“Credo che dire una cosa significhi conservare la sua virtù e toglierle il suo spavento” F. Pessoa
“Il libro dell’inquietudine” è un capolavoro della letteratura del ‘900, di cui però è difficile identificare esattamente il genere di appartenenza. Questo perché non è un romanzo, né un saggio, ma una raccolta di pensieri e di riflessioni. Somiglia in modo vago a un’autobiografia, in cui a esprimersi non è Pessoa, il vero autore, bensì Bernando Soares. Gli eteronimi, infatti, sono fondamentali in Pessoa, perché rappresentano personalità inventate a cui lui si sentiva legato e tramite le quali mandava in giro pezzi di sé e della sua produzione. Immaginava di dividere la sua personalità in tanti personaggi immaginari (Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro de Camopos), e spesso firmava i suoi scritti con questi nomi, come se esistessero davvero e li potesse incontrare passeggiando per Lisbona.
Lisbona: è l’ambientazione, che risulta quasi secondaria nel corso della lettura, perché fa da sfondo alla vita di un uomo malinconico, complesso, riflessivo, in rapporti difficili con la realtà. Caratteristiche che non solo rimandano allo Zibaldone di Leopardi, ma che inducono a pensare alla scrittura come un mezzo per trovarsi. Invece, per Pessoa/Soares è esattamente il contrario.
“Per me scrivere è disprezzarmi; ma non posso smettere di scrivere. Scrivere è come la droga che odio e che prendo, il vizio che disprezzo e in cui vivo. Ci sono veleni necessari, […] Sì, scrivere significa perdermi.”
I temi trattati sono moltissimi: il sogno, la morte, il tedio, la vita, l’anima, il tempo. A parte qualche data, però, non ci è dato sapere quale fosse il vero ordine previsto da Pessoa, poiché l’opera è postuma.
“Guardando un cadavere, la morte mi sembra una partenza. Il cadavere mi dà l’impressione di un vestito smesso. Qualcuno se n’è andato e non ha avuto bisogno di portare con sé quell’unico vestito che indossava.”
La mancanza di un ordine cronologico non pesa nel corso della lettura, che certamente non è semplice. La stesura dei frammenti, perché di questo si tratta, occupa Pessoa per più di vent’anni: un periodo affatto breve, in cui matura la sua personalità e con lei s’innalza anche il livello delle riflessioni proposte. La bellezza dei suoi pensieri, però, è centrale. Inizialmente ci si scontra con un linguaggio che può sembrare ostico, ma che proseguendo in realtà dona sollievo: Pessoa trova le parole per descrivere quanto di più intimo e intenso ciascuno di noi abbia mai provato, senza riuscire a esprimerlo. Lui ci riesce, e si lascia decifrare attraverso le sensazioni e le intuizioni che la nostra interiorità coglie durante la lettura.
“Il libro dell’inquietudine” è un nucleo centrale della letteratura: sviscera l’anima umana e la rende eterna, un po’ più compresa, meno sola. È un libro non semplice, che va sorseggiato, assaggiato con brevi intervalli, ma il cui sapore difficilmente svanisce.
“Dire! Saper dire! Saper esistere attraverso la voce scritta e l’immagine intellettuale! Tutto questo è quanto vale la vita […]”
Recensione a cura di Marta Spadaro