Lo scrittore Diego Zandel torna in libreria con il nuovo romanzo Eredità Colpevole (Voland Editore), in uscita il 10 febbraio 2023. L’autore – figlio di profughi fiumani – racconta la sua storia di vita entrando nei panni di Guido Lednaz, un giornalista che si interessa all’omicidio del giudice La Spina (che fu rivendicato da un gruppo di estrema destra per il contributo dell’uomo all’assoluzione del criminale di guerra Titino JosipStrčić). Ha inizio così una lunga investigazione, che si tramuta in viaggio verso la verità. Zandel ci ha incontrati e ci ha raccontato qualcosa in più sulla sua storia e su come sia nata l’intera struttura del suo libro.
Com’è nato il tuo primo approccio alla scrittura? Quando hai capito che sarebbe stata la tua strada?
Ho sempre avuto la passione per la scrittura; ricordo che a 10 anni mi sono ammalato di broncopolmonite e sono stato a letto. Ho scritto quello che io chiamo romanzo, e ho iniziato anche a scrivere poesie. Una è stata pubblicata su un giornale: quando l’ho vista pubblicata è iniziata in me la volontà di fare lo scrittore. Mi sono innamorato di Hemingway, della sua vita avventurosa, e ho così voluto seguire le sue orme.
Parliamo del tuo nuovo libro Eredità colpevole: dove nasce l’idea per questo progetto?
Io sono figlio di profughi: nel 1997 c’è stato un processo con a capo la polizia politica di Tito. Il 3 maggio 1945 i partigiani sono entrati a Fiume e hanno ucciso tre capi autonomisti. Loro erano contrari all’ammissione di Fiume nella Jugoslavia e, nel 1997, i figli delle vittime l’hanno accusato di omicidio dei genitori. E’ nato un processo che è durato sette anni, dal 1997 al 2004, e che è finito con l’accusa di omicidio aggravato. I tribunali non hanno la giurisdizione per procedere all’arresto, in quanto Fiume è considerato territorio straniero dal momento in cui è stato ceduto alla Jugoslavia. E’ stata insomma una sentenza pilatesca. Da lì nasce il mio romanzo, che si fonda sulla domanda “Cosa succederebbe se…?“. Nasce così il giallo, che si basa su tutto il processo andando indietro nella storia. Questa indagine la fa un giornalista, che è il protagonista del libro.
Il protagonista è appunto Guido Lednaz, un giornalista e scrittore che è figlio di profughi romani. Quanto c’è di te in lui e cosa ti ha lasciato più di tutto questo personaggio?
Tutta la parte biografica del personaggio è interamente autobiografica, perché lo faccio nascere dove sono nato io. Mio padre ha fatto il partigiano di Tito nella Quarta Armata, e ho scoperto che gli jugoslavi non combattevano più solo contro i nazifascisti ma il loro maggiore interesse era ormai annettere la Venezia Giulia. Lui se n’è accorto quando sono arrivati a Trieste e hanno cercato di raggiungere la città prima degli angloamericani. Trieste era all’epoca occupata dai tedeschi, e mio padre aveva 18 anni. Comprese che lo stavano prendendo in giro: ha così disertato Trieste ed è tornato a casa a Fiume. Nel 1947 è scappato con mia madre, e loro due sono riusciti ad arrivare a Trieste senza documenti e con una sola borsa. Hanno chiesto asilo politico, come altri 300 mila italiani. Il governo ha infatti allestito 109 campi profughi: il primo era a Udine, e poi a Servignano dove sono nato io. Tra pochi giorni mi daranno infatti la cittadinanza onoraria di Servignano.
Proprio Guido viene a contatto, mediante le sue investigazioni, con una pagina terribile della storia, cioè quella della delle Foibe e dell’esodo. Come pensi che si possa tenere viva la memoria di quanto è accaduto?
Io porto la mia memoria e quella dei miei genitori. Mi ha accudito la nonna paterna, perché mia mamma si ammalò di tubercolosi. Noi che siamo nati dopo l’esodo siamo ancora la testimonianza di quanto è accaduto, e siamo ancora scrittori di frontiera. Le mie sono memorie che vengono vissute attraverso i personaggi che metto in campo e le storie che racconto. Ne I Testimoni Muti, ho raccontato ad esempio la vita che c’era nel campo profughi di Semignano. Ne Il Fratello Greco parlo della tragedia di Koss, durante la quale furono uccisi 103 ufficiali dai tedeschi e gli altri soldati riuscirono a scappare.
Come ti sei approcciato a questo genere letterario? Chi sono stati i tuoi maestri letterari?
Un mio grande punto di riferimento è stato Eric Ambler: di lui lessi L’Eredità Schirmer e mi piacque tantissimo. Quando sono tornato in Italia, sono così andato a cercare tutti i suoi romanzi. Quando ho iniziato a collaborare con Mondadori, affidavano sempre a me la prefazione dei suoi libri. Con lui ho scoperto una nuova bellezza che è il mistero, l’avventura, la suspence sullo sfondo storico. Ambler ha sempre fatto romanzi legati a periodi storici, e questo aspetto è rimasto in me. Per me è stato inoltre importantissimo Hemingway.
Quali sono i tuoi futuri progetti? Puoi anticiparci qualcosa?
Sto scrivendo un nuovo romanzo, e sono quasi alla fine. La storia sarà ambientata nel 1997, quando Telecom Italia acquistò Telekom Serbia. Lì c’è tutta una storia di intrighi, mediazioni, soldi, percentuale. C’è stata anche una commissione di inchiesta che è durata molti anni.