Il seguente testo è stato scritto durante il Lockdown 2020: la sua pubblicazione ha l’obiettivo di ricordare ogni sensazione provata da tutti durante il periodo pandemico. La voglia di libertà, il desiderio di fuggire, il surrealismo in cui eravamo stati inconsapevolmente catapultati.
E se mi chiedessero dove stiano finendo tutti questi sentimenti che mi ingoiano la testa già di per sé vuota?
E se mi chiedessero in quale voragine stiano andando tutti i pensieri che mi mangiano il cervello?
Non so cosa risponderei, se me lo chiedessero. Però sicuramente chiuderei gli occhi, li serrerei forte e direi: “Libertà”. Una semplice parola, per indicare quello che sto provando in questo periodo.
La libertà sembra ormai avere il sapore della sconfitta, in un mondo in cui non si riesce più a diventare chi vogliamo essere.
La libertà sembra essere ritornata in noi, ma solo in quei brevi istanti di serenità. Brevi… brevissimi. Poi di nuovo, il mondo ci mangia e noi cadiamo nel suo stomaco. Veniamo ingoiati in modo quasi violento, e non riusciamo ad uscirne fuori.
A me, la libertà è sempre piaciuta.
Ricordo che mi stendevo sul prato dei miei sogni e lì restavo: era bella, quella libertà di ragazza. La musica nella testa, e tutto il resto fuori. E per tutto il resto intendo: le paure che mi ero costruita, la vita che avevo sempre sognato, i timori di una fanciulla fragile ma comunque forte.
Adesso, invece, di libertà non ne vedo. Esistiamo solo per poggiare i nostri piedi sul pavimento, guardarci allo specchio, e dire: “Eccomi! Sono vivo anche oggi!”.
In realtà noi, vivi, non lo siamo mai. Siamo inghiottiti da questa incessante voglia di fuggire via. Le mura si trasformano in polvere, e cadono sui nostri corpi. Dalla finestra, vediamo un mondo che non ci è mai piaciuto.
E la libertà – quella desiderata, amata, voluta fortemente – vola via con il vento. Gli uccelli la accompagnano nel viaggio di una vita, e la restituiscono a un cielo che non abbiamo mai avuto la forza di conoscere. La libertà, appunto.
Di ritornare.
In quell’azzurro che rappresenta i nostri sogni e il nostro guardarci allo specchio sussurrando: “Sono vivo anche oggi!”. Una vita diversa, però. Fatta di libertà.
Non siamo liberi. E forse tutta questa incessante corsa dovrebbe avere un nome. C’è chi la chiama “guerra”, chi invece “morte” e chi la chiama “esistenza perduta”. Io non la chiamo mai, questa nuova vita. Sono come sospesa sul filo dell’incertezza e, nell’attesa che ci si perda in quello che vorremmo ritrovare, non abbiamo la forza di cadere giù. C’è chi è caduto, e si è fatto molto male. Chi ha perso le proprie gambe, e chi addirittura l’anima.
Io continuo a restare sospesa, ad occhi chiusi. Sogno tante cose mentre attendo: sogno soprattutto la Libertà. Correre su un prato verde e ritornare a sorridere; spesso anche ritornare ad amare. Come si faceva un tempo, quando eravamo ancora noi.
Adesso, mi sembra di aver perso anche un’identità: un volto che fatica ad essere nostro. Mi sembra di aver perso la capacità di correre, di andare contro ad un vento che mi comprende, e di essere illuminata da un raggio di Sole. Ce n’era uno in particolare a cui ero molto legata: si discostava dalla sua casa solare e raggiungeva la mia pelle. Era più luminoso degli altri, quel raggio, e io ci parlavo spesso. Quando arrivava sera, invece, mi portava lassù e allora incontravo le stelle. Anche lì, ce n’era una in particolare che a me piaceva tanto: portava il mio nome, ed eravamo diventate amiche. Mano nella mano, sempre insieme. Vivere sempre insieme.
Se mi chiedessero cosa fosse per me la libertà, risponderei che è proprio quell’immagine che spesso mi compare tra i ricordi: il poter raggiungere quella stella, che è la mia stella. Poterla toccare con gli occhi, assaporarla con il gusto, e poi udire i suoi suoni migliori e lasciarsi trasportare dalla sua voce. Penso che risponderei così: “La libertà per me è questa: poter raggiungere il Cielo e poi ritornare sulla Terra, senza che nessuno ti dica come”.
Questo non è più possibile. Il cielo è stato quasi sbarrato ed è impossibile da raggiungere. E le stelle… le stelle restano nella loro casa, senza mai toccare questa Terra qui, senza mai toccare noi.
Così siamo umani, solo umani e basta. E ci tocca dover fare i conti con tutto quello che la nostra pelle comporta: le paure, il tempo, spesso anche la morte. Siamo diventati umani. Anche io lo sono ormai, e la libertà è solo un miraggio lontano.
Mi sento sola, spesso…
Mi sento sola come non mai.
Nonostante tutto, e nonostante accanto a me compaia quasi sempre un mostriciattolo rosso che tenta di entrare in tutti i corpi che incontra. Che potere ha quel verme così minuscolo?
Può un essere così piccolo scaturire un danno così grande?
Può la sua anima così invisibile mostrarsi a tutto il mondo per il mostro che è?
Io non lo so… Non so se possa veramente fare tutto quello che sta facendo.
Ma mi sento sola… ed anche la mia libertà ne è stanca. Quando finirà tutto questo? Quando potremo vedere le stelle?
Non ci sono risposte, ormai solo tante domande che brillano nel cielo come fossero, appunto, stelle.
Dalla finestra della mia casa, di giorno, il Sole lo vedo bene. Quel raggio per me importante si stacca dalla sua abitazione e vuole raggiungermi anche lui. Si tuffa a capofitto verso di me, ma vi trova solo un enorme vetro. Sbatte in maniera incessante contro di lui e io, dall’altra parte, piango.
Le mani sono posate delicatamente sulla finestra e, al di là del vetro, il raggio cerca di accarezzarmi a distanza. Non so se riuscirà mai a toccare nuovamente la mia pelle… ma intanto piango.
Mi sento sola, sola come non mai.
Così accenno un sorriso e lo saluto. Chiudo gli occhi e con la mente rompo il vetro. “Eccomi”, gli dico, “sono di nuovo con te, Raggio”.
“Non lasciarmi mai più”, mi risponde lui.
E siamo di nuovo insieme.
Liberi.
Felici.
Come non lo siamo mai stati.
Testo a cura di Stefania Meneghella