato realizzato da un team scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), da ricercatori di alcune Università italiane (come Firenze, Torino, Milano, Padova, Napoli e Catania), e da un consorzio industriale formato dalla OHB Italia di Milano e da Thales Alenia Space Italia di Torino. Al progetto hanno collaborato anche il Max Planck Institute for Solar System Research di Göttingen in Germania e la Czech Academy of Sciences della Repubblica Ceca.
Il coronografo METIS è un telescopio che crea un’eclisse artificiale, per permetterci di osservare la Corona solare. Quali sono le potenzialità di METIS, e perché deve creare un’eclisse artificiale per osservare la Corona?
In passato la Corona solare si poteva osservare solo durante le eclissi totale di Sole, poiché era l’unico momento in cui era possibile vedere la tenue atmosfera solare. In altri momenti, la forte luce del disco del Sole, rendeva impossibile l’osservazione della Corona. Successivamente, verso la fine degli anni ’30, fu inventato un coronografo per osservare la Corona solare dalla Terra. Chiaramente, osservare la Corona dalla superficie terrestre non è l’ideale, perché il nostro cielo rimane azzurro e, pur coprendo il disco del Sole, l’osservazione rimane limitata. Perciò, il modo migliore per osservare la Corona è andare nello Spazio. I primi coronografi spaziali sono nati negli anni ’70 (attualmente ci sono alcune missioni spaziali, ancora in attività, che possiedono un coronografo). Per quanto riguarda la sonda Solar Orbiter, in particolar modo il nostro coronografo METIS, la novità è che il nostro strumento osserva sia in luce visibile (polarizzata, perciò può fare una misura quasi diretta degli elettroni, che stanno nella Corona) e, contemporaneamente, osserva anche nell’ultravioletto. Questo consente di fare anche una misura dell’abbondanza dell’idrogeno nella Corona. Le immagini della Corona ottenute sono le prime della storia, in questa lunghezza d’onda. Pertanto, siamo in grado di avere una misura delle due componenti principali della Corona: gli elettroni e l’idrogeno.
Siete riusciti a scoprire qualcosa in più sui misteri della Corona? Ad esempio, perché ha una temperatura di milioni di gradi Celsius, mentre la superficie solare ha solo qualche migliaio di gradi Celsius di temperatura?
Ci sono molte teorie che cercano di spiegare questo fenomeno. Solar Orbiter, avendo anche strumenti che osservano il disco solare a distanza ravvicinata, riesce ad avere una risoluzione di 100 km sulla superficie del Sole. Quindi, riesce a vedere dettagli di oggetti molto piccoli e, al contempo, può capire se ci sono strutture di scala più piccola che possono contribuire a questo fenomeno (il fenomeno del riscaldamento Coronale). Un’altra caratteristica importante della sonda Solar Orbiter è la sua orbita: grazie alla sua orbita riuscirà ad osservare, per la prima volta, i Poli del Sole. Queste osservazioni sono molto importanti anche per capire la dinamo, cioè la generazione del campo magnetico solare. Aggiungere queste informazioni sui Poli del Sole alla nostra conoscenza, ci permetterebbe di capire meglio come funziona la generazione del campo magnetico solare.
Se non sbaglio, la sonda Solar Orbiter ha già sorvolato i Poli del Sole, perché ho visto alcune immagini del Polo Sud del Sole.
Sopra i Poli non è ancora passata, perché ci passerà fra qualche anno. Le immagini che hai visto sul sito dell’ESA, sono immagini scattate con angoli di incidenza molto alti (hai visto il Polo Sud del Sole osservato obliquamente, ma non dall’alto). Nel 2025, la sonda Solar Orbiter avrà un’inclinazione di 30°, sufficienti per osservare i Poli.
Quale sarà la minima distanza che la sonda raggiungerà dal Sole? Ho letto che dovrebbe avvicinarsi fino a 40 milioni di chilometri dalla superficie del Sole (ricordiamoci che la distanza Terra-Sole è di circa 150 milioni di chilometri).
Precisamente si avvicinerà fino a 42 milioni di chilometri dal Sole. In realtà, ha già raggiunto questo traguardo, ma per sapere tutte le informazioni scoperte bisogna aspettare. La sonda impiega del tempo per inviare i dati alle antenne della Terra. La rete di antenne terrestri (radiotelescopi), che ricevono i dati provenienti dalle missioni nello Spazio, si chiama Deep Space Network (DSN). Quest’ultima è formata da tre complessi di antenne situati in continenti differenti: tre antenne nel deserto del Mojave, in California (USA); sei antenne a 60 km ad ovest di Madrid, in Spagna; e tre antenne a 40 km a sud-ovest di Canberra, in Australia. Siccome il pianeta Terra ruota su stesso, occorre avere una rete di antenne collocate in vari continenti. In questo modo, possiamo sempre mantenere una comunicazione con le sonde.
