I Radiosabir sono un collettivo siciliano che canta la bellezza e la magia della loro Isola. Il gruppo è adesso tornato sulla scena musicale con il nuovo album “Cunti e Mavarii pi megghiu campari” (Dcave Records), che comprende ben undici brani in siciliano. A parlarcene sono stati proprio loro, raccontandoci anche tutti i loro sogni e progetti.
Quando è nato il vostro incontro e come avete deciso di lavorare insieme?
Gli incontri non sono mai casuali, questi poi… Partiamo da lontano, quando eravamo NiggaRadio e venivamo da posti diversi del mondo per arrivare a Catania e trasformarci in RadioSabir. Daniele Grasso (chitarre, basso, synth, vox) e Peppe Scalia (batteria, percs, armonica, vox) compagni di viaggio da tempo, Umberto Arcidiacono (percs, sinthbass, basso etc.) si è aggregato alla carovana col suo carico di suoni antichi e futuristi. A completare l’organico attuale Chiara Dimauro (voce) e scesa direttamente per noi dal vulcano col suo carico di magie di fuoco e lava “fimmina i fora” Elisa Milazzo (voce cori e percussioni). Ma siamo piuttosto un ensemble e non posso non citare fra le tante collaborazioni Cesare Basile, Maurizio (dinastia) Musumeci e Vanessa “goldie” Pappalardo.
Parliamo del vostro nuovo album Cunti e Mavarii pi megghiu campari. Dove nasce l’idea per questo progetto?
Beh, anche se gli indizi sono evidenti (ci incontriamo a Catania, una di noi scende dal vulcano, quindi…) in realtà l’idea è nata lontano stando in giro per il mondo, prendendo dal blues del Mali e da quello del Mississippi, dalle musiche ascoltate su tutte le coste del mediterraneo, dal rumore dalle città visitate, fosse quello elettrico e impetuoso di posti come New York o quello quieto e sornione di… scegliete voi. Quello che abbiamo imparato e lo cantiamo è che “a genti cianci e ridi o stissu modu a tutti i bandi” (la gente piange e ride ovunque allo stesso modo).
La Sicilia è molto presente in questo disco. Cosa rappresenta per voi questa regione e quanto ha influito nella vostra musica?
La Sicilia… la Sicilia influisce sulle persone, sempre. Che ci siano nate o che vengono a visitarla lascia cose nell’anima delle persone e quindi nella loro musica. L’isola è un luogo di partenza ma anche di ritorno e se c’è una cosa che sappiamo della musica è che è fatta da “tensioni e risoluzioni” e questo è posto di contrasti fortissimi, di tante tensioni e di qualche risoluzione… è un posto arcaico e futurista quello dentro il disco ma pensiamo rappresenti i sud del mondo tutti, in qualche maniera, con le loro paure e le loro speranze.
Come vi siete approcciati a questo genere musicale? Chi sono stati i vostri maestri musicali?
In realtà, molti dicono che questa sorta di “blues del nuovo millennio” ce la siamo proprio inventata. Ascoltiamo, tante e differenti cose… tante troppe… così che si mischino nella nostra testa e nel nostro cuore tanto da diventare una cosa. I poeti arabo siciliani, Ignazio Buttitta, Mavis Staple, Owlin’ Wolf, tutti gli sconosciuti bluesman dall’Africa agli stati del sud in Usa, alla Gnawa music, Rosa Balistreri, Tom Waits e.… troppi, un elenco è impossibile ma è certo grazie a tutti loro che siamo ciò che siamo.
Quali sono i vostri futuri progetti? Potete anticiparci qualcosa?
Il disco è li li per uscire…aspettiamo curiosi i feedback e prepariamo il live. Guardiamo ad un tour europeo e già abbiamo approcci alle prime date. Contiamo di portare il progetto ovunque sia possibile e di avere anche una forte controparte “visuale” a raccontare in modi altri le storie contenute. C’è in cantiere anche un interessante collaborazione per un documentario che racconti la storia del nostro progetto all’interno del racconto della nostra terra. Presenteremo il lavoro con una session in studio il 1 di aprile, poi un incontro con pubblico e addetti in un club a Catania per parlarne e suonarne un po’ il 7 dello stesso mese e poi… lasciamo un po’ di curiosità perché la gente ci segua un po’ ovunque.