ANIMA IN PAROLE

Farfalle imprigionate


Sentimenti gelidi che cadevano giù come neve;

arie ghiacciate ruotanti attorno a cuori deboli,

a cuori che non avevano la forza di rinascere, così come di amare.

Primavere tramontate davano spazio a inverni rinati,

inverni conoscitori di eternità solo in quei corpi portatori di emozioni,

solo in quegli sguardi portatori di anime.

Era ghiaccio, la Russia ottocentesca. Erano ghiaccio amori mai sbocciati, sorrisi forzati, treni colmi di sogni, di speranze, mentre si chiudevano occhi e si guardava un’altra vita, una vita dove Luna diventava Sole, e il ghiaccio si trasformava in calore. Era ghiaccio, la Russia aristocratica, in cui amare significava apparire, e matrimoni divenivano prigioni, e case divenivano inferni. L’amore esisteva in cuori sognanti treni che conducevano in rinate primavere, accanto a fiori sbocciati, accanto a fuochi mai scoperti ma voluti, accanto a chi riusciva a capire, a chi riusciva a danzare. Danzare mentre venti di calore ruotavano attorno a corpi risorti, attorno ad anime rinate, attorni a cuori che amavano ancora. Danzare mentre sguardi divenivano opportunità, mentre abbracci divenivano immensità, e allora amare significava rinascere, conoscersi, ritrovarsi. Ritrovare sentimenti sepolti in pensieri mai conosciuti davvero, mentre si usciva dalla bolla di cristallo che rinchiudeva corpi: divenire farfalla, divenire sé stessa, diventarlo danzando. Ed essere avvolti da teli infuocati, colmati di passione, colmati di vetro che rompeva ghiaccio, di vetro che rompeva vite intrappolate nel cosmo, vetro che mai si aveva avuto il coraggio di infrangere. Mai si aveva avuto il coraggio di urlare bisogni che andavano al di là di alzarsi la mattina ed essere intrappolata in una vita che non si conosceva; al di là di alzarsi la mattina e dover guardare negli occhi un uomo che non amava, i cui occhi erano ghiaccio, il cui cuore era Luna. E allora, doversi rifugiare nell’unica persona che dava un senso alla vita, in un fanciullo la cui esistenza era stata creata da lei. Ed amarlo anche, quel fanciullo..e capirlo, e volerlo. Mentre, sentimenti gelidi cadevano giù come neve, mentre lei sognava treni che conducevano verso la libertà. E quando uno sguardo divenne opportunità, il ghiaccio si sciolse, pronta ad affrontare ciò che non aveva mai creduto potesse accadere, pronta ad uscire da quella bolla di vetro e, infrangendolo, a divenire farfalla, ma farfalla che vola in cieli infuocati, con arie ruotanti attorno al Sole che incarnava sentimenti e passioni, attorno a cuori che amavano e si riconoscevano. E avere il coraggio di trasformare ghiacci ottocenteschi in anticonformismi tassellati di fuochi e calori, mentre treni si allontanavano da società ipocrite e giudiziose, mentre cervelli divenivano cuori e la ragione, amore.

