ANIMA IN PAROLE

Anime speciali


La prima cosa a cui pensiamo quando posiamo i piedi per terra, ogni mattina, è come essere normali, per cercare di non essere giudicati, per cercare di vivere come gli altri ci impongono. In realtà, ciò che non sappiamo è che la normalità non esiste. Non esiste quando cerchiamo di essere diversi da chi non crede nella nostra diversità, non esiste quando ci rifugiamo in abbracci consolatori solo perché siamo nati con un corpo che non accettiamo, non esiste quando, invece di diventare ciò che si è, preferiamo tacere e cambiare, cambiare per gli altri, abbandonando noi stessi. E non esiste quando la società ci impone di compiere missioni che non vorremmo, o diventare la persona che non conosciamo, o vivere in un modo diverso da come avevamo sognato. La società stabilisce criteri di normalità che siamo costretti ad accettare e a farli diventare nostri; e finiamo anche per crederci davvero, in quei criteri.. e finiamo anche per cambiare il nostro modo di vedere le cose solo perché ci è più comodo, solo perché gli altri le definiscono “normali”. E forse lo siamo davvero, normali.. o forse continuiamo a vivere credendo di esserlo, ignorando ciò che invece costruisce il nostro essere diversi, la nostra anormalità. Non riusciamo a dire no, a non accettare le regole che ci vengono imposte, a diventare noi stessi; non riusciamo a comprendere che, forse, la normalità è solo un limite che ci viene fissato per non oltrepassare quella linea che è la nostra quotidianità, per non fermarci un attimo e capire che ognuno rappresenta un tassello di anormalità. E così camminiamo per le strade, incontrando persone, e diventiamo anche noi come loro: finiamo per credere che avere un corpo grasso non è normale, che indossare vestiti troppo colorati non è normale, che avere un cromosoma in più non è normale. E persone che, ogni giorno, sono costrette a conviverci, con quel cromosoma, non possono avere una vita come la nostra, non possono ridere come noi, non possono mangiare come noi, non possono… Viviamo in una società dove i “non possono” piovono da cieli paurosi di conoscere quella normalità che diventa casa, e così dita diventano bacchette, parole diventano coltelli, cuori diventano ghiacci. E finiamo per non credere: non credere in coloro che, ogni giorno, hanno il coraggio di trasformare cromosomi in sogni, e di lottare davvero per quei sogni, e hanno il coraggio di sostituire i “non possono” che gli entrano nelle vene in “posso perché sono vivo”. E allora vivere per loro vuol dire camminare; camminare forse da soli, abbandonando regole che gli impongono il contrario, che gli impongono di star fermi. E’ questo il coraggio che numerosi ragazzi affetti da Sindrome di Down riescono a far proprio. Molti definiscono il loro modo di fare diverso dal nostro, “anormale”: sviluppo del linguaggio rallentato, passività, eccessiva allegria alternata con ritiro in un mondo di sogni, sensibilità, instabilità. L’intervento educativo diviene quindi cruciale per stabilire in loro un equilibrio psichico ed evitare deterioramenti di personalità. La loro autonomia è pari a zero, a volte, costretti ad essere costantemente guardati da genitori, accompagnatori, insegnanti di sostegno. E questo, dalla società, viene definito “anormale”: non possono vivere come noi, non possono ridere come noi, non possono amare come noi. La loro esistenza è posta sotto riflettori, sotto la convinzione che non hanno capacità di decidere, o essere indipendenti. Eppure c’è sempre qualcosa nel mondo per cui vale la pena credere, c’è sempre qualcosa che non è come sembra; fortunatamente c’è sempre e c’è ancora qualcosa di anormale che rende fiera questa Terra. E’ l’anormalità il gioiello dell’umanità; è l’anormalità che brilla nei nostri occhi, brilla quando un cromosoma in più ha la capacità di essere speciale, e di esserlo per gli altri. Così, ci sono persone che hanno ancora il coraggio di credere che qualcosa di migliore possa capitare, che hanno il coraggio di amare, e donare cuori a chi, nell’anormalità, ci crede davvero. E’ la storia di migliaia di ragazzi affetti da Sindrome di Down che si innamorano, ma non come