Filippo Ceccarelli è uno che scrive, e basterebbe questa descrizione per rappresentare al meglio il personaggio che è.
Scrivere significa avere tante sfaccettature di anime da trasmettere agli altri, ma significa anche raccontare storie che restano (e che talvolta resistono). Giornalista e scrittore da anni, ha sempre fatto della scrittura il suo principale lavoro, tanto da aver iniziato da piccolissimo e da aver continuato quando i suoi piedi si sono mossi per la prima volta nel mondo del giornalismo, facendo tesoro di tutti i preziosi insegnamenti ricevuti prima di quel momento.
L’autore ha quindi scritto in primis per Panorama, per poi collaborare con la redazione romana de La Stampa e con quella de La Repubblica, dove è editorialista. Dopo diversi premi alle spalle, nel 2010 ha vinto il Premio Satira Politica nella sezione Letteratura, ed è adesso uscito nelle librerie con un nuovo lavoro. “B. Una Vita troppo” è interamente dedicato a Silvio Berlusconi ma soprattutto alla sua storia di uomo, a quello che ha trasmesso nel corso della sua vita e a quello che aveva voglia di dire.
Ceccarelli è quindi uno che scrive e che, quando lo fa, diventa un tutt’uno con le pagine. Del resto, solamente chi ha una carriera degna di nota come la sua e un bagaglio di esperienze senza eguali riesce a dire tanto con le parole. Lui è uno che ci riesce, e lo fa anche molto bene. Dopo essere stato ospite del Lungomare di Libri di Bari, si è raccontato alle nostre pagine rivelando parti di sé e della sua vita professionale.
La sua è sempre stata una vita all’insegna della scrittura, ma ricorda qual è stato il primo momento in cui ha capito di voler fare questo?
Ero piccolissimo, ma probabilmente è qualcosa che mi hanno tramandato. È un mandato paterno e materno, dato che nella mia famiglia c’era un nonno abbastanza importante: Giuseppe Ceccarelli. Lui era un esperto romanista, uno studioso e un cultore di Roma: scriveva su Il Tempo e probabilmente mi hanno fatto capire che sarei diventato come lui un giorno. Ho sempre pensato che avrei scritto ma, allo stesso tempo, ho anche faticato molto. Devo dire che la scrittura è sempre stata qualcosa di molto difficile e a tratti crudele. Quando una persona scrive, non è mai contenta del risultato che ottiene. Agli inizi, quando ho iniziato a lavorare, avevo 18 anni e collaboravo per il settimanale di Panorama. Un giornale che aveva uno stile particolare. Ricordo che all’inizio riscrivevo gli articoli per dieci volte, rimettevo le mani nei pezzi ed era davvero difficile portare a termine un lavoro. C’era molta fatica e anche la paura di non farcela.
Il suo ultimo libro si chiama “B. Una vita troppo”, e il protagonista è Silvio Berlusconi. Dove nasce l’idea per questo volume? Cosa intende per “Troppo”?
A un certo punto della mia vita professionale, è arriva questa enorme novità subito dopo la fine degli equilibri e quella che possiamo chiamare, per comodità, la Prima Repubblica.È arrivato un nuovo protagonista: era un uomo che veniva da Milano, aveva sfidato la guerra con la Rai fondando la tv commerciale, aveva acquistato una squadra di calcio moribonda e l’aveva portata ai massimi successi. Un po’ perché costretto – dato che le banche gli chiedevano di rientrare – un po’ perché era un uomo che amava le sfide e le scommesse, aveva fondato un partito e alla fine si era preso l’Italia.