La gestione della sonda Solar Orbiter è molto complessa, perché vi sono dieci strumenti a bordo, ognuno dei quali ha un proprio obiettivo. L’ESA (Agenzia Spaziale Europea) gestisce molto bene questa convivenza a bordo, tra i vari team scientifici. L’ESA stabilisce anche la quantità di dati che puoi inviare alle antenne della Terra. Pertanto, si stabiliscono delle pianificazioni periodiche (generalmente trimestrali), per organizzare le osservazioni che si faranno a turno. Tutto questo serve a non riempire la memoria a bordo della sonda e, al contempo, a riuscire ad avere la capacità di poter scaricare tutti i dati verso la Terra. E’ una gestione molto complessa, ma fino ad ora è andata bene. Ormai è quasi un anno che stiamo nella missione nominale.
METIS ha osservato, per la prima volta, lo switcback (la propagazione delle perturbazioni del campo magnetico). Che cos’è lo switcback nel dettaglio, e perché è importante?
Un altro problema del Sole, oltre al riscaldamento della Corona, è l’accelerazione del vento solare. Il vento solare si divide in due regimi: il vento solare veloce e il vento solare lento. Il primo viene dai Poli, mentre il secondo non lo sappiamo con precisione, anche se lo abbiamo osservato intorno all’equatore del Sole, dove c’è maggiore attività magnetica. Tuttavia, resta ancora il mistero su quali siano le strutture che accelerano il vento.
Questi switcback potrebbero essere delle deformazioni delle linee del campo magnetico, le quali formano una sorta di esse (S). Questa esse (S) ci appare come un colpo di frusta: si crea questa esse (S) e poi si propaga verso l’esterno. Per la prima volta METIS ha osservato una struttura simile nella Corona solare. Questa osservazione potrebbe essere legata al fenomeno dell’accelerazione del vento solare lento. Quindi, questo potrebbe essere uno dei meccanismi che spiegano l’accelerazione del vento solare lento.
La sonda Parker Solar Probe della NASA è la sonda che si è avvicinata di più al Sole (fino a 6 milioni di chilometri, grazie ad uno scudo termico speciale in fibra di carbonio, spesso 11,43 cm e pronto a sopportare ben 1.377° Celsius di temperatura). E non solo: la sonda Parker è la prima sonda ad aver “toccato” la Corona solare, ed è anche la sonda più veloce della storia: ha raggiunto i 586.860 km all’ora. Nonostante questi record, la Parker non può scattare immagini, poiché deve lavorare a pochissima distanza dal Sole, e le alte temperature non lo permettono. Per questo motivo la sonda Solar Orbiter, che può scattare immagini, ha il record di immagini solari scattate da una distanza mai tentata prima, e con una risoluzione mai vista prima. Queste due sonde possono lavorare insieme, contribuendo a risolvere alcuni misteri?
La sonda americana Parker Solar Probe arriverà a breve a soli 10 raggi solari (a circa 7 milioni di chilometri dal Sole). Gli scienziati si aspettano che entri dentro la Corona solare, perciò dovrà affrontare dei problemi termici. Pertanto, non può avere delle aperture per far uscire i telescopi, che scatterebbero immagini. Tuttavia, viaggiando così vicino al Sole ottiene delle informazioni uniche sul vento solare (dove il vento solare è stato appena accelerato).
Solar Orbiter, invece, ha i telescopi. Non raggiungerà i record di minima distanza dal Sole come la sonda Parker, ma otterrà immagini mai viste prima. La combinazione di queste due sonde ci consentirà di capire cosa accade sul Sole. Uniremo i dati ottenuti dalle due sonde in situ, cioè nella loro posizione, con quello che si verifica sul Sole. Ad esempio, confronteremo i dati sulle particelle in situ (dove si trovano le sonde), con la zona del Sole in cui vengono generate queste particelle.
Quando hai osservato le immagini della sonda Solar Orbiter, con una nitidezza mai vista prima, quali emozioni hai provato? Hai scoperto qualcosa di nuovo?
Sono immagini impressionanti. Ti sembra quasi di volare sopra il Sole. Il Sole, osservato nell’ultravioletto, è estremamente dinamico, perciò si vedono strutture che evolvono e che cambiano luminosità. L’impressione è quella di poter volare vicino al Sole. Il tutto è visto con un dettaglio maggiore, quindi abbiamo visto cose che prima non riuscivamo a vedere.
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Si prova una grandissima emozione nel studiare e nel poter vedere da vicino una stella dell’Universo, una delle miliardi di stelle. Possiamo imparare qualcosa sul funzionamento delle altre stelle, studiando la nostra stella, il Sole?
Assolutamente si! E’ quello che dico sempre ai miei studenti: il Sole è un pò come la Stele di Rosetta dello studio sulla Fisica delle stelle. Il Sole è l’unica stella che riusciamo a vedere nel dettaglio, e riesce a farci capire come funzionano le stelle. La nostra stella, il Sole, è classificata come stella nana; quindi, è una stella di dimensioni medio-piccole (il suo diametro è di quasi 1,4 milioni di chilometri; quello della Terra è di 12.742 chilometri). Il Sole fa parte di quell’insieme di stelle che bruciano l’idrogeno nel loro nucleo, e questo gli fornisce una grande stabilità, come ad esempio una luminosità costante. E proprio questa stabilità consente alla vita sulla Terra di esistere. La vita, per prosperare ed evolversi, ha bisogno di una stella stabile, che non diventi né troppo calda e né troppo fredda.