Luca Calvani ha debuttato alla regia per la prima volta e lo ha fatto con un progetto che porta la sua firma ma che lo mostra anche come protagonista. Il Cacio con le Pere – questo il suo film – è una commedia corale che racconta la storia di due fratelli con due caratteri opposti ma che, dopo varie vicissitudini, riescono a trovare un punto di incontro. L’attore e regista Calvani ce ne ha parlato in questa intervista.
Hai avuto numerose esperienze cinematografiche e televisive, ma quando è nata questa passione per il cinema? Come hai capito che sarebbe stata la tua strada?
E’ una storia molto personale. Io non ho mai mai amato il calcio e, mentre i miei amici giocavano a calcio, mio padre mi portava al cinema e io ero lì a guardare un film. Quando divenni più grande, mio padre iniziò a portarmi a Firenze una volta al mese in questi grandi cinema monumentali. Una volta abbiamo visto Ghost ed è scattato qualcosa in me: avevo 13/14 anni e lì capii che avrei voluto fare l’attore. Mi piaceva moltissimo l’idea di immergermi nella vita di un altro guardando un film, e mi piaceva anche il fatto di sentire l’emozione del grande schermo insieme a 150/200 persone.
Ti vedremo per la prima volta nei panni di regista con il film Il cacio con le pere, dove sei stato anche protagonista e sceneggiatore. E’ stato difficile avere tre compiti così diversi durante le riprese? Come definiresti questa tua prima esperienza da regista?
La parte del regista è un lavoro infinito a cui si può dedicare infinito tempo e infinite cure. Abbiamo ad esempio affrontato due settimane e mezzo di piogge inattese e credo poi di aver trovato una soluzione. E’ stato difficile pensare a come risolvere il problema, era un caos continuo. Tutti i nostri personaggi parlano la stessa voce, pensano i nostri pensieri e conoscono vari aspetti della nostra personalità. E’ più facile togliersi la cuffia e buttarsi in pista che rimettersela e avere gli occhi per guardare tutti. Buttarsi nella mischia con gli attori è per me come una ricreazione. Poi abbiamo avuto questo lockdown che ci ha bloccati per sei mesi, e io mi sono trovato a rinnamorarmi del mio film perché era trascorso troppo tempo. L’ho rivisto e mi sono innamorato di nuovo. E’ insomma stata un’esperienza meravigliosa.
Dove nasce l’idea per questo progetto e quale pensi che sarà la reazione del pubblico?
Volevamo fare un film che raccontasse il nostro territorio: Prato è un grande centro tessile ed una zona industriale importante. Tutto ruota attorno al “fare“, alla produzione e il mio lavoro di attore l’ho sempre percepito come una cosa fatta di aria fritta. Io e Francesco (ndr. Francesco Ciampi) ci conosciamo da quando eravamo a scuola, e facevamo lo stesso spettacolo della scuola. Lo conosco come le mie tasche e l’ho visto per ore provare monologhi; per me è un attore bravissimo. Ci siamo ritrovati e abbiamo pensato di fare qualcosa per rilanciare il cinema toscano: volevamo creare un film che attraesse il pubblico e abbiamo pensato a questa storia.
Volevo creare una sorta di distopia tra come potrebbe essere se le cose andassero tutte storte e come potrebbe invece diventare se una persona scegliesse di rilanciare i dadi e avere la fortuna di vivere una seconda possibilità. Ad un certo punto, si viene risucchiati in una spirale di depressione e disperazione e, se non troviamo la forza di tirarci sù, potrebbe accadere qualcosa di negativo.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Sto scrivendo un’altra cosa, e mi piace quello che sta venendo fuori. Ho un progetto nel cassetto: mi piacerebbe fare infatti fare un’altra regia.