Nel più lontano universo, lontano da tutto e da tutti, mentre osserviamo il mondo con occhi che non avremmo mai immaginato, mentre esistiamo solo per osservare vite riprodursi e crescere, la Terra ruota lenta. Ruota lenta e nessuno lo sa; nessuno si accorge di quanta innocenza essa contenga, nessuno si accorge di quanta dolcezza ci sia ogni volta che osserviamo il mondo da lontano.
Al suo interno, solo verde. Il colore di chi ha creduto ed è stato compreso, di chi ha creduto ed è stato amato.
Al suo interno, solo speranza.
Magici e miracolosi, sono i sorrisi dei bambini. Magici sono anche i momenti in cui tendere la mano a qualcuno si trasforma in immensità; allora, la Terra viene guardata da lontano e tutto resta cristallizzato in quell’infinito in cui continuiamo a credere ogni giorno.
Magici e miracolosi, sono i gesti che compiamo verso chi ne ha bisogno; siamo alla continua ricerca di qualcuno da amare che compare solo quando, nel più lontano universo, la Terra ruota lenta.
Siamo lì, immobili, ad osservare. A volte, lo spazio trema; altre volte, resta fermo, ad attendere.
Tutto questo accade mentre un uomo vestito di nero, con occhi impregnati di tenerezza, cammina lento. Cammina lento e nessuno lo sa; nessuno si accorge di quanta innocenza egli contenga, nessuno si accorge di quanta dolcezza ci sia ogni volta che osserva il mondo da lontano.
Nessuno l’ha mai saputo; eppure siamo qui, a ricordarlo. A ricordarci di tutti quei momenti in cui il sorriso di un fanciullo è stato salvato, o uno stomaco è stato riempito, o un’anima è stata colmata. Tutti attimi che, se guardati da lontano, sono tutto l’universo.
L’uomo vestito di nero cammina sul verde, e non c’è niente di migliore che osservarlo con occhi che non avremmo mai immaginato, mentre osserviamo vite riprodursi e crescere.
Il suo nome è stato Giovanni Bosco.
La sua anima fatta di innocenza e tenerezza nasce il 15 agosto 1815, festa dell’Assunta, e conosce il nero nel cuore all’età di due anni, quando il papà vola in cielo, portando con sé le lacrime di una donna e di tre fanciulli che, da quel
momento in poi, avrebbero vissuto alla continua ricerca del verde nell’anima. Si susseguono così anni molto difficili per mamma Margherita e per l’intero paese, a causa della fame ed epidemia che provocò la morte di molta gente.
Il piccolo Giovanni ha il corpo in Terra e l’anima nell’universo; osserva da lontano il mondo e desidera trasformarlo in verde soprattutto quando, all’età di nove anni, sogna qualcosa che Giovanni ha descritto più o meno così:
« A 9 anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole.
In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai farteli amici non con le percosse ma con la mansuetudine e la carità. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l’amicizia con il Signore è un bene prezioso». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace di parlare di religione a quei monelli.
In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie, e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa facessi gli domandai: «Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?» «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili – rispose – dovrai renderle possibili con l’obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante». «Ma chi siete voi?». «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». «La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome.» «Il mio nome domandalo a mia madre.»
In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per mano e mi disse: «Guarda» Guardai e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi. Al loro posto c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli.» Guardai ancora, ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti, che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa attorno a quell’uomo e a quella signora. A quel punto nel sogno mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse: «A suo tempo, tutto comprenderai.»
Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti. Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete.» Antonio malignò: «Sarai un capo di briganti». L’ultima parola la disse la nonna, che non sapeva né
leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente »
Ed è proprio quel sogno che porta Giovanni a intraprendere un percorso che l’avrebbe reso la persona che è stato; uomo vestito di nero che cammina tra il verde, mentre l’anima resta lì, in disparte, ad osservare la Terra che ruota lenta.
Il giovane Bosco decide così di seguire la strada del sacerdozio, e di apprendere in seguito i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi, con l’obiettivo di avvicinare i ragazzini del paese e attirare coetanei e contadini del luogo grazie a salti e trucchetti di magia.