noi. Loro si innamorano davvero, lo fanno con il cuore e abbandonando il cervello, lo fanno guardando negli occhi, lo fanno guardandosi l’anima, loro amano ogni foglia, ogni carezza, ogni abbraccio, amano persino l’aria che ruota attorno a corpi fragili. E amano questa Terra e l’anormalità che ne contiene, loro credono. Credono che qualcosa di migliore possa capitare davvero, e sognano; sognano di vivere nell’eternità, sognano di rendere eterno un momento, sognano di renderlo immortale solo con l’amore. Credono nell’amore, ma non l’amore che sfiora pelli e fugge via. Loro credono nell’amore che entra nelle vene e rapisce l’anima, rendendo luce la vita, rendendo luce il cammino che compiono ogni giorno alla ricerca di chi li prende per mano e li accompagna verso l’infinito. Molti definiscono questo sogno sempre più “anormale”: “non possono sposarsi, non hanno la capacità di vivere da soli”, dice la società. Ma il loro amore lotta contro ogni “non possono”, e trasforma utopie in realtà. E così, nel 2006 è nata una nuova legge, oggi articolo 23 della Convenzione di New York , legge che molti potrebbero definire “anormale” ma che appartiene oggi alla normalità di ogni giorno: <<Gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti.>> E infine, anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea , ha riconosciuto al disabile il diritto di scegliere con chi vivere al fine di avere una vita indipendente. Un passo importante per l’umanità, questo.. un passo importante per chi crede in un amore che va oltre barriere, in un amore che sorpassa limiti ed ostacoli, e raggiunge l’infinito. Un passo importante per Mauro e Marta, coppia affetta da sindrome di Down, che ha potuto, dopo 10 anni di fidanzamento, pronunciare il si dinnanzi all’altare: 40 anni lui, 30 anni lei, hanno realizzato un sogno il 6 luglio 2014 nella chiesa di San Bonaventura al Palatina vicino al Colosseo. Come prima coppia down ad essersi sposata in Italia, si erano conosciuti durante i percorsi di educazione all’autonomia, di affettività e sessualità, e hanno posto fine alle parole come coltelli che pugnalano anime fragili. Il giudice ha deciso che i genitori dei due ragazzi diventino loro amministratori di sostegno, per gestire affari patrimoniali e amministrativi della nuova famiglia, ma è stato anche ribadito che <<il portatore della sindrome di Down, per il mondo del diritto, non è un “malato” ma una persona diversamente abile: ed, allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti che l’ordinamento riconosce>>. E così, per la prima volta, anche la legge è dalla loro parte, nonostante la società colma i loro cuori di “non possono”, nonostante sono spesso costretti a camminare per le strade con la consapevolezza di essere guardati, di essere giudicati perché considerati “anormali”. E’ vero, la prima cosa a cui pensiamo quando posiamo i piedi per terra, ogni mattina, è come essere normali, per cercare di non essere giudicati, per cercare di vivere come gli altri ci impongono. In realtà, ciò che non sappiamo è che la normalità non esiste. Esiste la diversità tramutata in unicità: l’unicità di ogni persona che rende speciale la propria vita in un modo tutto suo, l’unicità di ogni persona che ha un corpo tutto suo, dei vestiti tutti suoi, dei cromosomi tutti suoi. Essere unici vuol dire amare in un modo unico, e poter usare questo amore per gli altri, e vivere ascoltando il silenzio contenuto nell’anima. E’ stato un passo essenziale, quello dei portatori di sindrome di Down. Lo è stato non perché hanno abolito i “non possono”, non perché ora vivono come gli altri: lo è stato semplicemente perché hanno affermato la loro unicità, e hanno dimostrato che quando si ha un cuore, ma un cuore vero, un cuore grande, non conta usare cervelli che creano regole, non conta seguire dita che diventano bacchette, non contano cromosomi: quando si ha un cuore, conta solo guardare negli occhi la persona che si ama e, finalmente, diventare sé stessi. E questa è l’anormalità più bella che possa mai esistere sulla Terra.

Articolo realizzato da Stefania Meneghella

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Stefania Meneghella