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Da Mare Fuori alla realtà, intervista esclusiva (foto ig @marefuori) kosmomagazine.it
“Privati della loro libertà nel momento più bello della loro vita”, si conclude così l’intervista al Comandante dell’IPM di Bari.
Antonietta Maviella vive attorniata di giovani alla costante ricerca del proprio grado di felicità, ma sopratutto dei loro sogni, che ancora non hanno trovato una casa. Del resto, lavorare con anime caotiche è una missione ogni giorno, soprattutto quando queste vite così giovani sono costrette – per un errore commesso – a restare dietro le sbarre, privandosi di tutto quello che, alla loro età, è chiamato vita. Spesso non si trovano parole per esprimere i sentimenti che si provano nel guardare loro negli occhi, ma soprattutto per capire l’importanza di un lavoro che ti permette ogni giorno di toccare con mano – e di accarezzare – le loro paure e i loro pensieri più intimi.
Il Comandante dell’IPM è comparsa nella docuserie Oltre il Cielo, prodotta dalla Rai e ambientata nelle carceri Beccaria di Milano e Fornelli di Bari e nella comunità Kayros. Una realtà, quella da lei descritta, che viene evidenziata anche nella fiction Rai Mare Fuori, presto in onda con una nuovissima stagione.
“È difficile spiegare cos’è un reato a un bambino”, lei esordisce così nella quarta puntata della docuserie Oltre il Cielo. Si riferisce ai suoi figli e al modo in cui spiega loro il lavoro che fa. Come spiegherebbe invece, a un bambino, l’ambiente del carcere?
Partirei da un discorso che è riconducibile a quella che è la buona azione e la cattiva azione da parte di un essere umano. Quando si parla di ragazzini, è più facile incorrere nell’errore. Partirei dagli oggetti basilari del bene e del male: quando si commettono delle cattive azioni, si va in un luogo specifico. Parliamo di un posto in cui chi è molto giovane subisce la privazione della libertà, che è una condizione molto più sentita per i giovanissimi. Questo viene fatto all’interno di un luogo in cui non manca la cura della persona e del soggetto che vi entra, anche perché si tengono conto delle esigenze primarie, come l’istruzione.
All’interno dell’IPM abbiamo corsi di scuola elementare – rivolti soprattutto a ragazzi extracomunitari che necessitano di un percorso di alfabetizzazione – e anche corsi di scuola media. Laddove ci siano percorsi attivi in ambito di scuole superiori, si volge l’attenzione anche a questo tipo di formazione, proprio perché è importante tener conto di questo aspetto primario. Si guardano inoltre i bisogni legati alla famiglia o alle attività legate allo sport.
Ragazzi che, da piccolissimi, fanno reati stanno diventando sempre più frequenti in Italia. Come società, in cosa abbiamo sbagliato? Secondo lei qual è la ragione dell’aumento della criminalità minorile nel nostro Paese?
Ora più che mai, dovremmo essere più attenti noi adulti ad intercettare i bisogni dei ragazzi. I giovani sono spesso attorniati dal mondo virtuale e dai social, e proprio questo li allontana dall’affetto familiare e relazionale. Tutto ciò li porta ad allontanarsi sempre di più dalla realtà e ad avvicinarsi invece alla violenza. I dati registrano casi di maggiore violenza all’esterno, e che si accompagna il più delle volte alla commissione dei reati. I ragazzi parlano poco e agiscono molto, usando soprattutto la violenza. Hanno bisogno di essere ascoltati per davvero, vanno intercettati e seguiti dalle famiglia, ma anche dalla società esterna. Rimando questa situazione a una responsabilità degli adulti, perché i ragazzi hanno bisogno di sostegno.
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Difatto noi abbiamo i mezzi necessari e idonei a formare questi giovani, perché spesso la formazione va fatta a chi è adulto. Manca in realtà lo strumento per fare questo, e i ragazzi si trovano spesso a crescere da soli. Per questo si affacciano a condizioni che sono facilmente raggiungibili, proprio perché hanno dei bisogni legati alla loro età.
Dietro ogni reato, c’è una storia ma soprattutto una persona con un passato difficile alle spalle. E’ difficile per lei essere a contatto con il dolore di ragazzi così giovani?
Non è facile, perché riesco sempre a pensare a ragazzi che incontriamo ogni giorno fuori. Per loro è importante impegnarsi per riconquistare la libertà perduta, e per me è qualcosa che mi fa mancare il fiato. Non si può pensare di vederli all’interno di un istituto minorile: non è facile ma questa cosa mi dà forza, perché non mi fa perdere la speranza affinché loro possano ragionare. Il mio lavoro si basa anche sulla possibilità di farli pensare in base al reato che hanno commesso.
Il dolore nella docuserie Rai Oltre il cielo
Devono portare la loro esperienza di vita affinché questo percorso lo si abbandoni completamente e si possa pensare di cambiare, dato che il legislatore ha pensato alla loro età e ha ragionato favorendo una norma che consente l’immissione nella libertà completamente rivisitata, proprio perché abbiamo la “messa in prova“. Così il reato si estingue e c’è la possibilità per loro di tornare nella società in un modo diverso.
Nel corso della docuserie Oltre il cielo di Rai Play, uno dei ragazzi dice che quello sbaglio lo rifarebbe se sentisse di nuovo il bisogno di farlo e se non avesse altre scelte. Come si risponde a questa frase?
Una risposta del genere spiazza, però va valutata anche la necessità di un ragazzo che avrebbe potuto dire il contrario dinnanzi a una telecamera, ma che ha voluto essere sé stesso. In lui c’è una capacità di ragionamento, che è vincolata in maniera sbagliata, perché spesso quando i ragazzi rispondono in questo modo mi viene da dire che è legato a delle convinzioni che si sono creati. Noi adulti dobbiamo fornire degli strumenti, affinché queste condizioni cambino. Loro si sono create delle idee, che devono essere ricredute da parte nostra.
Il mondo del carcere minorile è stato raccontato dettagliatamente nella fiction Rai Mare Fuori. Quanto c’è di vero in quello che si racconta nella serie?
Nella realtà non è prevista innanzitutto la possibilità di avere carceri misti (ragazzi e ragazze). Si sta parlando di una serie romanzata, ma per tutto il resto è chiaro che le modalità sono vere. Anche nella fiction è stato curato l’aspetto umano, che ci deve essere quando si parla di ragazzi. Si deve in realtà tenere conto dei ruoli delle varie figure che intervengono, appartenenti alla polizia penitenziaria, all’area educativa e alla direzione. Loro devono avere bene in mente che hanno di fronte il sistema Stato, e questa è la difficoltà che si può registrare quando si lavora all’interno di questi luoghi. Dobbiamo infatti tener conto che di fronte a noi c’è un soggetto minore. La volontà della Rai è stata sicuramente quella di dare l’altro aspetto della medaglia, cioè quella che è la vita reale: immaginarci la storia, ma anche avere dall’altro lato la realtà. In ogni caso parliamo di ragazzi che sono privati della libertà nel momento più bello della loro vita.