Diventato prete, nei primi di novembre 1841, Giovanni si reca in Convitto a Torino, un ex-convento accanto alla chiesa di San Francesco di Assisi. E’ proprio in questo luogo che il giovane Bosco inizia pian piano a trasformarsi in corpo capace di fermare la Terra per un po’ ed osservarla dall’interno. Giovanni decide di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Incontra così i ragazzi che, sulla piazza di Porta Palazzo, cercano di procurarsi un lavoro. In piazza San Carlo, Giovanni conversa con i piccoli spazzacamini, di circa sette o otto anni, che gli raccontano il loro mestiere e i problemi da esso generati. Insieme a Don Cafasso, inizia a visitare anche le carceri e a inorridire dinnanzi al degrado nel quale vivono giovani dai 12 ai 18 anni, rosicchiati dagli insetti e desiderosi di mangiare anche un misero tozzo di pane. Dopo diversi giorni di antagonismo, i carcerati decidono di avvicinarsi al sacerdote, raccontandogli le loro vite e i loro tormenti. Don Bosco sa che quei ragazzi avrebbero intrapreso percorsi sbagliati senza una guida e quindi inizia a parlargli quotidianamente, facendosi promettere infinite che, usciti di galera, lo avrebbero raggiunto alla chiesa di San Francesco.
Le speranze sono tante, come tante sono le difficoltà, ma Giovanni comprende che si può ancora far qualcosa quando l’8 dicembre 1841 Bartolomeo Garelli, giovane conosciuto nelle carceri da lui visitate, si unisce al gruppo, gesto che permette a Giovanni di radunare tutti i ragazzi degradati della zona ed educarli a tre fondamentali elementi: l’amicizia, l’istruzione e l’avvicinamento alla Chiesa.
E’ così che nasce l’Oratorio, un progetto che permetterà a Giovanni di compiere spedizioni al di fuori dei confini italiani, permettendo a sempre più giovani in difficoltà di costruire un futuro che scorre lento, mentre il corpo è in Terra e l’anima nell’universo.
Nel 1875, parte così la prima spedizione missionaria per l’Argentina, terra della grande emigrazione italiana dell’Ottocento. Bosco accetta la gestione di una parrocchia a Buenos Aires ed un collegio di ragazzi a San Nicolàs de los Arroyos e, il giorno 11 novembre 1875, a Torino, si dà avvio alla prima spedizione missionaria salesiana. Guidati da don Giovanni Cagliero, i missionari di don Bosco si imbarcano dal porto di Genova il 14 novembre 1875, insediandosi a Buenos Aires in una parrocchia per emigrati italiani e trasformando il mondo in umanità tassellata di verde.
Sono magici e miracolosi, i sorrisi dei bambini. Magici sono anche i momenti in cui tendere la mano a qualcuno si trasforma in immensità; allora, la Terra viene guardata da lontano e tutto resta cristallizzato in quell’infinito in cui continuiamo a credere ogni giorno.
Magici e miracolosi, sono i gesti che compiamo verso chi ne ha bisogno; siamo alla continua ricerca di qualcuno da amare che compare solo quando, nel più lontano universo, la Terra ruota lenta.
Nessuno l’ha mai saputo; eppure siamo qui, a ricordarlo. A ricordarci di tutti quei momenti in cui il sorriso di un fanciullo è stato salvato, o uno stomaco è stato riempito, o un’anima è stata colmata. Tutti attimi che, se guardati da lontano, sono tutto l’universo.
Siamo lì, immobili, ad osservare. A volte, lo spazio trema; altre volte, resta fermo, ad attendere. Tutto questo accade mentre un uomo vestito di nero, con occhi impregnati di tenerezza, cammina lento. Cammina lento e nessuno lo sa; nessuno si accorge di quanta innocenza egli contenga, nessuno si accorge di quanta dolcezza ci sia ogni volta che osserva il mondo da lontano.
Al suo interno, solo verde. Il colore di chi ha creduto ed è stato compreso, di chi ha creduto ed è stato amato.
Al suo interno, solo speranza.
Il 31 gennaio 1888 Giovanni Bosco muore a Torino, e il suo corpo viene esposto all’interno di un’urna nel Santuario di Maria Ausiliatrice, in una cappella in fondo alla navata destra.
Oggi, l’uomo vestito di nero cammina sul verde, e non c’è niente di migliore che osservarlo con occhi che non avremmo mai immaginato, mentre osserviamo vite
riprodursi e crescere. Non c’è niente di migliore che allontanarci per un attimo, mentre la Terra ruota lenta, mentre fiumi scorrono e nuvole smuovono pensieri, allontanarci per un attimo ed osservarlo mentre tende la mano e sorride.
Tanto basta per essere migliori.
Articolo realizzato da Stefania Meneghella