Noi siamo la prima generazione a vedere degli esseri umani vivere, contemporaneamente e con continuità, sulla Terra e in orbita terrestre. Siamo anche l’ultima generazione a vedere gli esseri umani vivere su un solo pianeta. Ricordiamoci che nell’orbita terrestre bassa vi sono ben due Stazioni Spaziali, perennemente abitate da astronauti: la “Stazione Spaziale Internazionale (ISS)” e la “Stazione Spaziale Cinese (Tiangong 3)”.
Per quanto riguarda la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), c’è un aggiornamento molto importante (una notizia pubblicata il 31 dicembre 2021): il Vice Presidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha annunciato l’estensione della vita operativa della ISS fino al 2030, soprattutto per non lasciare il dominio dell’orbita terrestre ai cinesi. La ISS è anche un esempio di collaborazione scientifica e pacifica da oltre 20 anni. Al progetto “International Space Station (ISS)” vi partecipano infatti da due decenni i seguenti Stati: Stati Uniti d’America con la NASA, l’Europa con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), il Giappone con la JAXA, il Canada con la CSA e la Russia con la Roscosmos.
Negli ultimi 20 anni i suddetti paesi hanno mantenuto una presenza costante in orbita, soprattutto per testare nuove tecnologie, per condurre ricerche scientifiche e per accrescere le competenze necessarie. In questo modo, l’umanità potrà affrontare viaggi nello Spazio profondo. Gli studi scientifici sulla ISS stanno per questo aiutando il programma della NASA “Artemis”, creato per portare la prima donna e il prossimo uomo sulla Luna in questo decennio, e creare una base scientifica permanente sul suolo lunare. Successivamente, dopo una decina di anni di esperienza fatta sulla Luna, si vorrebbe portare l’uomo anche su Marte.
ESPERIMENTI SCIENTIFICI PIU’ IMPORTANTI DEL 2021 FATTI NELLA ISS
Prima di analizzare gli esperimenti più importanti del 2021, eseguiti in orbita, cerchiamo di capire qualche caratteristica della Stazione Spaziale Internazionale (ISS):
- La costruzione della ISS in orbita è cominciata nel 1998. I primi astronauti si sono invece stabiliti al suo interno, in modo permanente, alternandosi, dal 2 novembre 2000.
- La Stazione Spaziale è grande quanto un campo da calcio, e il suo volume abitativo interno, pressurizzato, è di 388 metri cubi (quanto un aereo Boeing 747, oppure quanto l’aereo del Presidente degli Stati Uniti: l’Air Force One). Lo spazio abitativo è quindi grande quanto una casa con sei camere da letto, due bagni, una palestra e una vetrata (la Cupola) per osservare la Terra.
- Solitamente è abitata da 6 o 7 astronauti, che si alternano durante l’anno (mediamente, ciascun astronauta vive in orbita circa 6 mesi).
- Attualmente gli astronauti possono raggiungere la Stazione Spaziale mediante due navicelle spaziali: la Crew Dragon della SpaceX (l’Agenzia Spaziale privata americana di Elon Musk), e la Sojuz della Roscosmos (l’Agenzia spaziale russa).
NASA’s Cardiac Stem Cells
Una delle indagini scientifiche più interessanti del 2021, compiute in orbita nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è la “NASA’s Cardiac Stem Cells”, la quale ha approfondito il modo in cui la microgravità influisce sulle cellule staminali cardiache, e sui cambiamenti fisici e molecolari che regolano la loro attività.
Una curiosità: cos’è la microgravità?
In realtà nella Stazione Spaziale, nonché in orbita terrestre, non dovremmo dire che non c’è la gravità, o che si vive in assenza di gravità, perché la gravita c’è anche lì. Anzi, la gravità c’è anche nello Spazio profondo, perché in quel caso saremmo attirati dalla gravità del nostro Sole. Quindi, la gravità c’è sempre. La troveremmo anche se lasciassimo la nostra galassia, poiché saremmo attirati anche dalle altre galassie o dalla energia oscura.
In orbita terrestre si dice “microgravità”, perché l’assenza di peso non è data “dall’assenza di gravità”, visto che ci si trova accanto ad un pianeta, il quale esercita una attrazione gravitazionale. E’ invece data dalla “caduta libera” della Stazione Spaziale stessa. E’ proprio la Stazione Spaziale che, “cadendo” verso la Terra (perché viene attirata dalla gravità), crea l’assenza di peso. Ma se cade verso la Terra, perché non precipita al suolo?
