Emanuele Dabbono ha alle spalle numerose esperienze artistiche, collaborazioni professionali, incontri che gli hanno cambiato la vita. Non si può ad esempio ignorare il suo lavoro – che dura ormai da anni – con il grande Tiziano Ferro, a cui ha scritto e co-scritto molte canzoni. Dabbono torna adesso sulla scena musicale italiana con il nuovo album ‘Buona strada’ che – prodotto dallo stesso Ferro – racconta la sua, di strada, ma soprattutto la sua storia. Ce ne ha parlato in questa intervista.
Alle spalle hai numerosi riconoscimenti musicali, ma quando è nata questa fiammella per la musica? Quando hai scoperto che sarebbe stata la tua strada?
E’ nata moltissimo tempo fa. Ricordo che a scuola un professore di musica portò delle chitarre e si accorse che avevo l’orecchio assoluto. Questo mi portò grande gioia, ed è stata sicuramente una grande illuminazione per me. Ho pensato che sarebbe stata la mia strada nel 2005, quando ancora non avevo incontrato Tiziano. Partecipai infatti a un Festival in Piazza Duomo e fu davvero qualcosa di surreale: nell’arco di 12 ore, ci fu una scintilla di popolarità.
Parliamo del tuo nuovo album Buona strada: dove nasce l’idea per questo progetto?
Nasce in un posto assurdo che si chiama Cretto di Burri in Sicilia. Molto tempo fa, uno scultore decise infatti di utilizzare i resti per creare un’opera d’arte: mantenne il crocevia delle strade e – con una colata di cemento bianco – costruì una scultura bellissima per ricordare le vittime del terremoto. Quando sono arrivato in Sicilia, ho visto questo posto e ho sentito il bisogno di raccontare la mia strada interiore. Mentre camminavo, mi è infatti venuto in mente che la mia era una storia da raccontare ed è così nato l’album.
Il disco è prodotto da Tiziano Ferro, con cui collabori ormai da molti anni come autore. Com’è nato il vostro incontro e cosa ti ha insegnato lui professionalmente parlando?
È nato tanti anni fa, ci siamo incontrati la prima volta all’Accademia di Sanremo. Io ero finalista, e ci vedemmo durante la finale di X Factor: lui era lì perché aveva scritto la canzone di Giusy Ferreri. Mi fece i complimenti e mi disse che mi avrebbe seguito. Mi ha insegnato ad aver fiducia nei testi, nella mia voce e soprattutto nella tenerezza. Pensavo che non fosse tempo per essere persone dolci e genuine, ma lui mi ha fatto capire che questa parte di me poteva essere utile per fare centro. D’altronde, io e lui ci assomigliamo in questo lato.
Da questo album hai fatto uscire il singolo Cerezo: è una lettera a tuo padre che parte dalla vostra passione per il calcio. Cos’ha rappresentato per te il calcio e cosa rappresenta oggi?
La canzone parla del mio papà: è una lettera a mio padre e ho usato la metafora del calcio perché lui non riusciva a parlare con me di niente. Quando segnava la Sampdoria, io venivo abbracciato da lui. In quei momenti lì, trovava il coraggio di concedermi quei gesti e quegli abbracci. Quando io ero ragazzo, non c’era il dialogo ed era molto più uno scontro tra noi due.
Ormai da molti anni, collabori con molti artisti nazionali: c’è un ricordo, tra quelli da te collezionati, che ti è particolarmente rimasto nel cuore?
Ne avrei parecchi, ma sicuramente posso ricordare un momento vissuto con Laura Pausini. Durante i primi giorni in cui partecipai ad X Factor, Simona Ventura – che era la mia giudice – ci portò in albergo e ci trovammo davanti proprio la Pausini. Parlammo per un’ora, e mi mise in guardia su vari aspetti: fu un’ora bellissima.
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Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Usciranno almeno altre due canzoni tratte dall’album: uno avrà come videoclip un cartone in slowmotion girato da Giulia Belmonte. A gennaio ci saranno invece delle anteprime live, e porterò la mia musica un po’ in giro.