Emanuele Pettener ha aperto le porte delle librerie nazionali pubblicando il suo nuovo romanzo, dal titolo ‘Giovani ci siamo amati senza saperlo‘ (Arkadia Edizioni). Una storia, questa da lui raccontata, che riecheggia la spensieratezza e la semplicità di una gioventù risalente agli anni ’90. Una gioventù fatta di svaghi, musica ma anche mille avventure che hanno rappresentato – nel corso del tempo – numerose emozioni per le generazioni successive. Una gioventù che ha costruito ricordi su ricordi e che è – pian piano – diventata un periodo della vita troppo distante, ma comunque vicino ad ogni nostro sentimento. Venezia ne fa da sfondo e riporta alla mente tutta la magia e la bellezza di un luogo paradisiaco come quello delle lagune, delle gondole, di tutto ciò che non è sul cemento. E’ viaggio continuo, il libro di Pettener: è un viaggio continuo nelle sorti dell’esistenza, nel passato, nel potere dell’amicizia, nell’amore che sboccia senza fare male. E’ un viaggio continuo verso tutto ciò che c’è di più bello: verso il tempo e lo spazio, a volte anche verso l’eternità.
Com’è nato il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?
Da bambino. Il tema scritto del giovedì mi procurava un divertimento profondo. E la mia cara maestra apprezzava la mia scrittura fiorita, lusingandomi. Non l’ho mai considerata una strada – solo gioia e vanità. Ovvero un modo per comporre, giocare, creare forme, e allo stesso tempo appagare uno degli istinti umani di base: il desiderio di essere ammirato.
Parliamo del tuo ultimo libro Giovani ci siamo amati senza saperlo: dove nasce l’idea per questo romanzo?
Per me un romanzo, solitamente, nasce da uno stato d’animo: un’emozione informe alla quale smusso gli angoli attraverso la ragione e che mi attrae al punto da ispirarmi e farne il perno centrale di un’architettura. Nell’estate 2020 il mondo era oppresso dall’emergere di questo virus e io non potevo tornare in Italia: avevo voglia di leggerezza totale, di solarità, di giovinezza, di Venezia.
Si parla di una gioventù non attuale, ma comunque fresca e significativa. Cosa rappresenta per te la “gioventù di oggi”? Quanto le nuove generazioni sono effettivamente cambiate rispetto a quelle che vivevano negli anni ’90?
Frequento ventenni quotidianamente grazie al mio lavoro. Mi piacciono moltissimo. Sono meno presuntuosi di quanto fossi io a quella età. L’unico problema è la dipendenza da quegli orrendi aggeggi elettronici che impediscono loro di approfondire l’immaginazione, rinsaldare la memoria, appropriarsi del proprio tempo, imparare a guardare prima di fotografare, godersi incendiari amori platonici fatti unicamente di sguardi.
La storia è ambientata nella magica Venezia, una città che si è sempre distinta per il suo originale fascino. Qual è il motivo per cui hai deciso di far vivere i tuoi personaggi in questo luogo?
Venezia è metafora perfetta della giovinezza: meravigliosa, sensuale, imprevedibile, superba, complicata, umorale, teatrale – e Venezia è un teatro.
I protagonisti sono quattro ragazzi ventenni: quanto c’è di te in loro e cosa ti hanno lasciato loro più di tutto?
I personaggi non mi lasciano nulla, che io sappia. A Ema, il narratore, ho prestato sicuramente qualcosa al di là del nome. Ecco per esempio l’espressione di un sentimento che di certo mi appartiene: “ho sempre avvertito diffidenza istintiva e irritazione per la retorica proletaria e il sospiro teatrale di chi, sprofondato in divani Biedermeier e ingozzandosi di canapè, s’indigna per la fame nel mondo”.
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Ti sei trasferito negli Stati Uniti e oggi lavori nella Florida Atlantic University. Come definiresti il mondo letterario americano? Hai riscontrato delle differenze rispetto a quello italiano?
Del mondo editoriale americano, come del resto di quello italiano, so poco, pur essendo orgogliosamente parte del “board” di una bellissima casa editrice newyorkese, Bordighera Press. È evidente l’abbondanza di riviste letterarie dove ci si può fare le ossa e magari guadagnare qualche soldino; e di agenti letterari, senza i quali, si dice, in America non s’arriva da nessuna parte.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Oh, son pieno di manoscritti e idee balzane! Vedi, per molti anni non ho pubblicato nulla ma ho continuato a scrivere. Scrivere mi piace: è sempre una sfida. E sognare di scrivere mi piace ancora di più. Sto ultimando una guida narrativa al South Florida. E ho uno scandaloso romanzone nel cassetto, ma specie in questi tempi vittoriani mi sembra impubblicabile. E spero d’aver presto un paio di libri miei tradotti in inglese. Venir tradotto, per chiudere tornando graziosamente al principio della nostra conversazione, mi lusinga davvero molto.
Intervista a cura di Stefania Meneghella