Perché la Stazione Spaziale viaggia ad una velocità elevatissima: 8 km al secondo. Questa velocità gli permette di “cadere”, creando l’assenza di peso, quindi la “microgravità”, ma senza precipitare al suolo. Questo perché l’alta velocità gli permette di “girare attorno alla Terra”. In poche parole, vuole cadere, ma la velocità la porta dall’altro lato della Terra; e poi ancora: cerca di cadere, ma l’alta velocità l’ha allontana dall’atmosfera terrestre, portandola dall’altro lato della Terra. E’ come se ci trovassimo dentro un ascensore: improvvisamente la fune si taglia, e l’ascensore comincia a precipitare velocemente. Noi, situati al suo interno, cominceremmo a “galleggiare”, cioè non toccheremmo più i piedi al suolo e, durante la caduta libera dell’ascensore, noi saremmo in “microgravità”.
In realtà la gravità continuerebbe ad esistere, e lo dimostra il fatto che l’ascensore precipita. Per noi, invece, ci sarebbe l’assenza di peso, perché “galleggeremmo” dentro l’ascensore, perciò questo fenomeno è chiamato “microgravità”. Immaginate per un attimo che questo ascensore continui a precipitare per sempre, senza mai toccare il fondo; ecco questo è quello che succede nella Stazione Spaziale. Per non precipitare deve infatti accendere i motori circa una volta al mese, in modo da mantenere stabile la velocità di 8 km al secondo.
Ritornando all’indagine scientifica “NASA’s Cardiac Stem Cells”, gli obiettivi di questo studio sono quelli di verificare gli effetti della “vita spaziale” sulle cellule staminali cardiovascolari. Questa indagine aiuta a chiarire il ruolo delle cellule staminali nella biologia cardiaca e nella rigenerazione dei tessuti. Inoltre, questa ricerca ha un altro grande obiettivo: confermare l’ipotesi che la microgravità acceleri il processo di invecchiamento.
È noto che durante il volo spaziale si verificano cambiamenti nella struttura cardiaca degli astronauti. Comprendere come l’ambiente, in microgravità, influisca su queste cellule staminali, può far progredire lo sviluppo di terapie per mantenere la salute cardiaca degli astronauti durante i lunghi voli spaziali, nonché i trattamenti per invertire la perdita del muscolo cardiaco una volta che l’equipaggio sia tornato sulla Terra.
Questa indagine fornisce nuove informazioni sulla biologia delle cellule staminali e sul loro ruolo nel mantenimento e nella riparazione del tessuto cardiaco. Tale comprensione ha applicazioni nello sviluppo di terapie con cellule staminali, per combattere le malattie cardiache e riparare il tessuto danneggiato. I pazienti che soffrono di malattie cardiovascolari sono potenziali candidati per il trattamento tramite le suddette cellule staminali.
Sulla Terra, le cellule staminali cardiovascolari possono dividersi continuamente per produrre più cellule dello stesso tipo. Nei neonati, queste cellule si sviluppano maggiormente, e producono un numero maggiore di cellule rispetto a quelle del cuore di un adulto. Questa capacità suggerisce che le cellule cardiache dei neonati hanno il potenziale per essere utilizzate nella riparazione e sostituzione dei tessuti cardiaci usurati o danneggiati.
ExHAM-Radiation Shielding
Un’indagine scientifica della JAXA (l’Agenzia Spaziale Giapponese), chiamata “ExHAM-Radiation Shielding”, valuta come l’ambiente spaziale influenzi i materiali che potrebbero essere utilizzati per schermare i futuri veicoli spaziali dai raggi cosmici (le radiazioni provenienti dalle altre stelle e dallo Spazio profondo, e da altri tipi di radiazioni ionizzanti).
I ricercatori hanno scoperto che aggiungendo il minerale colemanite a un polimero, si riduce la quantità di radiazioni assorbite dal materiale. Il suddetto composto potrebbe fornire una migliore protezione dalle radiazioni per le tecnologie satellitari, le stazioni in orbita terrestre e per gli aerei in alta quota. Questi materiali hanno potenziali applicazioni anche in ambienti difficili sulla Terra.
