Lorenzo Adorni è tornato sul piccolo schermo con la prima branded serie italiana, YOLO – You One Loved Once.
Il giovane attore – nato nel 1992 a Parma – si è approcciato alla recitazione da piccolissimo, e da lì non ha mai smesso. Dopo essersi diplomato al Liceo Classico, ha infatti avuto inizio la sua carriera nel mondo del cinema e della televisione. Si sono susseguiti diversi ruoli ma il primo vero debutto è stato quello che lo ha portato a interpretare i panni di Mattia Messina Denaro nella prima stagione de Il Cacciatore, andata in onda su Rai 2. Ci sono così state esperienze televisive e sul grande schermo, che lo hanno portato adesso ad apparire in YOLO e a collezionare molte altre avventure professionali.
Adorni si è raccontato a Kosmo Magazine, svelando qualcosa in più sul suo passato e futuro, raccontandosi senza filtri e mettendo la sua anima a disposizione di tutti.
Com’è nato il tuo primo approccio alla recitazione? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?
Il mio primo approccio è avvenuto quando ero molto piccolo; si trattava del tipico spettacolo di Natale della quarta elementare. E’ stata un’epifania per me, avevo 9 anni scarsi e mentre ero in scena ho capito che quel gioco mi piaceva tanto. Pian piano, questa curiosità mi ha portato a voler vedere di più. Ho iniziato a guardare di più il cinema, mi sono approcciato con i miei genitori ai film da adulti. Loro mi facevano vedere pellicole importanti, e da lì si è aperto il varco della regia. E’ ancora uno dei miei sogni nel cassetto, e questo ha influenzato il mio essere fino al liceo.
Il tuo primo debutto in tv è avvenuto su Rai 2, quando hai interpretato il ruolo di Matteo Messina Denaro nella fiction Il Cacciatore. Un personaggio sicuramente molto difficile da impersonare. Per te com’è stata questa esperienza? Quali sono state le difficoltà che hai riscontrato nell’interpretare questo personaggio?
E’ stata un’esperienza molto particolare: io sono cresciuto a Parma da mamma siciliana e papà mezzo emiliano ed abruzzese. Senza che si sapesse, Matteo Messina Denaro è nato proprio a Castelvetrano, dove la mia famiglia è originaria. Sin da quando ero piccolo e fino ai 25 anni, ho sempre passato le mie estati in quella zona siciliana. L’ombra di Messina Denaro è sempre stata presenza nella zona, di cui è stato un cittadino indiscusso. Quel fantasma aleggia nelle storie delle persone, nel sentito dire, nelle leggende metropolitane. Quando mi hanno offerto il ruolo, mi portavo questo bagaglio e mi sono dovuto approcciare anche alla questione giuridica della storia. Stiamo parlando di un pluriomicida che, fino alla fine, è stato fedele alla sua parola. Su di lui non abbiamo altro che testimonianze di altri pentiti: a me era chiesto di interpretare un Matteo Messina Denaro molto giovane. Avevamo delle immagini, delle suggestioni, dei racconti e avevamo i capi di accusa.
Quello che si doveva cercare di portare era invece l’immagine di una persona diversa dagli altri boss mafiosi, specialmente i corleonesi. Su di lui c’era questa nomea di essere un “Principe”, era uno dei pochi che aveva avuto un’istruzione, che non sbandierava le sue missioni. E’ stata sicuramente una sfida per me: quando porti dei personaggi di questo tipo, devi entrare in una psicologia che è molto diversa da un civile qualunque. Abbiamo così voluto portare sullo schermo il suo ideale, una narrativa forte che era necessaria per contrastare un potere. E’ stato un viaggio di cui sono profondamente grato.
Ti vediamo adesso protagonista della prima branded serie italiana YOLO, You Only Loved Once. Come definiresti questa esperienza?
Il personaggio che ho interpretato mi ha rilassato: Edoardo è infatti una persona molto particolare, che si rende conto che ha dei limiti sociali di cui non va né fiero né si sente colpevole. E’ l’estremizzazione di quello che è oggi, e vive il presente a manciate. A volte è goffo, fa degli errori madornali, ma non si rende conto che sta facendo la cosa più sbagliata in quel momento. Mi ha lasciato molto divertimento.
Quanto c’è di te in lui?
Per me ha rappresentato quella parte misto ingenua e misto imbranata che difficilmente nella vita mi concedo. Edoardo ha questa grande chiave di lettura per me: per quanto si preoccupi degli altri, in realtà il giudizio degli altri non riesce mai a toccarlo. Non capisce il limite di dove sta andando, però allo stesso tempo è rilassante per uno che ha la mania del controllo come me. E’ estremamente una boccata d’aria, puoi mettere in scena quel personaggio che ti permette di aprire una parte egocentrica di te. Lui veste come dice lui, totalmente a caso, non si preoccupa della sua immagine in maniera così efficiente, anzi tutt’altro: la giornata la vive a spanne.
A dicembre ti vedremo invece sul grande schermo con il film Adagio: cosa puoi dirci su questo progetto?
Sono già al cinema, con un ruolo secondario nel film Doppio Passo. E’ un’opera prima a cui sono molto affezionato, ed è stato il primo lavoro che ho fatto dopo una paralisi che mi ha tenuto la faccia paralizzata per sei mesi. C’è stata quindi una rinascita lavorativa e psicologica. Adagio è invece un film di redenzione ma anche generazionale: ci sono infatti tre generazioni. Si concentra molto di più sull’introspezione: parla di padri, figli, errori del passato che si ripercuotono sul presente delle nuove generazioni. Ho apprezzato l’arte di Adriano Giannini, ci siamo avvicinati quasi nell’immediato e abbiamo condiviso molte cose belle sul set. Adagio è stato questo: è stato tanti regali e consapevolezze professionali non indifferenti.
Futuri progetti?
Mi aspettano due uscite: una serie tv su Rai 1 in prima serata, che andrà in onda forse nel primo trimestre nel 2024, e una serie tv su Rai 2. Qui interpreto una figura ambigua, un ruolo che per qualche puntata sarà sotto il mirino delle indagini dell’Ispettore. Attualmente mi sto dedicando inoltre molto alla formazione, in attesa di altri progetti.