Francesco Leo ha aperto le porte delle librerie con Cinque Anime (Altri Media Edizioni), un thriller avvincente, profondo e nel quale ci si può sempre riconoscere. Si parla del commissario Matteo Iardi, ma si parla soprattutto di passato e presente: di un mix di emozioni che hanno colto l’uomo improvvisamente e da cui è stato impossibile fuggire via. La sparizione della sua sorellina Sofia, accaduta molti anni prima, ha sconvolto la storia di una famiglia: anzi, l’ha resa fragile e l’ha plasmata di continuo.
Sono trascorsi anni, e nel forte (e spesso coraggioso) Matteo – diventato nel frattempo poliziotto – si sono insinuati altri dubbi e pensieri, alla ricerca di un serial killer che potrebbe distruggere anche altre vite. Ha così inizio un viaggio tra passato e presente, che cattura il lettore e lo trasporta in un mondo diverso e quasi surreale. Ci sono i demoni che ci mangiano i pensieri, ma anche quelli che ci fanno rinascere: ci sono le paure, le ansie, c’è il nero (che spesso evitiamo), c’è una vita che non ci ha lasciati indifferenti. Lo stile dell’autore è semplice e, allo stesso tempo, complesso nei valori che imprime e in quello che insegna a chi legge. E’ inutile dirlo: Francesco Leo ha proprio fatto centro, e ci ha resi consapevoli di quanto il tempo sia prezioso e di quanto sia anche raro. Passato e presente. Noi al centro, ad esserne semplicemente spettatori.
Com’è avvenuto il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai compreso che sarebbe stata la tua strada?
Il mio contatto con la scrittura arriva in età infantile. Sono sempre stato molto introverso, e scrivere mi aiutava a esternare me stesso. È qualcosa che ha trovato da subito collocazione, che si è evoluta e ancora oggi continua a evolversi. È qualcosa che mi ha fatto stare bene, mi ha aiutato in momenti di debolezza e mi ha supportato nei contesti più difficili.
Lei c’è sempre stata, mai in modo invadente né negativo, per cui… come avrei fatto a metterla da parte? La scrittura è stata la mia strada dal primo momento in cui l’ho incontrata.
Parliamo del tuo ultimo lavoro ‘Cinque anime’. Dove nasce l’idea per questa storia e qual è il messaggio principale che vuoi trasmettere?
Cinque Anime nasce per portare un messaggio che vuole inneggiare la vita. Racconto sempre di valori e punti di vista, e scelgo di farlo nei modi più disparati. In questo caso, quest’ultimo libro rappresenta anche un cambio di genere – non definitivo, certo, – e una sfida. È una storia di luce e ombre, di sangue e gioia, di quanto a volte possa essere difficile avere l’ardire di vivere davvero. Per trasmettere ciò che avevo in mente c’era bisogno di qualcosa di diverso rispetto al fantasy su cui ho sempre poggiato le basi. Serviva qualcosa di più freddo e crudo, di più verosimile e tangibile. Qualcosa d’impatto. Ed ecco come si è arrivati a Cinque Anime. L’idea nasce nel 2018 e trova compimento e concretezza nel 2019, tre anni prima della pubblicazione. È un testo a cui sono particolarmente legato non solo per il cambio di genere, ma per il periodo in cui è stato scritto. Un periodo per me molto difficile e che mi ha aiutato a capire ancora una volta quanto la scrittura fosse per me importante.
Il protagonista è il commissario Matteo Iardi. Quanto c’è di te in lui e cosa ti ha insegnato più di tutto il suo personaggio?
Lo scetticismo e la razionalità, di certo. C’è anche altro, però. Ansie, paure e un atteggiamento a volte strafottente e lascivo. Queste ultime cose non fanno parte di me, o almeno non del tutto, ma di certo rappresenta un modo di essere che mi spaventa. Delle volte mi sono chiesto: “E se un giorno dovessi cedere a tal punto da reagire così nei riguardi della vita? Che esistenza trascorrerei?”. Tuttavia, alla fine, il commissario cerca di mettersi in gioco per riscattare il suo vissuto e scoprire la verità. Ed è quello che faccio anch’io, ogni giorno.
La storia parla soprattutto di due periodi molto distanti tra loro, ma che appaiono poi molto vicini: il 1980 e il 2020. Secondo te, quanto il passato può influire su quello che accade nel presente?
Credo che il presente sia la somma di tutti gli eventi trascorsi con le relative scelte intraprese. Penso che tutti noi siamo il frutto del proprio vissuto, va da sé che il passato diventa fondamentale per il futuro. Quante volte, ipotizzando di cambiare una piccola scelta nel passato, abbiamo pensato di arrivare a un futuro differente? Noi siamo questo, un insieme di scelte e conseguenze.
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Il tuo è un genere thriller: come ti sei avvicinato a questo genere e com’è avvenuta la costruzione del tuo stile letterario?
Il mio genere di base è il fantasy con rispettivi sottogeneri, nonostante sia un lettore onnivoro. Proprio per questo ho deciso di mettermi in gioco con il thriller, altro genere che da sempre mi ha incuriosito. È stato il mezzo con cui ho voluto raccontare la storia, quello che sentivo adatto in quel momento. Non sapevo come sarebbe andata, ma non mi lamento. Lo stile punta molto al cinematografico, tendenzialmente scrivo quasi come se stessi buttando giù una sceneggiatura. Credo nel potere delle immagini attraverso le parole, mi piace mantenere un buon ritmo narrativo intrattenendo senza annoiare e, soprattutto, lasciare qualcosa a chi vivrà tra le pagine della mia storia. Di certo è qualcosa che si affina giorno dopo giorno e non si smette mai d’imparare.
Come procede la promozione del tuo libro? Ci sono futuri progetti in ballo?
Per ora tutto procede bene, ed è stato interessante comprendere il modo in cui il mio pubblico abbia accolto questa storia con il cambio di genere. All’orizzonte ci sono tre libri autoconclusivi e una saga di cinque volumi già pronti e in attesa di essere pubblicati. Tutti di genere fantasy, per quanto ora stia concependo nuove idee a tinte thriller. Di carne al fuoco ce n’è, insomma.
Intervista a cura di Stefania Meneghella