Marco Rettani è scrittore, autore, compositore e discografico, che è uscito ora con il suo nuovo libro dedicato al Festival di Sanremo.
Si chiama “Ho vinto il Festival di Sanremo – Special Edition 75esimo Sanremo” (La Bussola Edizioni) ed è una ristampa speciale aggionrata del libro di Rettani e del giornalista e scrittore Nico Donvito. In questo progetto sono infatti stati ripresi alcuni dei momenti più importanti della loro carriera che sono legati alla vittoria della kermesse della Canzone Italiana, e a questi si sono aggiunti quattro nuovi capitoli dedicati alle storie di Gigliola Cinquetti, Albano, Roberto Vecchioni e Angelina Mango. Ad incorniciare l’intero volume ci sono Carlo Conti nella prefazione, Pippo Baudo con una lettera al Festival che ha condotto per ben 13 edizioni e Amadeus nella postfazione.
In vista dell’uscita del libro, Rettani si è quindi raccontato senza filtri ripercorrendo con noi le tappe più importanti della sua vita e della sua carriera.
Produttore discografico, autore di canzoni e scrittore. Ha scritto per i più grandi cantanti della nostra nazione. Quando nasce però il legame con le parole e con il mondo musicale?
Non c’è un momento in cui nasce il legame con le parole, ma è una cosa che si porta dentro. Nella mia epoca, si scriveva spesso su pagine di diari o su fogli di carta, mentre ora la tecnologia ha cambiato moltissimo le cose. Si è sempre attaccati alle parole ma in un modo diverso, e questo crea sicuramente meno appartenenza alle parole. Di certo ci sono anche tantissimi vantaggi che i ragazzi di oggi hanno acquisito, e sarebbe incomprensibile pensare che i giovani debbano ora tornare alla penna o al foglio. Diventa quindi anche più facile scrivere, perché io in primis – ad esempio girando in macchina – mi segno le idee che mi vengono in mente, ed è questo che è necessariamente cambiato.
Patty Pravo, Laura Pausini, Alessandra Amoroso, Orietta Berti e così via… Ha collaborato con loro e con molti altri, ma c’è un artista che gli è rimasto particolarmente nel cuore e a cui si sente legato da un rapporto speciale?
Per mia formazione, scrivo molto per le donne. Mi è capitato anche di scrivere per uomini, ma sono diretto soprattutto al mondo femminile. Sopratutto nel momento in cui si devono esprimere sentimenti, il passare attraverso la voce della donna – che veste le mie parole – per me è fondamentale. Con le artiste con cui ho collaborato si è creato un legame speciale: normalmente si cerca di creare un vestito sull’artista. Potrei dire di essere molto affezionato a Patty Pravo, perché con lei ho fatto le prime grosse cose. Con lei ho fatto il mio primo disco: all’epoca c’erano i concept album, e ogni cantante tirava fuori un disco che aveva un filo conduttore con cui raccontare una storia. Ora è un mondo di singoli, e quindi è rara la possibilità di tornare a pubblicare un album in cui si racconta un senso di vita e una storia che arricchisce molto.
In generale, al di là dell’artista e del nome in particolare, a me piace scrivere e ho una scrittura molto femminile. Per me non c’entra molto l’età perché, quando si parla di sentimenti d’amore, non importa il tempo né gli anni. L’amore è una forma universale che tocca tutti. Orietta Berti e Angelina Mango potrebbero ad esempio cantare la stessa cosa, nonostante ci siano 60 anni di differenza tra una e l’altra. L’amore è l’unica cosa per cui vale la pena lasciare una traccia, perché la canzone sociale lascia sempre il tempo che trova. Secondo me, l’artista deve portare avanti concetti e idee ma non entrare nelle dinamiche di parte. Nel brano di amore, tu ti ci cali dentro perché hai vissuto quel momento lì. Se ti racconto una canzone sociale – ad esempio sul barcone che affonda – mi emoziono, resto scosso ma non la sento mia come canzone. Non l’ho vissuta, e nel momento in cui quel brano non è mio, non mi apparterrà nel mio bagaglio culturale. Le canzoni sociali hanno il loro periodo e finiscono lì.
È attivo nell’ambito musicale da molti anni, ma com’è cambiato il mondo discografico in tutto questo tempo? Cosa ne pensa del panorama artistico moderno?
La discografia non esiste più, così come l’avevamo concepita una volta. Non si fanno più dischi, non ci sono più i supporti utili a creare un album ed è tutta ormai una modalità digitale che ha ucciso la discografia. Una volta fare un disco era un traguardo, e c’era un discografico che puntava su di te e investiva, tirando fuori un album che era il punto di arrivo di una carriera. Ora si fa un disco e si prova così a inventarsi una carriera, tanto che qualsiasi artista che vorrebbe sfondare nel mondo musicale presenta un album già pronto al discografico, diventato in realtà un distributore che tenta di far diventare famoso l’artista. Il Festival di Sanremo è ormai un unico faro che accende la carriera di un giovane o che riaccende la carriera di un Big. Si tratta di una magia, dato che da tantissimi anni c’è questa “messa laica” che blocca per una settimana il Paese.
Sanremo crea anche un legame con l’estero, grazie all’Eurovision Song Contest…
Sì, anche se ora l’Eurovision è ormai sopravvalutato. Anche questa manifestazione esiste da 60 anni, ma l’Italia ha iniziato a prestare attenzione a questa kermesse da poco, forse da quando Il Volo ha portato il brano Grande Amore. Tempo fa era visto come un evento “trash” che veniva trasmesso in seconda serata, ma soprattutto da quando hanno vinto i Maneskin c’è stata un’esplosione internazionale. Si ritiene quindi che quello sia un passaggio di visibilità incredibile. Lo è però anche il Festival di Sanremo: ci sono stati tanti Vip che sono passati al Festival – come Laura Pausini o Eros Ramazzotti – e che sono diventati star internazionali senza essere mai passati dall’Eurovision.
