Le anime che desideriamo conoscere sono le anime che sono state in noi da sempre, quelle stesse anime scoperte nel momento in cui i nostri occhi sono divenuti vita e noi angeli in Terra. Sono tante le anime che incontriamo nel percorso; tanti i momenti che vorremmo condividere con loro, sono tanti persino i pensieri che ci scaturiscono o le emozioni che siamo costretti a provare. La vita è un insieme di tante piccole anime che ci guardano e sorridono, mentre noi proviamo ad ammirare continuamente quegli occhi che per noi hanno rappresentato il mondo, fin quando non comprendiamo che il mondo è proprio lì, dinnanzi a noi, ed è tutto ciò che avevamo sempre cercato.
E’ così che nasce l’arte.
L’arte sorge da quel desiderio di rappresentare il mondo che abbiamo visto proprio sotto i nostri occhi, dall’esigenza di tramutare in foglio gli occhi che contengono anime, le stesse anime che abbiamo incontrato nell’arco della nostra esistenza.
Ci sono anime che camminano proprio al nostro fianco, e restano lì per sempre; ci sono anime che mostrano spalle sorridendo. Sono tante le anime che conosciamo, tanti gli sguardi che ammiriamo, tante le persone. Tanti i mondi che abitiamo.
Saranno tante le cose che vedremo, fin quando non la incontreremo, quell’unica anima che ci farà stare così bene da dimenticare tutto il resto. Ci sarà sempre un’anima che avremo conosciuto più delle altre, ci sarà sempre quell’anima a cui penseremo quando il Sole cala e la Luna cresce, e allora crescono anche i nostri pensieri e i nostri sogni, e tutto assume l’aspetto di un’eternità sublime e fatta di miracoli.
E’ così che nasce l’arte.
L’arte sorge dal desiderio di rappresentare quell’anima.
E la riconosceremo subito, la riconosceremo quando sentiremo nel cuore l’esigenza di raccontare al mondo gli occhi che porta, il cuore che conserva in corpo, persino il movimento dei suoi capelli al vento. E sarà così forte quel desiderio che non potremo, non vorremo uscire a cercare altre anime. Ci basterà, ci basterà sempre raccontare la sua parte speciale, o la parte speciale di noi stessi uscita fuori grazie a lei.
Si danno così vita ad opere, libri, spettacoli teatrali, o anche solo parole pronunciate al vento. E’ così che nasce l’arte. L’arte sorge da questa esigenza: l’esigenza di dover parlare di un’anima a noi vicina, anche se lontana.
E’ così che è nata l’arte di Salvador Dalì, pittore spagnolo di grande fama, produttore di opere eccezionali, portatore di surrealismi nati in inconsci traditori e cresciuti in menti che credono.
Salvador Dalì credeva in un’anima incontrata casualmente durante la presentazione di un film nella città di Parigi, nel 1929. Il suo nome era Elena Ivanovna Diakonova, comunemente chiamata Gala, allora moglie dello scrittore francese Paul Eluard, con cui ha una figlia, Cécile.
Tra i due, Dalì e Gala, l’amore divampò subito, al primo sguardo.
La donna aveva sposato Eluard nel 1917. Un amore appassionato ma inquieto, in cui la totale sottomissione di lui era discorde con la forza di carattere e l’emancipazione di lui. Nel 1922, entrò in scena la figura del pittore Max Ernst, con cui Gala intrattenne una relazione, mai nascosta al marito.
Gala viene spesso definita come una donna confusa, che avevo perso il vero senso della vita, la cosa essenziale da ricercare. <<La cosa essenziale è per me l’amore. E’ asse della mia vitalità e del mio cervello, la molla che mi slancia in avanti con elasticità ed agilità in tutti i movimenti dei miei sensi>>, aveva detto una volta, prima di rifugiarsi nella più totale sfiducia nei suoi uomini.
Questa frase fu riscoperta in lei solo con l’incontro con Salvador Dalì, che le fece finalmente scoprire quale fosse la sua vera passione. Gala lasciò dunque Eluard, che non smise di supplicarla con lettere piene di eros e disperazione; ma quella nuova unione sarebbe stata imprescindibile, soprattutto per l’arte del pittore. Salvador iniziò infatti a ritrarla in ogni sua opera, avvertendo dentro sé l’esigenza di raccontare ad umanità passate e future la magia di quell’incontro.