E’ la storia di Anna Karenina, romanzo di Lev N. Tolstoj, ambientato nella Russia aristocratica ottocentesca. La protagonista è Anna, donna sposata senza amore con l’ufficiale governativo Karenin; ella, convocata a Mosca dal fratello Stiva, conosce nella capitale l’ufficiale Vronskij, di cui si innamora, corrisposta. Da quel primo sguardo, ha inizio così un’avventura che sfocerà poi in una vera e propria tragedia. Anna vive come in una bolla di cristallo, in una vita che non ama, con un uomo che non l’amerà mai e, sognando l’evasione, non ha la capacità di frenare impulsi che la porteranno a divenire una donna diversa. Tolstoj descrive minuziosamente il suo affannarsi e dibattersi per tentare una via d’uscita, fino ad esaurirsi e scivolare nell’autodistruzione. AleksejKarenin, marito di Anna, intelligente, colto, abile, onesto e rispettato da tutti, è tuttavia un uomo che la vita ha reso completamente anaffettivo e, dal momento in cui il tradimento di Anna viene svelato dalla donna stessa, egli diventa ancor più rinchiuso nella sua vita che in realtà vita non è. E’ un episodio che vorrebbe scacciare, allontanare al più presto, perché portatore di distruzione dei sani principi, del conformismo e del perbenismo in cui lui aveva sempre vissuto. Ma Anna diventa lottatrice per quei sentimenti che la vita le ha donato, e si lancia improvvisamente in una storia di passione, in cui l’amore trionfa e ha il potere di condurre a brividi che scuotono anime. Ella è capace di abbandonare tutto e tutti, e rifugiarsi in un luogo sconosciuto accanto a Vronskij; abbandona persino suo figlio Serëža, quando suo marito la minaccia di cancellare dalla sua vita il fanciullo in caso di ulteriore tradimento. E’ un amore che distrugge, quello tra Anna e Vronskji: esso conduce alla distruzione della società, della famiglia, di suo figlio Serëža, costretto a vivere senza la figura materna; conduce alla distruzione della propria immagine che era stata costruita in modo preciso, divenendo quasi maschera; e conduce soprattutto alla distruzione dei due amanti. Il loro amore diventa quasi pauroso e crudele, come tutte le passioni assolute, dove l’uno vuole inconsciamente impossessarsi dell’altro, oppure diventare sua preda. Una disperazione improvvisa avvolge così Anna e la costringe a torturarsi il cuore, e a distruggere la propria esistenza. Anna non può, non deve portare Vronskij con sé, ma lasciar distruggere la propria persona, abbandonando bisogni ed esigenze. Così, perseguitata da sé stessa, ella si getta sotto un treno nella piccola stazione di Obiràlovka e, in quel piccolo istante tra la vita e la morte, intravede una luce, una luce che forse noi non potremmo comprendere ma che riesce ad illuminare, poi, il cuore di Vronskji che, disperato dall’imminente morte della sua amata, si rifugia in Dio, portatore di sentimenti veri e saldi, sentimenti che non possono essere compresi dalla ragione, o da società ipocrite e giudiziose, o da conformismi creati come castelli, o da ghiacci che avvolgono corpi. E così ha inizio la sua salvezza, che è anche un po’ la salvezza di Anna.

Era ghiaccio, la Russia ottocentesca. Erano ghiaccio amori mai sbocciati, sorrisi forzati, treni colmi di sogni, di speranze, mentre si chiudevano occhi e si guardava un’altra vita, una vita dove Luna diventava Sole, e il ghiaccio si trasformava in calore. Era ghiaccio, la Russia aristocratica, in cui amare significava apparire, e matrimoni divenivano prigioni, e case divenivano inferni. Ma, nonostante tutto quel ghiaccio che avvolgeva corpi mai scaldati, nella Russia ottocentesca..

.. l’amore esisteva.

Esisteva in cuori sognanti treni che conducevano in rinate primavere, accanto a fiori sbocciati, accanto a fuochi mai scoperti ma voluti, accanto a chi riusciva a capire, a chi riusciva a danzare.

L’amore esisteva.

Esisteva in farfalle che volavano da vite intrappolate in cosmi, in carezze portatori di passioni che distruggevano la carne, che distruggevano l’anima, nel tuffarsi in esistenze sacrificate e anticonformiste.

L’amore esisteva.

Esisteva in Anna e Vronskij, amanti e primi conoscitori di primavere rinate, o di vetro infranto, o di treni partiti, o di amore divenuto luce. Luce che brilla, luce che acceca, luce che salva.

E allora, l’amore è esistito quando matrimoni divenivano prigioni, e case divenivano inferni. Lo si poteva vedere in qualsiasi momento, ogni qualvolta si infrangeva quella bolla di vetro ed uscivano donne. E non erano donne da disprezzare, ma farfalle che, per la prima volta, avevano scoperto che amare aveva un significato di gran lunga maggiore rispetto al semplice fatto di essere vivi. E allora si dovevano amarle, queste donne, e capirle, e apprezzarle, perché amore non è possesso, né prigione; amore non è autodistruzione. Amore è semplicemente amore. Ci sono state donne che, come Anna, hanno distrutto sé stesse piuttosto che distruggere chi non le capiva: erano donne portatrici di coraggio e forza, le cui anime ora brillano di quella luce che ha intravisto la protagonista del romanzo nell’attimo prima di morire.

E’ la luce che guardiamo ogni sera quando alziamo gli occhi al cielo… e quelle anime, fragili ma coraggiose, ci insegnano ancora oggi che per scorgere la luce, occorre scorgere l’amore. E creare così il compimento di un miracolo. 


Articolo realizzato da Stefania Meneghella

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Stefania Meneghella