SCIENZA

APOLLO 17: aperto un campione lunare dopo 50 anni

La NASA, per prepararsi al ritorno sulla Luna, che avverrà entro il 2028, ha deciso di aprire un campione lunare raccolto dagli astronauti dell’Apollo 17 (l’ultima missione umana sulla Luna, nel 1972).

Le missioni Apollo, che hanno portato 12 uomini sulla superficie lunare, tra il 1969 e il 1972, hanno raccolto ben 2.200 campioni, contenenti circa 382 kg di roccia lunare, i quali sono stati aperti nel corso dei decenni.

Foto scattata sulla Luna, durante la missione Apollo 17. Credit: NASA

Perché è stato deciso di aprirli nel corso dei decenni?

Il motivo è semplice: la tecnologia degli anni ’70 era completamente diversa rispetto alla tecnologia di oggi. La NASA sapeva che in futuro avremmo avuto laboratori, tecniche e tecnologie superiori, quindi alcuni campioni dovevano essere analizzati con una sofisticata tecnologia del futuro.

Analizzare e studiare i campioni lunari, oltre a insegnarci la storia della Terra e della Luna, ci fanno capire cosa potrebbero incontrare gli astronauti delle missioni Artemis, le quali si recheranno vicino al Polo Sud della Luna entro il 2028, per fondare una prima base scientifica su un altro mondo.

IL CAMPIONE LUNARE SIGILLATO

Uno dei campioni raccolti dalla missione Apollo 17 del 1972, ha cominciato la lunga  fase di apertura l’11 febbraio 2022, presso il “Johnson Space Center” della NASA a Houston (Texas), grazie alla “Astromaterials Research and Exploration Science Division (ARES)”, che protegge, studia e condivide la collezione di campioni extraterrestri della NASA.

Il 23 febbraio 2022 ha invece avuto inizio la fase 2: la perforazione del contenitore interno e la raccolta di tutti gli eventuali gas lunari. Questi ultimi, sono stati analizzati con la moderna tecnologia della spettrometria di massa, la quale può determinare con precisione la massa di molecole sconosciute e, successivamente, la loro identificazione.

Successivamente, il 21 e il 22 marzo 2022, il team si è preparato a prelevare il terreno e le rocce lunari, dopo aver eseguito scansioni a raggi X presso l’Università del Texas ad Austin, per acquisire immagini 3D ad alta risoluzione della composizione del campione all’interno del tubo.

Un’immagine di tomografia computerizzata a raggi X del campione dell’Apollo 17 “73001”, analizzato presso l’Università del Texas ad Austin. Credits: The University of Texas at Austin

Le missioni Artemis, che porteranno la prima donna e il prossimo uomo sulla Luna, stanno attingendo dalle missioni Apollo e dai campioni lunari, per capire come progettare tutti gli strumenti scientifici e ingegneristici.

Entro il 2028 gli astronauti si recheranno al Polo Sud lunare, un posto ghiacciato e con una illuminazione scarsa ma, al contempo, offrirà delle possibilità enormi dal punto di vista scientifico: proprio per la scarsa illuminazione c’è un’altissima probabilità che ci sia acqua ghiacciata, sul suolo o sotto il suolo lunare.

In futuro potremo unire i risultati scientifici dei campioni delle missioni Apollo, prelevati nella zona equatoriale della Luna, e i risultati ottenuti dai campioni delle missioni Artemis, prelevati al Polo Sud lunare. In questo modo otterremo una conoscenza più ampia della nostra Luna, e della sua evoluzione geologica.

Foto scattata sulla Luna, durante la missione Apollo 17. Credit: NASA

COSA CI DICONO I PASSATI CAMPIONI LUNARI APERTI?

Le analisi passate, sui campioni lunari delle missioni Apollo, ci dicono che la Luna potrebbe essersi formata dai detriti cosparsi nello Spazio, dopo un gigantesco impatto o meglio, dopo un gigantesco scontro, quasi di striscio, tra due pianeti: la nostra Terra e un pianeta delle dimensioni di Marte. In altre parole, la giovane Terra si è scontrata con un altro pianeta e i detriti dell’impatto, unendosi, hanno formato la Luna.

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Sempre le rocce raccolte dagli astronauti, ci dicono che la crosta lunare si è formata 4,4 miliardi di anni fa e, successivamente, è cominciato il bombardamento di meteoriti, che hanno riempito la Luna di crateri.

E non solo: nelle rocce raccolte c’è anche la firma della lava, che fuoriusciva dal suolo lunare, e anche l’impronta delle radiazioni solari, le quali sono rimaste intrappolate nella roccia, dandoci delle informazioni sull’attività solare di miliardi di anni fa.

Articolo a cura di Fabio Meneghella

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Fabio Meneghella