Disabilità e sport: due mondi che ormai camminano in parallelo, e che sembra anche difficile separare. Tutto questo per merito di persone che, con le loro difficoltà, sono riuscite a raggiungere i loro obiettivi più lontani e a realizzare i loro sogni più trasparenti.
E’ quello che ha fatto Arturo Mariani, nato nel 1993 e originario di Roma. Nella sua mente, la parola ‘impossibile‘ non esiste e lo ha dimostrato più volte nell’arco della sua vita. Determinato come pochi e sorridente dinnanzi anche ai momenti più tristi, Arturo non è solo un esempio, ma è soprattutto l’emblema della forza e del coraggio. Vive con una gamba, e la sua più grande passione è il calcio: soprattutto però, Arturo fa goal non solo in campo ma anche nella vita. Lo dimostra la sua attività di coaching e di scrittura, che gli permette di donare agli altri tutto il mondo che ha dentro.
Ce lo ha spiegato in questa intervista, utilizzando sempre quell’umiltà e quel sorriso che lo contraddistinguono.
Iniziamo questa intervista con una domanda semplicissima: chi è Arturo nella vita di tutti i giorni?
Arturo è un ragazzo pensante, che pensa molto e sogna molto. Difficilmente, si ferma. E’ sempre a duemila, con tanti progetti in corso. Allo stesso tempo, gli piace anche riposare, stare in famiglia, con gli amici, avvolto da un senso di calore. Penso che questa sia la cosa più importante. Per deformazione professionale, mi definisco inoltre un coach: una persona molto attenta e sensibile nei confronti dell’altro.
Sei diventato un esempio per tutti, soprattutto quando si parla di sport e disabilità. C’è stato un momento particolare nel quale hai deciso di esserlo, cioè di portare un esempio per tutti coloro che si sentono spesso insoddisfatti di quello che sono?
Sono molto orgoglioso di lasciare questo messaggio di vita agli altri. C’è stato un momento in particolare, ovvero quando sono entrato ufficialmente a far parte della Nazionale Italiana di Calcio Amputati, ma anche quando ho abbandonato la protesi e ho iniziato a fare sport così com’ero (con la mia unica gamba e le mie stampelle). Entrando nella Nazionale, mi sono reso conto che un gesto in campo vale più di mille parole. Non per questo, ho evitato di comunicare in vari modi differenti da quelli sportivi. Ho cercato di trasmettere un messaggio: in quegli anni, ho anche iniziato a scrivere e a condividere quel messaggio di vita, di gioia e di speranza.
Parliamo appunto di sport e dell’incredibile forza che trasmetti a molte persone. Secondo te, dove nasce l’impulso ad essere uno sportivo e cosa ti trasmette lo sport quando lo pratichi?
Essere uno sportivo è stato qualcosa di abbastanza naturale. I primi passi con la protesi erano sempre accompagnati con il pallone; ero un bambino molto vivace, amavo correre, fare sport, sfidare me stesso e gli altri. E’ questa la particolarità che ho sempre avuto: lo sport è sicuramente una metafora della vita. Tutte le sfide che ci sono in campo le si ritrovano nella vita: lo sport ti insegna sempre qualcosa. Per me oggi giocare a calcio è tornare bambino. Quel bambino ha tanto da dire, ed è questo l’insegnamento più grande del mondo. Un insegnamento di resilienza, di combattere, dare tutto, andare oltre il limite. A volte, ci abbattiamo per le stupidaggini e siamo concentrati a pensare a cose di poco conto. Il nostro focus viene spesso rubato da tutto quello che ci circonda e che purtroppo oggi gira anche troppo veloce. Lo sport ci aiuta anche a restare focalizzati e concentrati.
Qual è il migliore consiglio che daresti a tutti coloro che si trovano in una condizione di disabilità e non riescono ancora a trovare il coraggio di andare avanti?
La disabilità è sicuramente un fattore che tutti, in un modo o nell’altro, vivono nella propria vita (a prescindere da chi è “disabile certificato” a livello fisico o mentale). Per la persona che vive con una disabilità, il mio consiglio è quello di mettere l’attenzione su quello che abbiamo, sulle nostre possibilità. Dico sempre che, finché ho ragionato come “Arturo senza una gamba”, vedevo solo ciò che mancava. Scoprendo “Arturo con una gamba sola”, ho invece visto un’altra realtà. Ho compreso che, dalle difficoltà, si può scoprire una propria opportunità di vita. Fare il passo, guardare oltre, sognare sempre. Ma muovere i piccoli passi: il primo è determinante.
Hai scritto ben sei libri, tra cui l’ultimo “Col piede giusto”. Qual è il messaggio principale che hai voluto lasciare attraverso queste pagine?
Ogni libro racconta una fase di vita che ho vissuto: soprattutto il primo è stato una liberazione, perché ho sentito il bisogno di trasmettere agli altri la mia storia (ricca di significati). Nel secondo, ho invece raccontato storie di persone che hanno vissuto quel momento e che sono riusciti a cambiare. L’ultimo libro è un vero e proprio manuale, utile per affrontare la vita a 360°, con strumenti come la programmazione neurolinguistica e il coaching. Questi aiutano centinaia di persone a trasformare i propri risultati e ad ottenere traguardi pazzeschi. E’ importante trasformare una difficoltà in una possibilità. Partendo dal limite: oltre il limite, c’è sempre una grande vittoria da conquistare.
Hai rivelato in passato che “il tuo goal più bello è stato la tua famiglia”. Quanto è importante per te l’affetto famigliare?
La famiglia è tutto per me. Due anni fa, sono andato a vivere a un’ora di macchina dalla mia famiglia. Mi sono però trasferito nuovamente vicino a loro, perché anche un’ora era troppa. Devo tutto a loro perché, anche prima di nascere, mi hanno trasmesso e dato tutto l’amore possibile. Ultimamente, ho fondato la Roma Calcio Amputati e mio padre ne è il presidente: mi sta accompagnando in questa avventura passo dopo passo. Mia madre mi ha sempre sostenuto nei momenti più difficili: è stata la mia psicologa, la mia coach, la mia amica. I miei fratelli Alessandro e Alessia, con la loro umiltà, sono stati sempre lì a sostenermi. Ho avuto legami pazzeschi che, pian piano, si sono sempre più allargati. Nella mia famiglia, ci sono anche mio cugino Matteo, i miei amici Luca e Leonardo, la mia compagna. Tutte le mie relazioni si basano sul concetto di famiglia e amore, di dare senza aspettarsi nulla. Il problema più grande che viviamo è proprio il nostro aspettarci la realtà per come dovrebbe essere ma, così facendo, non riusciamo a cogliere ciò che di più bello c’è.
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Ti va di raccontarci i tuoi futuri progetti?
Stanno partendo tanti progetti, come la nascita della Roma Calcio Amputati (a marzo ci sarà il primo campionato italiano). A ottobre 2022, ci saranno invece i Mondiali in Turchia e, tra gli obiettivi, vorrei riuscire a giocare il mio secondo Mondiale. Continuerò inoltre a scrivere: sogno di riuscire, entro tre-cinque anni, di poter avere una sistemazione alle Canarie in modo da poter esternare il mio lavoro. Ho in programma anche mettere su famiglia, diventare papà. Mi piacerebbe molto.
Intervista a cura di Stefania Meneghella