La NASA, per prepararsi al ritorno sulla Luna, che avverrà entro il 2028, ha deciso di aprire un campione lunare congelato a -20 gradi Celsius dal 1972, il quale è stato raccolto dagli astronauti dell’Apollo 17.
Le missioni Apollo, che hanno portato 12 uomini sulla superficie lunare tra il 1969 e il 1972, hanno raccolto ben 2.200 campioni, contenenti circa 382 kg di roccia lunare, i quali sono stati aperti nel corso dei decenni.
Perché è stato deciso di aprirlo dopo 50 anni?
Il motivo è semplice: la tecnologia degli anni ’70 era completamente diversa rispetto alla tecnologia di oggi. La NASA sapeva che in futuro avremmo avuto laboratori, tecniche e tecnologie superiori, quindi alcuni campioni dovevano essere analizzati con una sofisticata tecnologia del futuro.
Analizzare e studiare i campioni lunari, oltre a insegnarci la storia della Terra e della Luna, ci fanno capire cosa potrebbero incontrare gli astronauti delle missioni Artemis, le quali si recheranno vicino al Polo Sud della Luna entro il 2028, per fondare una prima base scientifica su un altro mondo.
IL CAMPIONE LUNARE CONGELATO
Il campione lunare, che nel 1972 fu congelato ad una temperatura di -20 gradi Celsius, è stato recentemente trasferito al centro “Goddard Space Flight Center” della NASA, nel Maryland. L’obiettivo primario è capire cosa possa accadere a una roccia lunare, nel momento in cui viene maneggiata e studiata a temperature bassissime.
E’ importante analizzare gli effetti della bassa temperatura sul campione lunare dell’Apollo 17, poiché gli astronauti del programma Artemis, che si recheranno nelle vicinanze del Polo Sud lunare, avranno il compito di raccogliere, maneggiare e studiare rocce congelate, situate nelle zone in cui la luce solare non arriva.
Il Polo Sud lunare, proprio per la scarsa luce solare, potrebbe essere ricco di ghiaccio d’acqua, il quale sarebbe utile per produrre ossigeno e idrogeno (gli ingredienti per il carburante dei motori a razzo, oltre all’ossigeno che servirebbe anche per far respirare gli astronauti).
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Jamie Elsila, ricercatrice presso l’Astrobiology Analytical Laboratory del Goddard, si sta concentrando sullo studio dei piccoli composti organici volatili, che potrebbero essere presenti nel campione lunare dell’Apollo 17. Ricerche precedenti hanno mostrato che alcuni campioni lunari contengono aminoacidi (elementi essenziali per la vita sulla Terra).
“Pensiamo che alcuni degli amminoacidi presenti sul suolo lunare, possano essersi formati da molecole precursori, nonché composti più piccoli e volatili, come ad esempio la formaldeide o l’acido cianidrico”.
Il nostro obiettivo è identificare e quantificare questi piccoli composti organici volatili, e utilizzare i dati per comprendere la chimica organica prebiotica della Luna”. (Jamie Elsila)
Quando i campioni lunari dell’Apollo 17 sono stati portati sulla Terra, una parte di essi è stata conservata a temperatura ambiente, e un’altra parte è stata congelata a -20 gradi Celsius. Gli scienziati analizzeranno entrambi i campioni per capire le eventuali differenze nel materiale organico e, soprattutto, per insegnare ai futuri astronauti e scienziati, che si recheranno nel freddo ambiente del Polo Sud, come studiare e conservare i campioni lunari congelati.
COSA CI DICONO I PASSATI CAMPIONI LUNARI APERTI?
Le analisi passate, sui campioni lunari delle missioni Apollo, ci dicono che la Luna potrebbe essersi formata dai detriti cosparsi nello Spazio, dopo un gigantesco impatto o meglio, dopo un gigantesco scontro, quasi di striscio, tra due pianeti: la nostra Terra e un pianeta delle dimensioni di Marte. In altre parole, la giovane Terra si sarebbe scontrata con un altro pianeta e i detriti dell’impatto, unendosi, hanno formato la Luna.
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Sempre le rocce raccolte dagli astronauti, ci dicono che la crosta lunare si è formata 4,4 miliardi di anni fa e, successivamente, è cominciato il bombardamento di meteoriti, che hanno riempito la Luna di crateri.
E non solo: nelle rocce raccolte c’è anche la firma della lava, che fuoriusciva dal suolo lunare, e anche l’impronta delle radiazioni solari, le quali sono rimaste intrappolate nella roccia, dandoci delle informazioni sull’attività solare di miliardi di anni fa.
Articolo a cura di Fabio Meneghella