Aveva trionfato alle elezioni del 1994, e questo bastava ai miei occhi per iniziare a seguirlo con un’attenzione particolare e meticolosa. Per vocazione avevo l’abitudine di leggere i giornali molto attentamente e, selezionando alcuni articoli, ho iniziato a prendere appunti e a leggere quello che veniva duplicato sui libri. Quando è arrivato il momento in cui la sua persona stava andando verso il declino e verso la morte, ho pensato di creare qualcosa sulla sua storia. Era un personaggio su cui fare una biografia senza porsi limiti, né di spazio né di attenzioni.È così venuto fuori questo libro, nel quale è confluita la mia vita professionale in termini di sforzi, di letture, di appunti e di ricordi. Le cose da mettere insieme erano tante, e si è trattato di attraversare un materiale gigantesco e formato da fonti tradizionali. Per un quarto sono infatti stato costretto a rivolgermi a un materiale che era ormai tutto di immagini, foto e video. Ho accompagnato il libro da alcune pagine che trattano le varie fasi della vita di Berlusconi: una primavera, un estate, un autunno e un inverno. Nessun personaggio era stato visto come Berlusconi, che è stato senz’altro il precursore dell’età Berlusconiana, un età visiva e televisiva.
Per “troppo” intendo che il personaggio esagerava per principio e per vocazione, e non aveva alcuno scrupolo a rientrare nel buon senso. Era importante per lui eccedere, e lui stesso è stato come un eccesso vivente di un uomo che ha cercato disperatamente di varcare i limiti. Berlusconi non era affatto prudente, ha fatto cose pazzesche con risultati pazzeschi, e ha esagerato anche nel negativo. Ha avuto un numero sterminato di successi nel campo sportivo e negli affari, ma ha avuto anche un sacco di donne. Era un uomo che ha usato la sua stessa dismisura.
A proposito di questo, secondo lei come vivranno i giovanissimi del presente che stanno affrontando un’era non berlusconiana?
Questo è un tempo in cui è molto difficile immaginare il futuro ed è un tempo che, anche grazie a Berlusconi, si è fermato in una sorta di eterno presente. C’è l’ideologia secondo cui si acquista qualcosa senza preoccuparsi di quello che succederà domani. Sono anche io in difficoltà di fronte al futuro. Lui era un uomo che faceva anche pedagogia, ma è importante anche che chi lo osserva da lontano abbia un filo di malizia e diffidenza. A volte ho il sospetto che ci abbia fatto perdere un sacco di tempo, dato che nella sua azione di governo è molto difficile stabilire cosa abbia lasciato. Berlusconi è stato molto bravo a farsi gli affari suoi, e questa è stata la sua grandissima specialità. Lui è riuscito a saturare e a riempire l’immaginario di un intero Paese, e oggi tutti noi sappiamo chi è stato.
È stata una straordinaria occasione di divertimento e intrattenimento, ma non può essere di certo considerato un toccasana di problemi della società italiana. Ci ha appassionato alla sua vita, ed è quello che ho cercato di dire in questo libro. Si tratta di un libro crudo, ma anche misericordioso, perché ciascuno è un essere imperfetto e se siamo tutti fratelli lo siamo per le nostre fragilità. La generazione dei millenial lo vive in maniera meno drammatica di come lo abbia vissuto la mia. Per loro era come un vecchio zio un po’ scalpestrato e, da questo punto di vista, il troppo è rimasto nell’immaginario di tutti noi. La generazione più antica l’ha infatti vissuto come un usurpatore che è arrivato per mettere in ordine il caos della politica.
Lei ha lavorato per diverse testate giornalistiche ed è diventato negli anni anche un personaggio televisivo. Com’è arrivata a raggiungere questi risultati? Cosa consiglia ai giovani?
Mantenere viva la curiosità. Io penso che la lettura su carta sia qualcosa che serva a non far morire questa grande risorsa che è il giornalismo e che è anche la memoria. Se si sa quello che è accaduto 10-15 anni fa, ha la possibilità di sorprendersi e meravigliarsi rispetto a chi vive schiacciato sull’attualità e sul presente. Il consiglio è quello di leggere i giornali, i libri, cose che stanno un po’ al di fuori.È chiaro che occorre tener d’occhio anche i social e i mezzi virtuali, ma il consiglio è quello di combinare tutte queste cose con le tradizionali pagine.