Fabio Macagnino torna sulla scena musicale presentando il suo nuovo album Sangu: un disco, questo, che racconta in modo nitido la sua Locride (terra in provincia di Reggio Calabria). Il cantante ci ha così parlato della sua musica popolare e di quali effetti essa faccia sul mondo e sulle persone. Ci ha spiegato tutti i dettagli in questa intervista.
Com’è nato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai capito che sarebbe stata la tua strada?
L’ho capito non da molto tempo, intorno al 2011/2012 quando ho pubblicato il mio primo disco. Ho deciso di seguire questo percorso perché la musica mi ha scelto.
Parliamo del tuo nuovo album Sangu: dove nasce l’idea per questo progetto?
Nasce nella Locride, in provincia di Reggio Calabria. Da almeno 20 anni, qui c’è stata la riscoperta delle tradizioni e della rinascita della musica popolare calabrese che ha l’epicentro proprio nella Locride. Tanti anni fa ho iniziato a militare nei tanti gruppi musicali, ho fatto il mio percorso che è stato volto al rinnovo di questa musica popolare e al renderla più contemporanea. È il mio quinto album e mi ha permesso di attingere alle tradizioni per guardare al futuro.
Il tuo disco è sicuramente impregnato della cultura della Locride. Cosa rappresenta per te la Calabria e qual è l’influenza che ha avuto nella tua musica?
Prima di approcciarmi alla musica popolare, facevo il batterista rock e, quando ho conosciuto questo genere musicale, ho avuto una scossa. Quello che più mi ha interessato è il fatto che favoriva tantissimo la convivialità, e mi ha dato da subito questa possibilità. Crea quell’atmosfera conviviale che a me piace tanto: fa unire le persone di tutte le età e di varie estrazioni sociali.
Come ti sei approcciato a questo genere musicale? Chi sono stati i tuoi maestri musicali?
Non conoscevo per niente questo genere, dato che sono nato e cresciuto in Germania. L’adolescenza l’ho trascorsa lì e, in quel Paese, ho conosciuto dei musicisti locali. Ho iniziato a suonare la batteria e sono cresciuto ascoltando artisti mondiali come Pink Floyd e U2. All’epoca la musica calabrese non veniva molto valorizzata; noi musicisti più giovani abbiamo capito la sua essenza e abbiamo così iniziato a scrivere canzoni, a suonarla, a portarla nelle piazze. Non c’erano veri e propri gruppi, ma solo piccoli gruppi folkloristici. Dei musicisti locali della zona – come ad esempio Mimmo Cavallaro – ci hanno così indirizzato verso questa strada.
Come sta procedendo la promozione del disco? Qual è la reazione del pubblico?
Sono molto soddisfatto. Abbiamo fatto pochi concerti ma per il momento ho capito che c’è molto interesse. In questi 20 anni i concerti di musica tradizionale sono stati molti, ed è stata apprezzata soprattutto l’idea di innovarla e di combinare gli strumenti tradizionali con quelli contemporanei. È quindi arrivato il momento di vedere cosa può dire di nuovo questa musica: la presentazione del disco la faremo il 7 dicembre a Reggio Calabria.
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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Per adesso sto puntando tutto sulla promozione dell’album e sui concerti.