Biorock
L’industria dell’elettronica e della produzione di leghe utilizza i microrganismi per estrarre elementi economicamente importanti dalle rocce. I risultati di un’indagine dell’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea) suggeriscono che questa tecnica, nota come “biomining“, potrebbe essere altrettanto o addirittura più efficace sulla Luna e su Marte, oltre che sulla Terra.
L’esperimento “Biorock” dell’ESA ha dimostrato che i microbi, utilizzati per estrarre elementi rari sulla Terra, lavorano molto meglio in microgravità, soprattutto sulla roccia in basalto (una roccia molto comune sulla Luna e su Marte). Addirittura, le loro prestazioni sono aumentate del 283%, durante la bioestrazione del vanadio nella Stazione Spaziale. Ciò significa che potremmo usare la bioestrazione per estrarre gli elementi necessari per sostenere gli umani su altri mondi, indipendentemente dalla Terra.
MICS
Quando gli umani andranno sulla Luna e su Marte, dovranno costruire un insediamento, in cui vivere e lavorare. Il calcestruzzo, il materiale da costruzione più utilizzato sulla Terra, è abbastanza forte e durevole per fornire protezione dalle radiazioni cosmiche e dai meteoriti, e potrebbe essere utilizzato anche sulla Luna e su Marte, senza portarlo dalla Terra, realizzandolo sul posto, sfruttando gli ingredienti lunari o marziani.
L’esperimento MICS ha miscelato polveri di cemento con vari additivi e quantità di acqua. Questo è necessario per esaminare la chimica e le strutture microscopiche coinvolte nel processo di solidificazione, e determinare così se i cambiamenti di gravità influenzano il procedimento.
Hanno scoperto che la microgravità ha causato microstrutture uniche, comprese delle striature. I campioni miscelati sulla Terra, invece, hanno mostrato una microstruttura più sviluppata, con un grado di idratazione più elevato. Questi esperimenti potrebbero contribuire allo sviluppo di nuovi materiali per la costruzione di habitat su altri mondi, e anche dei materiali migliori da usare sulla Terra.
Cardio-ODNT
Un’indagine della Roscosmos (l’Agenzia Spaziale Russa) ha esaminato la salute delle vene delle gambe nei membri dell’equipaggio in due missioni di volo spaziale di 6 mesi. Precedenti studi hanno dimostrato che la struttura delle vene può cambiare poco dopo l’arrivo sulla stazione spaziale, principalmente dai fianchi in giù. I risultati dell’indagine suggeriscono che l’esercizio fisico potrebbe fornire una contromisura efficace, per i problemi cardiovascolari legati allo spazio.
TBone
I voli spaziali di lunga durata rappresentano un rischio per la salute delle ossa dei membri dell’equipaggio. L’esperimento TBone dell’Agenzia Spaziale Canadese (CSA) ha esaminato i cambiamenti della densità, della microarchitettura e della forza delle ossa, nella parte inferiore delle gambe e delle braccia durante il volo spaziale.
I membri dell’equipaggio che hanno aumentato il loro allenamento di resistenza durante il volo, hanno maggiori probabilità di preservare la forza ossea.
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Mentre sulla Terra gli adulti oltre i 50 anni perdono circa l’1% della loro massa ossea ogni anno (un processo che può portare all’osteoporosi), gli astronauti nello Spazio possono perdere fino all’1,5% ogni mese. Fortunatamente, gran parte di questa perdita viene invertita quando gli astronauti tornano sulla Terra. Gli scienziati di TBone vogliono determinare come questo ciclo di perdita e recupero influisca sulla forza e sulla qualità delle ossa a lungo termine.
TBone ha offerto ai ricercatori una migliore comprensione delle malattie come l’osteoporosi. Ulteriori ricerche potrebbero aiutare a identificare coloro che sono inclini alla perdita ossea, e progettare strategie di trattamento personalizzate per prevenire le fratture causate dalla bassa densità ossea.
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L’esperimento TBone ha confermato che, sebbene gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), seguano programmi di esercizi quotidiani, la perdita ossea progredisce proporzionalmente alla durata delle loro missioni. Lo scheletro di un astronauta, che galleggia in condizioni di microgravità, sembra invecchiare a un ritmo accelerato durante un soggiorno di sei o sette mesi nello Spazio, l’equivalente di quasi 20 anni di perdita ossea sulla Terra.
Articolo a cura di Fabio Meneghella