
Nell’affollato Teatro Petruzzelli di Bari, il Premio Bif&st “Arte del cinema“ ha accolto un ospite d’eccezione, Nanni Moretti, il 15 aprile 2025. L’evento si è trasformato in una riflessione intensa e personale, in cui il regista ha condiviso la propria carriera attraverso un decalogo di esperienze e insegnamenti, piuttosto che un semplice saluto. Con un tono quasi didattico, ha esordito affermando: “Mi sono preparato qualche appunto: Super 8, Regia, Sceneggiatura, Recitazione, Produzione, Autobiografia, la Critica (sarà il passaggio più breve), Pubblico, Musica, Nuovo Sacher. Dunque, non sarò breve”.
La solitudine dell’artista
Moretti ha descritto il suo percorso come un viaggio solitario, un’esperienza che lo ha portato a confrontarsi con il mondo del cinema in modo diretto. “Mi sono trovato subito solo”, ha raccontato, rievocando i suoi inizi. La sua aspirazione era quella di apprendere da altri, ma non riusciva a trovare chi lo guidasse. “Oggi girare è immediato, con una videocamera leggera o anche un cellulare”, ha continuato, sottolineando le difficoltà di un tempo. Negli anni ’70, la situazione era ben diversa: “Nel 1973, per dare un’idea, arrivai alle Giornate degli autori di Venezia con il mio proiettore e il mio amplificatore”. La necessità di arrangiarsi era all’ordine del giorno, e la sua famosa battuta “No, il dibattito no!” è emersa da quelle esperienze. Moretti ha sempre avuto ben chiaro il suo obiettivo: “Volevo raccontare il mio ambiente, prendere in giro il mio ambiente e farlo in prima persona”.
Il legame tra regia e recitazione
La regia, per Moretti, si intreccia indissolubilmente con la recitazione. “Sono stato tanto influenzato dai fratelli Taviani“, ha dichiarato, evidenziando la sua scelta di mantenere l’inquadratura fissa nei suoi film. “I miei attori dovevano muoversi come su un palcoscenico”, ha spiegato, tracciando un parallelismo tra il cinema e la pallanuoto, sport che praticava da giovane. Con il passare del tempo, il suo approccio è cambiato. “Con Caro diario e Aprile le cose sono cambiate, e sono diventato meno rigido”, ha rivelato, mostrando la sua evoluzione artistica. Moretti ha inizialmente utilizzato non attori, considerandoli “pedine del mio gioco”, ma ha poi imparato a lavorare con professionisti, come Silvio Orlando, che ha definito una “manna”. La figura di suo padre, presente in molti dei suoi film, ha avuto un ruolo significativo nella sua carriera, fino alla sua scomparsa.
La sceneggiatura e la libertà creativa
Nel corso degli anni, la sceneggiatura ha assunto un’importanza crescente nel lavoro di Moretti. “Oggi sono felice di scrivere con altri, in realtà sempre donne”, ha affermato, sottolineando l’importanza dell’esperienza umana nel processo creativo. La sua svolta è avvenuta dopo aver visto La donna della porta accanto di Truffaut nel 1981, un film che ha profondamente influenzato il suo approccio alla scrittura. “L’emozione di quel finale ha cambiato il mio rapporto con la sceneggiatura“, ha spiegato, citando film come Bianca e La messa è finita. La fondazione della sua società di produzione trentotto anni fa rappresentava un passo verso la libertà creativa: “Libero di cercare i soldi per i film dove volevo e di aiutare giovani esordienti”.
Riflessioni sulla critica e il premio ricevuto
Affrontando il tema della critica, Moretti ha dichiarato: “No, be’, questa la saltiamo, è meglio. E passiamo subito alla critica“. Con un sorriso, ha letto una sua affermazione: “Chiunque può pensare e dire del nostro lavoro qualsiasi cosa”. Alla fine dell’incontro, il direttore del Bifest, Oscar Iarussi, ha consegnato a Moretti il premio “Arte del cinema” alla carriera, riconoscendo la sua “luminosa coerenza di sguardo sulla relazione individuo/società”. Un tributo a un artista che ha saputo mantenere viva la riflessione sulle contraddizioni del cinema e sulla sua indipendenza.