Il suo nuovo libro si chiama appunto “Ho vinto il Festival di Sanremo” ed è un omaggio alla storia del Festival. Dove nasce questa idea?
Nasce dalla mia storia, dato che sono cresciuto a “pane e Festival“. Da ragazzo lo guardavo in tv, ma in seguito ho iniziato a frequentarlo come operatore, autore, discografico, manager, appassionato della storia e delle idee. Dal Festival è passata l’Italia, e in questi 75 anni è sempre stato uno specchio della crescita dell’Italia e tutti sono in grado di raccontare la storia del nostro Paese attraverso quello che succedeva al Festival. Ad esempio, nel 1958 Domenico Modugno cantava Volare ed era l’immagine di un Paese che sta rinascendo dopo un dopoguerra il quale aveva massacrato e portato alla miseria nera tutte le famiglie. Se chiudi gli occhi e torni lì, vedi Modugno che apre le braccia e racconta di un boom economico.
Quelle canzoni degli anni ’60 – Gigliola Cinquetti o Bobby Solo – svelavano invece la crescita di un Paese, fino ad arrivare agli anni ’70, quando il Festival rischiò la chiusura perché non funzionava più. La kermesse è poi ripartita negli anni ‘8o e ’90, con i grandi autori come Eros Ramazzotti, i Pooh e così via. Il titolo del libro è un modo ironico di esorcizzare un mio sogno, dato che scrivo canzoni che ogni tanto vanno al Festival. Il mio desiderio è quindi quello di poter dire di aver vinto finalmente il Festival. All’interno di questo libro ci sono le testimonianze dei vincitori – i più importanti – di questa manifestazione musicale.
Il volume vede la preziosa collaborazione di Carlo Conti e Amadeus, ma anche di Pippo Baudo, che è senz’altro uno dei punti di riferimento della Rai e del Festival di Sanremo. Secondo lei, cosa ha rappresentato Baudo per il nostro Paese?
Pippo Baudo è il Signore della tv, ed è colui che ha inventato una forma di comunicazione televisiva in un momento in cui la tv ha segnato la cultura delle persone. In questo accumulo in eccesso di informazioni, ha inventato un modo di fare spettacolo. La Rai ha così dato vita a questo matrimonio tra Pippo e il Festival di Sanremo, che è durato ben 15 anni. Lui ha preso per mano il Festival in un momento difficilissimo e ha reinventato una formula, proiettando questa kermesse nel mondo e nell’Italia che stava cambiando.
Lui è stato in realtà fortunato in un momento in cui tutti guardavano solo il Festival, mentre il Sanremo moderno – che inizia con Carlo Conti nel 2015 per poi passare nelle mani di Baglioni e di Amadeus per 5 anni – presenta una sfida molto più complessa. Gli ultimi conduttori si sono trovati di fronte a un mondo che era cambiato di nuovo, e bisognava riportare l’attenzione del giovane. Carlo Conti in primis, poi Amadeus, hanno quindi avuto la capacità di portare la generazione giovanile nella storia del Festival. Questa è stata un’ulteriore scommessa, e adesso tutti guardano Sanremo.
Quest’anno il Festival sarà condotto e diretto da Carlo Conti. Quali sono le sue aspettative a riguardo?
Sono aspettative altissime, perché sono sicuro che ci saranno molte belle canzoni. Sono certo che non sarà tradito da questo: sarà un Festival di successo, com’è accaduto nelle edizioni condotte da Amadeus. Di certo non abbandonerà l’eredità di quest’ultimo, anche se lui ha voluto aggiungere la sua quota di innamorato del pop anni ’70 e ’80. La canzone che più è rimasta dell’anno scorso è d’altronde quella de I Ricchi e Poveri, perché era più cantabile, pur arrivando in basso alle classifiche. Il Festival ha inoltre avuto il merito, negli anni, di riportare il successo a cantanti del passato.
Ad esempio, Orietta Berti era diventata – negli ultimi tempi – un personaggio televisivo che tendeva a far ridere e che partecipava spesso al programma di Fabio Fazio. Aveva un po’ lasciato la sua identità di cantante, anche perché portava avanti un repertorio che era fermo ai tempi passati. Passando dal Festival, è diventata un’altra e, grazie a una serie di coincidenze fortunate, è stata rilanciata nel mercato.
Tra i Big annunciati, tifa per qualcuno? Chi, tra i nomi di questa edizione, pensa che abbia tutte le potenzialità per vincere?
Tifo per Marcella Bella perché sono l’autore del suo pezzo, ma se devo pensare a chi potrebbe vincere direi senz’altro Irama, perché porterà un pezzo bellissimo e scritto da Blanco. Nel corso degli anni, si è sempre mosso tra la quarta e la settima posizione al Festival, ma questo potrebbe essere il suo anno se indovinano tutte le mosse. Spesso è anche una questione di fortuna: prima di Sanremo dello scorso anno, pronosticarono Angelina Mango ma sembrava improbabile una sua vittoria. Per Irama è un po’ più facile, perché è amatissimo dalle nuove e vecchie generazioni.
Futuri progetti?
Scrivere canzoni. A fine febbraio uscirà un altro libro che parla sempre di musica, e continuerò intanto a lavorare ai dischi. Si dovrà iniziare a lavorare con gli artisti del Festival, tra cui anche Marcella Bella, con cui potremo organizzare dei live e altri progetti.