Roma, 26 febbraio 2025 – Dopo la chiusura della Mostra del Cinema di Venezia, il 6 marzo approda nelle sale cinematografiche “L’orto americano“, l’ultima opera del regista Pupi Avati, ispirata al suo romanzo omonimo. Questo film, caratterizzato da un’atmosfera gotica, si svolge durante il periodo della Liberazione, intrecciando le storie dell’Emilia Romagna, terra natale del regista, con il contesto del Midwest americano. La trama ruota attorno a un giovane aspirante scrittore, che si innamora a prima vista di un’ausiliaria americana. Anni dopo, negli Stati Uniti, il protagonista si imbatte in una donna in cerca disperata della figlia scomparsa in Italia. Strane urla provenienti da un orto vicino alla casa di un’anziana donna portano il ragazzo a una scoperta inquietante, spingendolo a credere che la sua amata sia la giovane scomparsa. Questa convinzione lo porterà a un viaggio in Italia, dove affronterà una realtà ben più disturbante di quanto avesse immaginato.
Pupi Avati descrive “L’orto americano” come un film “pieno di cinema“, sottolineando l’importanza del bianco e nero nella sua narrazione. Il regista ha rivelato di non aver mai esplorato a fondo questo stile nella sua carriera, ma di aver scoperto quanto il bianco e nero possa rappresentare la vera essenza del cinema. “Ho visto la scena nella sua realtà e, quando ho guardato il monitor, ho capito che il bianco e nero era cinema“, ha affermato Avati. Questa scelta stilistica crea una distanza tra realtà e irrealtà, catturando una dimensione unica che affascina il pubblico. Avati ha anche espresso la sua difficoltà nel tornare a girare film a colori, evidenziando come il bianco e nero riesca a evocare emozioni più profonde.
Il film si presenta come un horror gotico atipico, capace di raccontare l’Italia devastata dal Neorealismo di Rossellini e il relativo benessere degli Stati Uniti negli anni ’40. Il protagonista, interpretato da Filippo Scotti, intraprende un viaggio verso l’America con l’intento di scrivere il suo romanzo, portando con sé le fotografie dei parenti defunti, che diventano fonte di ispirazione e dialogo interiore.
Pupi Avati ha condiviso che “L’orto americano” rappresenta una delle sue autobiografie più intime. “Non l’avevo mai raccontata a nessuno”, ha dichiarato. Ogni notte, prima di addormentarsi, il regista legge un elenco di nomi di amici e parenti scomparsi, un elenco che continua a crescere. “Essere riconoscenti nei confronti di coloro che ci hanno aiutato a vivere è un dovere”, ha aggiunto. Questo atto di memoria diventa un rituale che lo accompagna e gli offre un senso di compagnia, quasi come un effetto placebo.
Filippo Scotti, parlando del suo personaggio, ha evidenziato come il protagonista si confronti con un passato ombroso, ma abbia anche la capacità di raccogliere e valorizzare le storie degli altri. Questo aspetto diventa fondamentale per lo sviluppo della trama, poiché il giovane protagonista riesce a dare voce a chi spesso rimane invisibile, portando alla luce le esperienze di persone emarginate. La narrazione si arricchisce così di un forte valore umano, rendendo “L’orto americano” un’opera che non solo intrattiene, ma invita anche a riflessioni più profonde sulle relazioni e sulle memorie condivise.