Il 16 marzo 2025, il regista romano Gabriele Mainetti ha presentato il suo terzo lungometraggio, La città proibita, nelle sale cinematografiche italiane. In un’intervista con Fanpage.it, Mainetti ha condiviso le sue riflessioni sulla realizzazione del film, esplorando le radici culturali e cinematografiche che lo hanno ispirato. L’opera rappresenta un incontro tra culture, un progetto che, secondo Mainetti, poteva prendere forma solo in una città come Roma, dove è essenziale attingere all’essenza del cinema senza ricorrere a una “Uma Thurman italiana” come protagonista.
Gabriele Mainetti torna sul grande schermo a dieci anni dal suo debutto con Lo chiamavano Jeeg Robot. Dopo aver affrontato una sfida produttiva con Freaks Out, uscito nel 2021 in un periodo segnato dalle incertezze legate alla pandemia, Mainetti ha trovato la sua strada con La città proibita. Nonostante il film precedente non abbia ricevuto il riscontro sperato, rimane un’opera affascinante e anomala nel panorama cinematografico italiano.
Con La città proibita, Mainetti esplora la sua passione per il cinema di Hong Kong, attingendo a diverse sfumature di questo genere, dal drammatico e sentimentale di Wong Kar-wai al dinamismo del wuxia, caratterizzato da elaborati combattimenti. La fusione di questi elementi con i colori e i sapori di una Roma immaginaria riflette il coraggio del regista nel realizzare una visione cinematografica audace e originale.
Mainetti racconta che l’idea di un film di kung-fu ambientato a Roma è emersa durante una conversazione tra colleghi, dove si discuteva la possibilità di un’interpretazione italiana di Karate Kid. Tuttavia, la mancanza di un contesto culturale adeguato ha portato il regista a riflettere su come inserire un elemento cinese nella storia. La scelta di Roma come sfondo è stata influenzata dall’esempio cinematografico di L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, un film che ha segnato la sua volontà di esplorare il genere wuxia.
La narrazione si sviluppa attorno a due ristoranti, uno cinese e uno italiano, entrambi gestiti da figure mafiose locali. La dinamica tra questi due mondi opposti diventa il fulcro della storia, con la decisione di rendere la protagonista una donna, un elemento che ha suscitato l’interesse di Mainetti.
Il regista ha citato Sergio Leone come fonte d’ispirazione, evidenziando come il maestro del cinema italiano abbia attinto a opere di Kurosawa, creando storie di personaggi che si trovano a dover affrontare conflitti tra culture. La protagonista Mei, interpretata da Yaxi Liu, è una ragazza cinese che deve affrontare una realtà complessa e sfumata, riflettendo le sfide dell’integrazione culturale.
Mainetti ha voluto che il film avesse un’apertura simile a quella di Gangs of New York, introducendo il pubblico alla vita di Mei e alla sua storia in pochi minuti. Le scene di combattimento sono state progettate per essere energiche e coinvolgenti, utilizzando oggetti e l’ambiente circostante per rendere le sequenze più credibili e dinamiche.
Durante l’intervista, Mainetti ha affrontato il tema dell’identità nel cinema italiano, sottolineando la necessità di rimanere fedeli alle proprie radici culturali. Ha espresso il desiderio di non utilizzare attori occidentali in ruoli che richiedono una rappresentazione autentica della cultura cinese, preferendo lavorare con talenti che possano onorare il genere.
Il regista ha anche parlato delle sfide affrontate durante la realizzazione di Freaks Out, un film che, nonostante le difficoltà, ha contribuito alla sua crescita artistica. Mainetti ha concluso affermando che ogni film deve essere un’esperienza unica per il pubblico, capace di sorprendere e coinvolgere, e che il suo obiettivo è sempre stato quello di creare opere che riflettano la sua visione personale e il suo amore per il cinema.