Lory Muratti ha alle spalle numerose esperienze in ambito musicale/letterario, ed è tornato sulla scena artistica con il suo nuovo progetto discografico Torno per dirvi tutto (che è uscito insieme al suo omonimo libro). L’artista ci ha parlato – in questa intervista – del suo mondo fatto di note e parole, di quello che è per lui l’arte e di quali saranno i suoi attesissimi progetti lavorativi futuri.
Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai capito che sarebbe stata la tua strada?
Ho avuto la fortuna di essere guidato alla musica dai miei genitori che mi regalarono un vero pianoforte acustico quando avevo solo otto anni. La presenza di quello strumento, all’epoca enorme e misterioso ai miei occhi, finì col somigliare a quella di un fratello maggiore con il quale trascorrere le giornate. Ogni tentativo di indirizzarmi però verso studi classici fu un fallimento anche e soprattutto a causa di un’insegnante problematica e violenta che mi tenne a lungo in scacco perpetrando il rituale del “maestro severo / alunno disobbediente” con modalità che oggi difficilmente passerebbero in sordina come invece accadde all’epoca. Un’esperienza che non riuscì comunque a farmi allontanare dallo strumento. L’unica conseguenza che innescò, da un punto di vista strettamente musicale, fu il mio rifiuto per lo spartito a favore di un approccio assolutamente informale e libero che mi portò a usare da subito la tastiera come una tela sulla quale mi muovevo come mescolando i colori. Ricordo pomeriggi interminabili passati in serena solitudine a cercare di dare un senso alle note che suonavo ripetendo a me stesso che era quello che avrei fatto da lì in avanti nella mia vita.
Il tuo nuovo progetto racchiude l’uscita di un disco e di un libro: dove nasce l’idea di accomunare la musica alla letteratura?
È questa un’altra vicenda che nasce in modo spontaneo e privo di qualsiasi programmaticità. Scrittura e musica sono da sempre affiancate nell’universo del mio esprimermi e si sono così naturalmente mescolate dentro le mie produzioni. Progetti che nascono da uno schema consolidatosi negli anni fino a diventare un abito che indosso senza quasi rendermene conto.
Credo ti poter dire che tutto è nato quando, da giovanissimo, ho iniziato a estrapolare i testi delle mie canzoni dai racconti che scrivevo per fermare su carta qualcosa di molto intenso che avevo vissuto o che mi aveva colpito. Tradurre in musica le stesse emozioni che mi avevano portato a narrare era un bisogno strettamente correlato allo scrivere e così, passo dopo passo, questa formula è cresciuta fino a prendere le sembianze di quello che vediamo oggi: un libro e un disco che raccontano la stessa storia condividendo luoghi, atmosfere e personaggi che, un po’ come il protagonista che nel libro porta il mio stesso nome, sono figure reali della mia vita.
Per scrivere il romanzo e i testi dell’album, ti sei personalmente recato in vari Paesi d’Europa: qual è il ricordo più emozionante che conservi di questa avventura musicale/letteraria? Cosa c’è dietro il risultato finale?
Viaggiare a lungo attraverso luoghi così stimolanti permette di raccogliere innumerevoli esperienze e quindi collezionare ricordi. Come dicevo, per me lo scrivere nasce sempre da un piano di realtà che si mescola con la finzione puramente letteraria; è questo un approccio che colloca i miei lavori in quel genere che viene definito “autofiction” dove il protagonista delle vicende narrate è l’autore stesso. Trovo quindi difficile individuare un ricordo che non sia divenuto materiale per la costruzione delle pagine del libro seppur spesso traslato, rivisitato, addizionato con l’immaginazione.
Potrei citare i numerosi incontri avuti fra le strade di Parigi dove sconosciuti finivano col diventare amici da seguire per uscire dalle rotte che mi ero prefissato. Ricordo gli inverni di Praga e in particolare le notti passate al bancone di una absintherie dove spesso mi rifugiavo a scrivere e dove il susseguirsi di curiosi personaggi in viaggio da ogni parte del mondo mi ha fornito più di uno spunto. Allo stesso modo ricorrono nella memoria persone che sono diventate personaggi importanti come Viola, Miloš o la stessa Ecli, co-protagonista di una storia in cui la sua presenza è un ritorno poiché personaggio fondamentale anche in diversi titoli precedenti. E ancora tutti i luoghi e gli incontri che si sono susseguiti nel percorso che mi ha tenuto in viaggio dal lago di Bled in Slovenia a Vienna, da Praga a Parigi in un rincorrersi di nuovi motivi per non tornare in Italia. Credo sia proprio quest’ultimo il ricordo più denso poiché racchiude in sé tutti gli altri.
Per il singolo Gli invisibili, hai collaborato con Cristiano Godano: com’è nato il vostro incontro e cosa ti ha insegnato lui professionalmente parlando?
Ho conosciuto Cristiano quando ero poco più che un ragazzino che solcava i primi palchi e lui era già in tour con i suoi Marlene Kuntz da tempo. Anni dopo ci siamo ritrovati sullo stesso palco al Rolling Stone di Milano (un club che purtroppo da qualche anno non esiste più). Da lì non abbiamo più smesso di frequentarci e di far incontrare i nostri passi in scena e nella vita sostenendoci a vicenda in un percorso professionale che non si può certo dire privo di difficoltà e che si impara ad affrontare anche grazie al continuo confronto e al supporto fraterno.
Come ti sei approcciato a questo genere musicale? Chi sono stati i tuoi maestri musicali?
Come molti altri artisti, credo di essere influenzato da numerosi generi e percorsi musicali anche distanti fra loro. Di certo posso dire di ritrovare le mie principali coordinate in una costellazione di ascolti in cui un ruolo molto importante è ricoperto dalla new wave in tutte le sue possibili derive. L’inclinazione ad approcciare strumenti e composizione in modo del tutto libero e la mia totale insofferenza nei confronti delle regole imposte, non poteva che andare di pari passo con l’amore per quel mondo musicale dove non è importante “come suoni”, ma “cosa suoni”, dove non conta “come prendi le note”, ma “che note prendi”. Il post punk e la new wave prima, il rock alternativo, certa psichedelia, il post rock successivamente e in parallelo tutte le esperienze del cantautorato più tradizionale (in particolare quello francese e italiano) e ogni produzione musicale in cui emergesse potente l’urgenza dell’autore nel dire cose che fossero per lui insopprimibili, sono state la mia casa musicale.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Dopo aver trascorso gli ultimi anni solcando i palchi solo in occasioni sporadiche e preziose, il progetto per il prossimo anno è quello di portare “Torno per dirvi tutto” il più possibile in tour.
Quella del palco è una dimensione per me salvifica e necessaria e mi rendo conto di dover riprendere quel dialogo col pubblico e con me stesso nutrendolo con quante più occasioni possibili.
Sto inoltre lavorando alla progettazione delle ristampe dei miei lavori precedenti che, pur nella loro indipendenza, sono tutti legati fra loro. Oltre a questo ho in cantiere un importante progetto visivo e un lavoro squisitamente musicale dove tornerò alle sonorità dei miei esordi musicali.