I due vissero tutta la vita tra New York, Parigi e la Spagna, e nel 1958 si sposarono nella Cattedrale di Girona.
<<Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro>>, disse Dalì mentre la dipingeva con un’enfasi assoluta, mettendola al centro del suo universo sentimentale, spirituale e creativo.
Salvador amò Gala con uno slancio totale. Ne fu figlio, amico, servo, compagno. E lei fu per lui madre, musa, complice, condottiera, depositaria del fuoco della “rivoluzione”, anima che gli permise di raffigurarla in svariate opere, tra cui “Leda Atomica”.
Gala rappresenta simbolicamente Leda, per sedurre la quale Zeus si trasformò in cigno, riuscendo, grazie a tale stratagemma, a generarle un figlio immortale: Polluce. Ma Castore, fratello di Polluce, era mortale. E Dalì s’immagina di essere la reincarnazione di Polluce e che suo fratello morto alla nascita sia quella di Castore.
Nel 1949, quando dipinge il quadro, il mondo sembra disgregarsi sotto la minaccia incombente della distruzione atomica. E Dalì si rifugia nella sua amante-madre Gala. Dice e ripete che lui stesso non esisteva prima della sua comparsa di lei, affermazione che dimostra in ogni suo tratto, in ogni pennello che usa, in ogni figura che rappresenta. In tutto, c’è lei, anima conosciuta e amata.
L’incontro con Gala divenne per Dalì momento cristallizzato nel tempo e nel cielo; lo sostengono i più grandi critici dell’arte affermando che, prima del loro incontro, Salvador non aveva nulla a che vedere con il genio quasi sovrannaturale nato il giorno in cui per la prima volta vide Gala.
Tuttavia, così come si erano incendiati, ad un certo punto i sensi tra i due si spensero. Gala allora cercò avventure altrove, arrivando persino a pagare giovani uomini, perché ormai il tempo aveva segnato il suo corpo. Lottò contro gli anni che passavano con interventi e lifting di ogni tipo fino alla fine della sua vita. La sua passione per Dalì, però, non ebbe mai termine e continuò a vegliare su di lui come una dea madre anche durante il periodo della relazione del pittore con Amanda Lear. Finché le forza la sostennero, Gala fece lunghi viaggi, spesso in Italia, accompagnata sempre da due valigie: una contenente medicinali e l’altra dollari. Morì a 88 anni dopo una lenta agonia, sempre lucida fino alla fine, vegliata da Dalì. L’artista volle che quel corpo tanto amato e tante volte dipinto fosse imbalsamato e deposto nella cripta del Casello di Pubol che egli le aveva donato.
Morì così la loro realtà. A morire fu anche il desiderio di un contatto o di un abbraccio. Morì tutto, tranne l’arte di Salvador, impregnata di tutta quell’anima presente nel corpo di Gala. Morì tutto, tranne la loro storia cristallizzata nel tempo e nel cielo, tranne la consapevolezza che il mondo avrebbe continuato a ruotare, i sogni a vibrare, le anime ad incontrarsi ma.. la storia di Dalì e Gala sarebbe restata su quella tela assorbita di tutto l’amore che possa esserci in corpo.
E noi, umanità sempre alla ricerca di qualcosa, mentre l’anima che desideriamo raccontare ruota attorno a pensieri fatti di ghiaccio, mentre i sogni crescono con la Luna in cielo, osserviamo lentamente quella tela e la nostra, di anima, si impregna della loro storia, arrivando alla convinzione che è così che nasce l’arte.
L’arte sorge nell’esatto momento in cui la vita ci regala un’anima da amare, o anche solo da ricercare. E quando sentiamo nel corpo l’esigenza di raccontarla, quest’anima che ci fa stare bene, una tela o un foglio o anche solo una parola pronunciata al vento diventano rappresentazioni di ciò che siamo stati, o di ciò che abbiamo vissuto.
E’ per questo che la vita la si può descrivere con un’unica parola.
E’ così che nasce la vita.
Con l’arte.
Articolo realizzato da Stefania Meneghella