Jo Brown torna sulla scena musicale con il brano Quaquaraquà, un singolo che è anche un modo per ricordare come le bugie – in questa società che viviamo – siano sempre più frequenti. La sua diventa una denuncia sociale in un mondo in cui i social network hanno pienamente preso il sopravvento. L’artista italo-svizzero ha quindi accettato di incontrarci e di raccontarsi tra presente e futuro.
Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?
Sin da bambino mi divertivo a registrare la mia voce con il registratore a cassetta di mio padre. A dieci anni mi hanno regalato una pianola e lì facevo partire dei beat e cantavo testi di cartoni animati inventati. Poi a 14 anni ho composto il mio primo vero pezzo e quando vinsi nel 2002 un contest che si chiamava”Mister Teenie” , ho avuto l’opportunità di registrarlo in uno studio professionale. E’ da li che è nata la mia prima demo e poi man mano ho iniziato a scrivere le mie canzoni.
Hai partecipato recentemente al programma artistico The Coach: cosa ti ha lasciato questa esperienza più di tutto?
The Coach è stata una bellissima esperienza che conservo nel mio cuore. Ho avuto la fortuna di conoscere altri ragazzi come me che portano avanti questo sogno di cantare, ballare o recitare. Infatti ho scelto per il mio ultimo video Fabio Biancucci, un ballerino professionista, che ha preso parte al programma con me. Abbiamo fatto subito amicizia e condividevamo la camera assieme all’interno dell’Academy di The Coach.
Parliamo del tuo nuovo singolo Quaquaraquà: dove nasce l’idea per questo singolo?
Tutto parte dal romanzo di Leonardo Sciascia “Il giorno della civetta”. Avevo letto questo romanzo tre anni fa e avevo recuperato anche l’omonimo film del regista Damiano Damiani. Un giorno durante la seconda pandemia stavo strimpellando sul pianoforte e mi è uscita la melodia di questo brano. A un certo punto inizio a canticchiare e viene fuori la parola Quaquaraquà. Non l’avevo previsto ed è stato del tutto casuale. Penso che il subconscio sia stato determinante per questa associazione tra testo e musica.
Con il tuo album I’m italiano, qual è invece il messaggio principale che vuoi trasmettere?
Questo album vuole essere una celebrazione del nostro paese, soprattutto dopo un anno come quello del 2021, dove l’Italia è riuscita a conquistarsi vari riconoscimenti nella musica, nello sport e perfino nella pasticceria. La scelta del caffè sulla copertina vuole difatti essere un simbolo della nostra italianità e delle attitudini quotidiane riconosciuteci da tutto il mondo. A me l’idea di sedere in un bar e di sorseggiare un buon caffè piaceva molto come concept per rappresentare il nostro paese. E poi soprattutto, volevo che il titolo sottolineasse il fatto che l’album è composto da cinque canzoni in inglese e cinque in italiano. Il messaggio principale resta a ogni modo la fierezza delle proprie origini e la voglia di migliorare il proprio paese sotto ogni punto di vista sociale.
Il tuo stile è molto originale, ma come ti sei approccio a questo genere? Chi sono stati i tuoi maestri musicali?
Partiamo dal presupposto che io non amo imitare nessuno e che mi piace molto avere una mia identità musicale. Tuttavia non posso nemmeno dire di non avere dei riferimenti musicali. Tra i miei maestri di musica, curiosando tra i vinili di papà, ci sono in particolar modo la black music di James Brown, Aretha Franklin o Marvin Gaye, ma anche quella rock dei Led Zeppelin, degli Scorpions e dei Metallica.
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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Prima di tutto vorrei fare un concerto celebrativo dell’album con i fan del primo momento e anche gli amici musicisti che ho incontrato lungo il mio percorso artistico. Dopodiché, mi piacerebbe andare in tour per l’Italia. Credo che fino all’anno prossimo il live sarà la priorità assoluta. E poi mi piacerebbe incidere un secondo disco tutto in italiano con calma.
Intervista a cura di Stefania Meneghella