La locuzione latina “HIC ET NUNC”, tradotta letteralmente, significa “QUI E ORA”. Per comprenderne il significato più profondo, occorre ricordare quali valenze ha assunto in ambito culturale: la locuzione, infatti, era di uso comune nella lingua latina e di questa si servì particolarmente Orazio (poeta romano del I secolo a.C.) per alludere a un tema importante nella sua poetica, strettamente connessa al “carpe diem”.
Nella locuzione coesistono due piani: quello spaziale espresso dall’ hic e quello temporale dal nunc, saldamente connessi tra loro. La forza di queste parole è talmente tanto forte da fare in modo che il pensiero da loro espresso si concretizzi nella realtà, attraverso la mediazione di un soggetto che vive il momento, distante da ciò che fu passato e da ciò che sarà futuro. L’hic et nunc è un piano “sospeso”, che nonostante voglia essere lontano da vincoli temporali precedenti e successivi, ne è condizionato, ed è ancora in grado di condizionarne le dinamiche.
Sebbene sia un’espressione tipicamente latina, la ritroviamo concettualmente già nel mondo greco: nei simposi, ad esempio, poeti come Alceo e Anacreonte, trattavano temi all’insegna della condivisione di momenti di piacere e leggerezza, con lo scopo di costruire un riparo migliore dalle avversità della vita. Restando in ambito greco, l’hic et nunc si esplicita nel teatro -che nasce come culto religioso- con i primi tragediografi; questo “presente assoluto” che agisce nella realtà alternativa che è il teatro, rappresenta il tempo ideale della tragedia. Lo spettatore vive
una realtà diversa da quella quotidiana, ma che è ugualmente reale.
Per Eschilo la tragedia rappresenta la giustizia divina; per Sofocle è dolore e infelicità dell’uomo che non accetta compromessi; invece Euripide mette in evidenza il ruolo dell’irrazionale, della passione e dei sentimenti, ma tutti si avvalgono del concetto del “qui e ora” soprattutto nel definire le dinamiche interne dei personaggi -connesse con
i contesti in cui i personaggi agiscono- per determinare le conseguenze dal punto di vista drammatico.
Dall’Umanesimo all’Illuminismo il teatro ha abbandonato la performità rituale, concentrandosi su una visione razionalista, dove è più importante guardare da lontano per soddisfare il gusto estetico, piuttosto che vivere un’esperienza sensoriale.
Lo stesso teatro borghese fu predisposto per educare il pubblico ai valori borghesi, formando i nuovi ceti attraverso una rappresentazione esplicativa della realtà e dei nuovi valori sociali. Per reagire a questa lunga stagione teatrale razionalistica, i teorici teatrali del Novecento rompono gli schemi e mettono in campo nuove idee, soprattutto a causa dell’avvento di nuovi mezzi di comunicazione come la radio, il cinema e la televisione. Ecco che allora recuperano la materia prima dell’esperienza teatrale: la performance. Si riprendono tutti quegli esempi disseminati nel corso della storia in cui il teatro era concepito come un’esperienza reale e fisico-verbale, dove sia l’attore che lo spettatore sono portati a vivere, appunto, nell’hic et nunc. Dal punto di vista rappresentativo, le opere teatrali -più di altre forme d’arte- portano lo sguardo dello spettatore non molto lontano dalla realtà; questo perché l’azione teatrale avviene in un “presente assoluto”.
Un’opera trattata con cura, come il “Don Giovanni” -in tutte le sue varianti nel corso dei secoli- fa immediatamente comprendere la materia presa in esame: Don Giovanni è un personaggio licenzioso che passa la vita a sedurre le donne; sebbene la trama dell’opera lasci abbondantemente spazio al riso, suscitato dalle imprese compiute dal protagonista, è interessante notare il pensiero che porta il personaggio a compiere determinate azioni. Infatti, egli non si preoccupa né di ciò che è stato e né di ciò che sarà, gli interessa esclusivamente cogliere l’attimo e vivere il momento. Nonostante le differenti versioni teatrali di cui l’opera è stata oggetto, non cambia la filosofia di vita del protagonista, il quale è sempre pronto a rispondere che per le cose future “c’è sempre tempo”.
Nel teatro del Novecento, però, non mancano opere in cui il concetto dell’hic et nunc sia presente. Ciò che conta è il momento in cui si vive, che coincide con il momento della rappresentazione.
Pirandello, in molte sue opere, oltre ad affrontare temi come la pluralità dell’essere, mette in scena drammi svincolati da un arco di tempo definito. L’ “Enrico IV” o “Sei personaggi in cerca d’autore” si muovono nel presente, e hanno modo di esistere solo se lo spettatore guarda l’opera e la inserisce nel suo stesso presente, come se fosse un dramma della propria quotidianità.
“Enrico IV” è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all’autore del rapporto, complesso e alla fine
inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. Il personaggio di Enrico IV, del quale magistralmente non ci viene mai svelato il vero nome, quasi a fissarlo nella sua identità fittizia, è descritto minuziosamente da
Pirandello. Enrico è vittima non solo della follia, prima vera poi simulata, ma dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli si addice, essendo ormai stritolato dal ruolo fisso del pazzo. Il valore dell’hic et nunc è fondamentale anche per un teatro più vicino ai nostri giorni.
Nella giornata del 10 aprile 2018, presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”, Stefano Braschi -attore, produttore e regista della Compagnia teatrale “Elsinor”- ha colto l’occasione per mostrare scene di alcune sue rappresentazioni al suo uditorio. Ne è emerso che nel momento in cui si recita la parola ha il valore di incarnare il vissuto e le esperienze, in modo da far vivere e vibrare la parola stessa nel momento in cui
viene pronunciata, e trasmettere emozioni e sensazioni al pubblico.
“Il teatro è un tempio dove non entra mail sole. Si lavora sempre con poca luce, nel silenzio più assoluto, il testo va rispettato e approfondito, perché tutto è nella parola”
M. Mastroianni
Questo è il vero valore del teatro ed è possibile coglierlo e apprezzarlo solo se si ha la capacità di trasportarsi in un tempo impercettibile, tralasciando i drammi della vita di tutti i giorni, per dedicarsi alla visione di un dramma “finto”, che non può essere, tuttavia, più vero. È un pensiero espresso anche dall’attrice e produttrice libanese Maya Zbib in
occasione del settantesimo anniversario dell’International Theatre Institute:
“In una cultura globale di paura incontrollata del prossimo, di isolamento e di solitudine, stare insieme in maniera viscerale, in un”qui e ora”, costituisce un atto d’amore.”
Articolo a cura di Mara Mola