La recensione del libro dell’autrice sarda Emma Fenu, non può escludere una attenta e scrupolosa analisi dei sostantivi Miele – Dea che costituiscono il titolo: “Le dee del miele“.
La parola miele, infatti, deriva dall’ittita MELIT. Esso indica un alimento prodotto dalle api che racchiude una storia lunga secoli. Nell’antico Egitto veniva deposto accanto alle mummie per il loro viaggio nell’Aldilà , i Sumeri lo impiegavano in creme impastate con argilla, i Babilonesi ne facevano un uso culinario. I Greci lo consideravano “cibo degli Dei”, perché rappresentava una importante componente nei riti che prevedevano offerte votive, infine, i Romani lo impiegavano come dolcificante e conservante alimentare. Una sostanza dolce, le cui proprietà , furono scoperte e utilizzare a partire dalle prime civiltà dell’umanità . Ed ecco, che il miele ritorna all’interno della narrazione; in funzione di sostantivo, aggettivo o di semplice apposizione, assumendo molteplici sfumature e funzioni semantiche. L’altro termine sul quale è opportuno soffermarsi risulta: Dea. Questo identifica nel corso della narrazione le protagoniste: Caterina, Lisetta, Michela, Marianna ed Eva. “Dea” indica una divinità femminile e  in alcune religioni occupa un posto fondamentale nella preghiera e nella adorazione. Il primato costituito da una divinità femminile, la Grande Dea Madre è un’ipotesi sostenuta da alcuni studiosi moderni, secondo i quali rappresenterebbe una versione analoga o precedente al Dio maschile di Abramo. Passi avanti circa il suo significato ci furono con il saggista e storico delle religioni, lo statunitense, Josep John Campbell il quale sostenne che l’immagine della Dea Terra è associata alla simbologia di fertilità e riproduzione. Finalmente i sostantivi Miele e Dea possono fondersi e portare alla luce, quella stretta compenetrazione già esistente  nella storia antica. Sempre facendo fede, allo studioso Campbell, è possibile affermare che :” La donna partorisce proprio come la terra fa nascere le piante … così la “magia della donna” e la “magia della terra” rimangono collegate, quando non finiscono per diventare la stessa cosa. Proprio come il “lavoro” delle laboriose api produce l’alimento zuccherino, allo stesso modo la “sofferenza” e il “dolore” delle donne generano pargoli. Ora che questo legame antico e misterioso tra Terra-donna e miele-api è stato svelato, l’autore può finalmente essere immerso all’interno del paesaggio sardo. Luogo ove si snodano le vicende delle quattro protagoniste sopra citate ; donne legate dal sangue nel caso di Lisetta, Michela e Marianna e di questa e sua figlia Eva o da un legame lontano, ma simile, fatto di pratiche religiose, sogni e sacrifici come nel caso di Caterina e Lisetta. Femmine che il destino unirà in un secondo momento, facendole divenire consuocere. È la terra sarda a fare da sfondo alla narrazione, che come scriveva Guido Piovene ( scrittore e giornalista):”  In Sardegna tra gente rimasta appartata e quasi isolata dal resto del mondo, si prolunga, più che nelle altre regioni, una facoltà primitiva di mescolare la realtà alla leggenda e al sogno”. È proprio la realtà costituita da case piccole, gesti semplici, persone umili e genuine, che si congiunge l’antica leggenda delle “Janas”: fate del focolare , tessitrici di un telaio d’oro. Benevole e altruiste dispensavano aiuti a chiunque li richiedesse. Storie reali condite da sogni portatori di messaggi: significati oscuri o premonitori. Storie di donne che hanno sacrificato i propri desideri: la volontà di studiare, di unirsi in matrimonio con l’uomo che si amava, ma capaci di essere ugualmente l’incarnazione delle perfette matrone. Grembi fertili, caldi e accoglienti, alle volte, vuoti, “sanguinanti” e privati del dono della maternità . Una narrazione che unisce sacro e profano, capace di scavare nel passato per riportare alla luce, tradizioni popolari che trattavano la superstizione tra cui il “malocchio”. Gli effetti di questo consisterebbero in una serie di presunte “disgrazie” che improvvisamente e in breve lasso di tempo accadrebbero alla persona colpita. E ritroviamo ancora nel corso della lettura, donne conoscitrici del mondo terreno, delle misteriose leggi che lo regolano, donne portatrici di risposte fatte da vecchie usanze o ricercate in Vite dei Santi. E ancora donne costrette a nascondere il loro amore terreno, avvertito come peso-peccato che trova risposta nelle parole di Suor Cecilia a Marianna:” L’importante è essere onesti con Dio e con se stessi”. Donne che superano il dolore silenzioso e interiore di chi figli non potrà più averne, di chi nasce già Madre. Un intreccio di metafore, misteri, pratiche, sogni regalate al lettore da un linguaggio sublime, ma umile. Se la “grandezza” di un libro si misura dalla sua propensione di risvegliare e comunicare emozioni al lettore, oltre il tempo, lo spazio e le generazioni questo libro ha “vinto”. Nonostante la mia giovane età , le mie origini campane ho riscoperto quel mondo di cui ho come testimoni le mie nonne. Le loro storie dettate dalla nostalgia adesso condiscono i momenti che trascorriamo insieme. Mi sono lasciata cullare da un passato dolce come il miele, popolato da donne-Dee.
Ho riscoperto e amato l’essere donna, da oggi, portatore di una maggiore consapevolezza.Â
Articolo realizzato da Marika Carolla