Il chitarrista Giovanni Baglioni torna sulla scena musicale 10 anni dopo dal suo precedente disco Anima Meccanica. A dare sfogo alla sua creatività, è stavolta l’album Vorrei bastasse: un progetto, questo, che mette in evidenza la sua voglia di fare musica e il suo desiderio di trasmettere emozioni agli altri. Il musicista ce ne ha parlato in questa intervista.
Come ti sei approcciato allo strumento della chitarra? Quando hai capito che sarebbe stata la tua strada?
È stato un percorso in più fasi, non c’è stato un momento di folgorazione. Il mio primo approccio con lo strumento è stato durante un’attività extrascolastica in un pomeriggio della settimana dove i miei genitori mi proposero di studiare chitarra. Non è durata molto questa esperienza, dato che il mio maestro aveva un altro percorso di vita da fare e non trovai un’altra persona. Nell’adolescenza ho poi recuperato, ho incontrato dei ragazzi che avevano creato un gruppo rock e mi sono unito a loro. Mi sono divertito molto ed è stato un traino per suonare di più. Pur facendo cose carine e coinvolgenti, questa passione non aveva nessun connotato di sbocco professionale. Il momento che mi ha spinto in avanti e mi ha fatto dedicare più tempo a questo strumento, è stato quando ho ascoltato un grande chitarrista australiano: Tommy Emmanuel. Mi fu regalato il disco da un caro amico di famiglia, ma inizialmente non pensavo che potesse essere qualcosa di interessante. Questo ascolto mi ha portato però ad approfondire e a voler ricreare quella bellezza e quella completezza di risultato sonoro. Questo mi ha pian piano portato ad essere esecutore. Con il trascorrere del tempo ho conosciuto anche altri chitarristi e altre produzioni musicali, che mi hanno aiutato a mettere giù le mie idee.
Parliamo del tuo nuovo album Vorrei bastasse: dove nasce l’idea per questo progetto?
Dopo il primo disco di tanti anni fa, ero ancora molto in moto con la mente e l’attività compositiva. Se non nella loro completezza ma nel loro scheletro, molte delle composizioni che sono presenti in questo lavoro sono state ideate tanto tempo fa, a ridosso dell’uscita del primo disco. Questo tempo che è trascorso è stato dovuto a tanti motivi, e a delle incertezze su come realizzare questo album e su come registrarlo. Ho trovato poi il coraggio di procedere con la registrazione: ci sono cose che hanno infatti richiesto uno studio non indifferente.
Ad attirare l’attenzione è anche il titolo del disco: cosa vorresti che bastasse? Qual è il perché di questo nome?
Ci sono varie possibili interpretazioni, mi piace essere un po’ vago con me stesso e misterioso. Mi piace essere un fruitore di messaggio: c’è una porzione di libertà nell’interlocutore ed è come se fosse un dialogo asincrono. Le letture possono essere diverse: c’è sicuramente un po’ di insofferenza per un senso di responsabilità che ho sempre sentito. È una percezione e proiezione mia personale: raggiungere un certo livello e assomigliare a un’idea di quello che volevo essere. Ci ho messo tanta fatica, sincerità, onestà intellettuale, e vorrei che fosse quello che io stesso mi aspetto da me. Le parole mi sono venute fuori da un discorso che feci qualche anno fa con un attore di teatro, quando – in modo nostalgico – parlammo di un tempo non troppo lontano. L’impressione era che le opere di un artista determinassero la percezione che il pubblico aveva di lui. Questo rapporto si è un po’ invertito; la percezione di un personaggio proietta spesso quello che fa: non diventa “fico” quello che fa ma quello che è. Io invece “Vorrei che bastasse” ancora quello che si fa.
Come ti sei approcciato a questo genere musicale? Chi sono stati i tuoi maestri musicali?
Sicuramente, ci sono stati dei maestri che non ho incontrato ma che mi hanno ispirato studiando in maniera molto intensa alcune loro opere. Mi ricordo il disco di Emmanuel, si parla di 20 anni fa: all’epoca c’erano mezzi tecnologici più antichi, c’erano primi video e con il pc si poteva isolare una porzione brevissima di questo video. Non ero molto soddisfatto di come venivano redatti degli spartiti del disco, ma ho passato tanto tempo a cercare di capire questi repertori. Ho incontrato varie persone con cui ho studiato per periodi, ho fatto seminari ed è stato un percorso non accademico e istituzionale, ma di ispirazione e di scambio.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Vorrei recuperare questa frase creativa e compositiva che è un po’ mancata; l’ultimo periodo è stato dedicato a combattere con questi dubbi e anche alla fase di realizzazione. Vorrei fare qualcosa di appena più lontano dal mio solismo strumentale, scrivere altri pezzi con questo linguaggio ma anche collaborazioni e arrangiamenti. Ho fatto negli anni passati molte cose con mio padre, ma non solo.