I Golpe sono tornati sulla scena musicale italiana con il nuovo singolo Romanticismo: un brano, questo, che racconta un eterno contrasto tra potere e amore. Il loro è viaggio continuo verso ciò che si deve e ciò che si sente di fare: ce ne hanno parlato in questa intervista, raccontando anche i loro futuri progetti.
Com’è nato il vostro incontro e come avete capito che avreste potuto lavorare insieme?
Ci conosciamo da anni e nel corso del tempo abbiamo collaborato a più riprese, sia ufficialmente che ufficiosamente. Oltre al rapporto artistico, abbiamo costruito delle amicizie solide e questo ci ha consentito di mettere a fattor comune intenti e idee per la costruzione di un disco. Forse un po’ per caso, dopo un concerto organizzato e mai tenutosi, abbiamo iniziato a scrivere delle canzoni che sono confluite nel primo disco “Propaganda”, uscito un paio di anni fa.
Parliamo del vostro nuovo singolo Romanticismo: come nasce l’idea per questo brano?
L’arrangiamento del tema principale è stato fatto in un quarto d’ora al massimo, durante una sessione in cui stavamo registrando un live in studio. Il brano vero e proprio, però, ha avuto una gestazione più lunga: l’idea che ci ha animati era cercare di descrivere un dialogo tra due interlocutori le cui intenzioni non collimano più e la cui relazione è ai titoli di coda. È stato come raccontare la fine, un po’ mesta, quasi sciatta, tra due persone che si vogliono bene e poi non più, forse rinnegandosi o forse, banalmente, chiudendosi la porta alle spalle.
Nella vostra musica partite dal significato di potere, per poi parlare di qualcosa di ben più importante: l’amore. In una società in cui il potere sembra essere tutto, quanto riesce ancora a salvare – secondo voi – l’amore?
Se non ti chiami Dante e la tua tipa Beatrice, l’amore non ha nulla di salvifico. O meglio, è un altro luogo in cui può manifestarsi il potere e in cui il suo esercizio può avere le conseguenze peggiori.
L’amore è piuttosto un’anomalia, una sorta di malattia dello spirito che cambia lo spettro di ciò che puoi vedere e aumenta quello di ciò che puoi sentire. Il più delle volte è a tempo determinato e a scadenza e vive le sue stagioni più vivide all’inizio e alla fine. Detto ciò, anche se adesso può sembrare contradittorio, è meraviglioso: sicuramente più bello che utile e il suo bello risiede nella sua gratuità.
Cosa rappresenta per voi l’amore e che significato ha nelle vostre vite?
Un trampolino, una leva, un limite, un sogno, un impedimento, un inciampo: tutto, a seconda delle stagioni e delle proprie personalissime epoche.
Come vi siete approcciati a questo genere? Chi sono stati i vostri maestri musicali?
Abbiamo tutti retroterra diversi ed estrazioni altrettanto distanti: arriviamo dalla classica, dal jazz, dal pop più colto e meno colto. Forse la cosa che ci accomuna è l’intenzione di rendere tutto cantabile, soprattutto in senso lato, e l’attenzione quasi maniacale alla melodia. Io, Matteo, chitarristicamente parlando, ho un’ispirazione precisa ed è Daniel Rossen; un’altra più ampia e più datata, i Radiohead; e un’altra ancora, forse più spirituale, i The Bad Plus. Però, ormai, li ascolto di rado e nell’ultimo anno credo di aver ascoltato pressoché solo hip- pop.
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Quali sono i vostri futuri progetti? Potete anticiparci qualcosa?
Un progetto già in lavorazione è il seguito, o meglio l’altra faccia di PRIMA REPUBBLICA: SECONDA REPUBBLICA. Relativamente al primo, ci piacerebbe portarlo in giro per l’Italia e fare più live possibili. Siamo una band abbastanza emotiva, a tratti umorale, e i nostri brani suonano quasi meglio dal vivo.